Come spesso accade, la contesa fra due città per un primato è frequente; in particolare se si tratta di una istituzione che, ancor oggi, è fondamentale non mondo del commercio e della finanza.
di Tiziano Franzi
E’ il caso della nascita della prima banca italiana e la contesa fu tra Genova e Pisa: Banco di S. Giorgio contro Monte dei Paschi di Siena.
E’ vero che la prima banca in Italia, ancora in attività, è il Monte dei Paschi di Siena, fondato nel 1472, ma in precedenza, il Banco di San Giorgio a Genova era stato operativo dal 1407 al 1445 e nuovamente dal 1531, ma fu poi chiuso. Il Monte dei Paschi di Siena è considerato dunque il più antico istituto bancario ancora attivo al mondo.
Ma se consideriamo le date di fondazione e di inizio di attività la questione cambia: 1407: nasce il Banco di S. Giorgio; 1472: nasce il Monte dei Paschi.
Un po’ di storia- Le lontane origini del Banco vanno ricercate nel primo prestito di Stato contratto dalla Repubblica di Genova dopo la vittoriosa spedizione di Almeria e di Tortosa del 1147-’48. Per pagare i noli dell’impresa, assunti a tutto carico del Comune, i consoli del 1149 cedono per 15 anni l’introito di alcune gabelle, contro l’anticipo di 1300 lire genovesi, a una società di 18 cittadini, ciascuno dei quali si quota per una parte. In questa operazione finanziaria di prestito detta “compera” lo Stato genovese impegnava una parte dei redditi ordinari a pagamento degli interessi annui verso una società di cittadini mutuanti detti “comperisti“che anticipano il capitale, obbligandosi a restituire il prestito entro il termine prestabilito. Visto il successo, l’operazione venne periodicamente ripetuta negli anni successivi, crescendo soprattutto all’inizio del XIV secoloIo.La causa scatenante per la costituzione della “Casa delle compere e dei banchi di San Giorgio” fu quindi il dissesto finanziario della Compagna Communis (così si chiamava il comune medievale di Genova, prima di costituirsi in Repubblica), causato dalle disastrose guerre contro Venezia.
Nel secolo successivo, precisamente il 23 aprile 1407, per iniziativa del Governatore francese Boucicaut, rinasce il Banco, con l’intento di organizzare definitivamente il debito pubblico genovese.
L’ente è fondato, con provvedimento statale, dalla riunione di tutte le “compere” già esistenti, che avevano fatto prestiti allo Stato, per gestire il debito pubblico della Compagna communis. Il “San Giorgio” si accolla la responsabilità di riscuotere le tasse per conto della Repubblica, pagare le spese dello Stato, sostituendo, quindi, la Repubblica non solo nell’amministrazione del debito pubblico, ma anche nella gestione di monopoli e nel governo di alcuni territori.
Quella si San Giorgio è stata quindi una banca, la prima in Italia, tra le prime in Europa, che esercitava sia la funzione di gestione della fiscalità e del debito pubblico come le moderne Banche centrali, sia la raccolta del risparmio. Era anche abilitata ad emettere carta moneta.
Il barone Montesquieu (1689-1755) ebbe a dire: «San Giorgio è una specie di Monte di Pietà che, avendo fatto prestiti alla Repubblica e avendo ricevuto in cambio fondi di garanzia, paga il 2,5% a coloro che lo hanno sovvenzionato».
La Casa di San Giorgio- La Casa di San Giorgio era una persona giuridica, il cui capitale nominale corrispondeva all’ammontare dei prestiti concessi allo Stato. Questo capitale era diviso in quote dette “luoghi” (loca), del valore di 100 lire genovesi ciascuna. I titolari dei luoghi, che erano i creditori dello Stato e i soci della Casa, erano detti “luogatari”.

I luoghi erano nominativi, ma erano liberamente trasferibili ed ipotecabili: i trasferimenti e le iscrizioni avvenivano mediante annotamento nel registro della Casa. La Casa esercitava anche l’attività di gestione fiduciaria dei luoghi secondo le istruzioni dei titolari.
Il vertice esecutivo dell’Istituto era rappresentato dagli otto Protettori, accanto ai quali vi erano altre magistrature con compiti più specifici.
L’organo rappresentativo dei luogatari era invece il Gran Consiglio delle compere, composto di 480 membri: 20 di diritto (i Protettori, i Precedenti e i Sindacatