Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Nell’entroterra finalese scoperta una nuova ‘neviera’. Storia della ‘gabella della neve’. In Liguria si consumava nel periodo estivo


Entroterra Finalese. E’ di poco tempo il ritrovamento di una “nuova” neviera, in un luogo che vogliamo rimanga al momento misterioso, fino alla completa pulizia e recupero della stessa.

di Giuseppe Testa

Cos’è una neviera (o nevera). Non è da molto che la tecnica ci ha permesso di conoscere  la “catena del freddo”, e ci siamo dotati di frigoriferi e freezer. Come era possibile anticamente, nei periodi caldi, avere bibite fresche, o mantenere fresche le cantine, oppure per avere ghiaccio per usi terapeutici? Esistevano sull’arco alpino/appenninico Ligure una serie di manufatti, dette neviere o nevere, dove si accatastava e comprimeva neve che veniva recuperata e portata a valle su mulo per essere venduta come ghiaccio. Una attività oggi ovviamente inutile e quindi scomparsa… restano solo le vestigia di questi “contenitori” ormai abbandonati, ed anche il solo ricordo delle nevicate, allora copiose ed oggi scomparse.

La neviera (o nevera)e la produzione del ghiaccio

Verso la sommità della catena alpina, alle spalle del Finalese ma anche nel resto della Liguria e dell’Italia, esistono alcune strutture circolari dette “neviere”, che testimoniano come in passato l’attività della conservazione della neve invernale per poi farne uso nel periodo caldo, alimentasse un commercio tanto importane da essere regolato da una gabella. Queste, complice l’abbandono della struttura e del territorio in generale, sono difficilmente identificabili nel folto dei boschi. La neviera infatti è un manufatto che passa inosservata perché spesso ormai colmata dal fogliame e dal terriccio, quando non addirittura colonizzata da alberi e arbusti, e la sua localizzazione in zone “fuori mano” (per essere più vicina alle zone dove il vento accumula maggiori quantità di neve), la rende ancor più difficilmente rintracciabile. Sono costituite da un grande pozzo circolare, in pietra ricavata in loco, profondo qualche metro (generalmente 5), e largo circa 4. Per essere meglio isolata termicamente generalmente veniva scavata sotto il livello del suolo. In taluni casi poteva emergere anche di poco, ma un minimo di gradino doveva averlo per evitare di convogliare internamente le acque piovane. L’ingresso, cioè l’apertura per l’estrazione del ghiaccio, era rivolto verso nord, per ridurre l’irraggiamento diretto verso l’interno. Vi si pigiava la neve coprendola con fogliame e tessuti impermeabili, per mantenere la temperatura, e il ghiaccio così ottenuto veniva (nella stagione calda) portato a valle in blocchi e venduto per usi alimentari o medicinali. La neve raccolta veniva sistemata all’interno della neviera evitando di lasciare spazi vuoti o interstizi nei quali potesse infiltrarsi l’aria e favorire lo scioglimento. Le pressioni che venivano esercitate dagli operai avevano lo scopo di comprimere uniformemente in modo da far assumere alla neve, con l’ausilio delle basse temperature e delle parziali rifusioni diurne, le caratteristiche del ghiaccio. Ad avvenuto caricamento, la piccola apertura chiusa con frasche e terreno permetteva il periodo accesso per la raccolta del prodotto, fatta sempre nottetempo per ridurre al minimo lo scioglimento.

Per il trasporto noi luoghi di utilizzo del ghiaccio si usavano vari sistemi: talvolta a dorso dei muli, altre volte, quando le strade li permettevano si usavano carri. La resa era sicuramente penalizzata dallo scioglimento progressivo nella discesa a valle. Questa attività di utilizzo sicuramente non continuo nel corso dell’anno era però certamente un aiuto al bilancio degli abitanti delle borgate montane.

Le Nevere Finalesi

Non sono molte le nevere presenti sul finalese: quella che attualmente è nel miglior stato di conservazione è a Carbuta, in località Ciapasse, in un sito adiacente alla strada Beretta. Questa era detta, già nel XVII secolo, “nevera vecchia”, segno che anch’essa, con il progressivo variare del clima, quando le nevicate a quote così basse erano diventate rare, fu poi usata saltuariamente, a favore di  nuove nevere fatte a quote più elevate (circa 1000 metri s.l.m.). L’unico punto franato risulta quello dalla parte dove erano stati realizzati alcuni gradini per poter scendere fino alla superficie della neve ghiacciata, a mano a mano che la nevera veniva svuotata. I fratelli Chiazzaro di Carbuta, proprietari dei terreni  dove si trova la nevera, ricordavano che loro padre (classe 1887) raccontava come in giovane età fosse stato testimone del trasporto del  ghiaccio con i muli. E’ quindi presumibile che la stessa sia stata utilizzata, anche se saltuariamente, sino ai primi anni del ‘900.

Un altro paio di queste le possiamo vedere a poca distanza dalla “fattoria eolica” di Pian dei Corsi, poco sotto la vecchia piazzola di atterraggio per gli elicotteri, sui mille metri di altitudine. Sono in pessimo stato, sia per la loro inutilità pratica, sia per via del lunghissimo periodo in cui, essendo in zona militare, è stato impossibile anche avvicinarle. Sono relativamente recenti, usate da quando, per l’innalzamento della temperatura, nel XV secolo la sottostante nevera di Carbuta risultava esclusa dall’innevamento stagionale, ed usata solo in casi di eccezionali nevicate basse. Un’altra in mediocri condizioni è sul “Bric Gettina o Porrino”, a circa 900 metri di altitudine, alle spalle di Rialto. E’ di questi giorni la notizia del ritrovamento una “nuova” neviera, in un luogo che vogliamo rimanga al momento misterioso, fino alla completa pulizia e recupero della stessa. Il manufatto è sito nel versante marino delle Alpi Liguri, nel territorio del Comune di Orco Feglino. Chiamarla nuova non è del tutto corretto: nuova lo è per la nostra conoscenza, ma è di antica costruzione. Il fatto che si trovi ad una quota relativamente bassa (circa 650 slm), fa pensare che fu edificata almeno nel XIV secolo, quando il clima era più rigido e nevicava anche e spesso a quelle quote. Infatti con l’innalzarsi della temperatura dopo il XV secolo gli uomini furono costretti a ricavarne di nuove in zone più elevate. Il ritrovamento, a cura di alcuni studiosi, è particolarmente importante in quanto il manufatto si presenta in ottimo stato di conservazione. Dopo l’abbandono è stata probabilmente destinata ad altri scopi (fossa per il letame, riserva di acqua irrigua, ecc), ed oggi si presenta colma di terra e foglie. Le persone che vivono nella zona hanno smarrito la memoria storica della sua reale natura e di come fosse usata.

          Esempio di Regolamento tipico per la costruzione, l’uso ed il mantenimento di una Neviera

Estratto dal “Regolamento d’igiene Comunale” scritto l’8-3-1898 dal medico e ricercatore ciociaro Cristoforo de Ruzza. Nella “Parte Seconda”, dagli articoli 112 al 130 tratta “Dell’igiene della Nevera e della Neve”, e viene qui riportato integralmente per farci capire le problematiche legate alla raccolta, immagazzinamento e distribuzione del prodotto.

Articolo 112

Chiunque intenda scavare una neviera, o fossa per la neve, dopo la scelta del sito dovrà domandarne l’autorizzazione all’autorità comunale.

Articolo 113

Le neviere devono essere scavate nelle piccole valli in strato non impermeabile per lo scolo dell’acqua di liquefazione, lontano da ogni centro abitato o casa rurale, in luogo non adibito a pascolo di animali. Avranno le pareti e il fondo costruito in modo da poter essere facilmente sterrate e ripulite, per ciò saranno o in materiali a pareti ben intonacate o scavate in uno strato di arenaria. Le neviere non potranno scavarsi in mezzo i boschi, perché facilmente raccoglieranno gli insetti e le larve attaccate alle foglie, e perché facilmente potrebbero essere inquinate dalle urine e dalle fecci degli animali pascolanti.

Articolo 114

Ogni neviera avrà a monte e lontano dal margine di escavazione almeno tre metri, un fosso profondo almeno m. 0,90 per lo scolo delle acque soprastanti, sarà poi recinta da muro a secco alto m. 1. Lo spazio recintato e riservato intorno alla neviera dovrà essere tenuto sterile perché gli animali pascolanti non vi siano adescati dalle fresche erbe.

Articolo 115

Le neviere di proprietà comunale o private prima di essere colmate saranno accuratamente sterrate e ripulite da ogni residuo organico, foglie di elce, di faggio, di fagginola, paglia colla, ecc.

Articolo 116

I concessionari delle neviere comunali e i proprietari delle private hanno obbligo conservare unicamente la neve caduta nelle grandi nevicate dei mesi più freddi, Dicembre e Gennaio, la quale per essere ghiacciata richiede minore pestamento, e per essere più abbondante e vicina alla fossa, ed è meno esposta ad essere inquinata dai nevaioli.

Articolo 117

Nella raccolta della neve è preferibile il sistema del rotolamento delle valanghe artificiali, da monte a valle direttamente nella fossa, a quello poco pulito del trasporto con le cabelle.

Articolo 118

Chi è adibito all’intasamento o al pestamento della neve nella fossa, abbia le calzature pulite nuove, ed usi all’uopo anziché i piedi martelli o magli di legno.

Articolo 119

I recipienti per il trasporto della neve nella neviera, le pale ed ogni altro utensile siano nuovi, e prima di essere usati per la raccolta debbono essere sfregati e nettati con la neve.

Articolo 120

La neve raccolta deve essere bianca e che sia tale ne avrà cura il rappresentante del comune inviato sopra luogo, con personale responsabile di non fare mescolare alla neve foglie, erbe, altre sostanze organiche, terra, pietre, ecc.

Articolo 121

In caso di contestazione o di rifiuto da parte dei concessionari o degli operai nevaioli, il rappresentante del comune abbandonerà il posto, e ne farà rapporto scritto al Sindaco. Per tutto l’anno la neviera sarà dichiarata fuori uso, e non potrà essere usata se non nella prossima stagione invernale dopo essere stata messa in condizione secondo gli articoli precedenti. Il danno eventuale e le multe inflitte dall’Autorità Comunale saranno a carico dei concessionari.

Articolo 122

A ricoprire la neve nella fossa si farà esclusivo uso di colla e di paglia di frumento per uno strato di almeno 20 centimetri. La paglia e la colla dovranno essere pulite e della stagione prossima passata, né dovranno essere state adibite ad uso di pastorizia o di stalla.

Articolo 123

Nell’estrazione della neve dalla fossa si farà uso esclusivamente di badili o scuri in ferro, tagliando pezzi rettangolari, da cospargersi di colla pulita di grano e da porsi in secchi di recente lavati al bucato e non usati per altra faccenda agricola, domestica o commerciale.

Articolo 124

La neviera in consumo non potrà mai restare scoperta, ma la parte dove si estrae giornalmente la neve deve essere sempre coperta con novello strato di paglia.

Articolo 125

L’appaltatore della neve prima di aprire la vendita al minuto, dovrà invitare l’Autorità Comunale alla ispezione del locale, facendo dichiarazione di non adibirlo ad altro uso e di apportarvi tutte quelle modifiche che dalla stessa Commissione Sanitaria Comunale saranno ritenute indispensabili.

Articolo 126

Il locale di vendita e deposito per la neve deve essere bene pulito, abbia le pareti di recente imbiancate, ed il pavimento impermeabile in qualunque modo lastricato e fornito di cataletto di scolo per l’acqua in liquefazione. Non dovrà essere adibito per uso stalla, o di pollaio, né per qualunque uso domestico o industriale.

Articolo 127

I blocchi di neve non poseranno mai sul pavimento direttamente, ma su tavole nuove di abete piallate e imbiancate di recente con latte di calce, e sollevate dal pavimento ad una altezza minima di meri 0,50.

Articolo 128

Chi è esposto alla vendita della neve deve essere immune da malattie infettive e contagiose, e non deve coabitare con persone sofferenti per tifo, tubercolosi, scarlattina, ecc. ecc.

Articolo 129

Il rivenditore nella distribuzione della neve userà la massima pulizia personale ed avrà le mani ben lavate e le unghia rase. Non farà uso delle mani per spezzare la neve, ma di coltellaccio pulito e di bilancia di ferro o rame a coppe stagnate di recente. Per nessuna ragione potrà prendere indietro pezzi di neve già distribuiti e consegnati al consumatore.

Articolo 130

Il Sindaco e l’Ufficiale Sanitario avranno l’obbligo di ispezionare il locale deposito, il modo tenuto nella rivendita e le stesse fosse della neve, elevando, in caso di inosservanza delle presenti disposizioni, verbali di contravvenzione ed infliggendo multe.

In caso di recidività potranno dichiarare decaduto il contratto sostituendo la persona del rivenditore.

La nevera e la gabella della neve [1]

Nel 1602 un certo B. Paschetti, nobile veronese e medico, residente a Genova, descrivendo le tradizioni alimentari dei genovesi più ricchi, condannava decisamente l’uso smodato di bevande ghiacciate che molti di loro andavano facendo nel periodo estivo, causa di tanti malanni. Consigliava invece di seguire l’esempio di gentiluomini più morigerati fra i quali era invalsa l’abitudine di “….rinfrescar l’acqua nella quale si tempera il vino riponendola in vasi d’argento quali poscia si raffreddano nella neve…”, per cui “… il vino all’hora tratto dalla botte bevesi fresco ma non immoderatamente freddo….” (B. Peschetti  Del conservar la sanità et del vivere de’ Genovesi). Questa è una tra le più antiche notizie, in Liguria, relativa al consumo nel periodo estivo, di refrigerante naturale. Da dove proveniva quella neve? Per molti secoli, fino alla scoperta del metodo di fabbricazione del ghiaccio artificiale verso la fine dell’800, in varie località d’Italia  veniva raccolta in grande quantità durante l’inverno, accumulata in grotte, fosse, scantinati, e protetta con materiale isolante perché si mantenesse fino all’estate e oltre, potendo così essere impiegata in vari usi, ma soprattutto per rinfrescare le bevande, e nell’applicazione del freddo a scopi terapeutici: contro febbri, contusioni, insolazioni, ecc. Siamo di fronte a costumi dalle origini piuttosto incerte, anche se indubbiamente antichissime, considerato che secondo Seneca ed altri autori classici, già nella Roma imperiale  la neve era utilizzata per l’alimentazione e per raffreddare l’acqua del frigidarium nelle terme .

A Firenze all’inizio del ‘500, alla corte dei Medici e presso altre poche famiglie nobili, cominciò ad essere  usata nella preparazione del sorbetto, una nuova ghiottoneria per la quale la gente del tempo andava pazza e la cui conoscenza venne diffusa ad opera dei gelatai siciliani. Nei locali dove era depositata  vennero sovente creati adattamenti per svolgere funzione di cella frigorifera ante litteram, ove potere conservare più facilmente i prodotti commestibili che il caldo estivo poteva deteriorare.

Sul litorale romagnolo, dal XVII  sec. in poi  speciali impianti fatti costruire con una certa razionalità dai grossi proprietari di barche da pesca, funzionarono benissimo per la conservazione di ingenti quantità di pesce  in attesa di essere immesso sul mercato, potendovisi raggiungere temperature dell’ ordine di – 5¸6° (A. Graffagnini “ “ Conserve e ghiacciaie nel litorale romagnolo).

Fino alla fine del secolo scorso per le popolazioni rurali del carsico e siccitoso altopiano del Murge, in Puglia, la neve ammassata di solito in sotterranei appositamente scavati dai contadini nella roccia, pare rappresentasse durante l’estate una preziosa riserva d ‘acqua potabile ad integrazione di quella esistente nelle cisterne  (B. Spano “Neviere e precipitazioni nevose nel Salento”)

Per quello che concerne l’ area ligure è anzitutto il consumo privato che ne fanno la nobiltà e la borghesia durante il XVII e il XVIII secolo  ad alimentare un florido commercio di refrigerante naturale  di cui esistono testimonianze storiche a Genova, Chiavari, Savona, Taggia, Finale. Consumo che assume spesso aspetti di autentica mania, considerato che raggiunge paradossalmente uno dei momenti di maggiore intensità durante i festeggiamenti di carnevale, perciò ancora in pieno periodo invernale.

La neve nelle città della Riviera Ligure, soggette a scarse precipitazioni nevose, proveniva solitamente da depositi situati sulle alture dell’ immediato entroterra. Sopra Taggia il Monte Neveia addirittura ci rivela col proprio nome l’esistenza in loco di uno o più di questi pozzi. A Genova il candido refrigerante, richiesto in buona quantità dai rivenditori di bibite fresche, pescivendoli, dai monaci di numerosi conventi e da quei malati bisognosi della terapia del freddo, divenne una merce di notevole valore commerciale che attivò un giro d’affari tutt’altro che disprezzabile. Sulla sua importazione in città fu applicata una imposta nel 1625.

Nel 1640 venne istituita la “Gabella della Neve” . Lo Stato con ciò vendeva il diritto esclusivo ad esercitarne il commercio ad un unico Impresario che, tra i suoi numerosi obblighi sottoscritti, si impegnava a non fare mancare mai il prodotto a Genova e sobborghi. A partire dal 1667 tale diritto venne assegnato all’incanto e dal 1686 una Grida ne proibì la vendita di frodo in … città e sottoborghi …sotto pena pecuniaria di lire 100. Nell’ Archivio di Stato di Genova (A.S.G. Antica finanza n.i 775, 776, 777-Neve) e nell’archivio storico del Comune (Fondo segret. Amm. Civica – 1251 Gabella della Neve, 1005 Neviere) esiste buona parte dei carteggi scambiati tra i vari personaggi coinvolti in questo commercio e le autorità. Possiamo così ricostruire gli aspetti di questa curiosa ed insolita attività.

L’appaltatore della “Gabella” subito dopo una nevicata assoldava decine di lavoratori giornalieri per il riempimento delle neviere, cioè pozzi troncoconici con muri di sostegno in pietra a secco, profondi in media 4/5 mt. e col diametro superiore fino a 10/12 mt. La neve trasportata a spalle entro corbe, una volta immessa nelle buche veniva pressata con appositi battitoi. Un certo isolamento termico era assicurato da uno spesso strato di fogliame secco e da un tetto conico di travi e paglia nel quale a nord si apriva uno sportello attraverso il quale avveniva il caricamento e lo svuotamento dell’impianto. Particolare cura era posta nell’ ancoraggio a terra di tale copertura, poiché se un colpo di vento l’avesse fatta volare via, seguito da una pioggia prolungata, poteva significare, come a volte accadde, il deterioramento addirittura la perdita della merce. Sul fondo della neviera un piccolo canale di scolo permetteva il deflusso dell’antea di fusione. Il trasporto del nostro refrigerante, come per tutte le altre merci in transito sulle Alpi o Appennini Liguri venne effettuato principalmente a dorso di mulo fino al XIX secolo, essendo i nostri monti, con la sola eccezione della Via Beretta, privi di strade carrozzabili alla cui costruzione si rinunciò sempre  per le notevoli difficoltà tecniche di realizzazione e manutenzione. In estate i giornalieri salivano alle neviere e durante il giorno tagliavano  in blocchi prismatici del peso di circa 10 rubbi l’uno (kg 79) la neve che, dopo una permanenza di mesi nei pozzi era praticamente ghiaccio. Solo la notte, per limitarne al massimo la liquefazione, le liste avvolte con fogliame secco e sacchi di tela venivano caricate a coppie sui muli e avviate al deposito cittadino per lo smistamento e smercio. Il prelievo, il trasporto e la vendita non fu mai un lavoro facile, con un prodotto così deperibile.

Nel 1846, con la Liguria  ormai  parte del Regno di Sardegna, ci fu tanta penuria di neve che la si dovette importare dal Moncenisio, dalla Savoia e via mare dalle colline di Pisa.

Alle soglie del XIX secolo si arrivò alla produzione industriale del ghiaccio. Dopo circa 230 anni scomparve la “Gabella” e, poco alla volta, le Neviere furono abbandonate.

Oggi, percorrendo antichi sentieri, è ancora possibile imbattersi nei resti di questi manufatti, spesso rovinati dalle ingiurie del tempo, tangibile testimonianza di attività e mestieri scomparsi per sempre.

[1] Il testo di questo paragrafo è tratto liberamente da un dattiloscritto di G. D’Incà gentilmente messo a disposizione da Don Luigi Caneto, archivista dell’Archivio Storico Diocesano di Savona.

Giuseppe Testa

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G. Testa

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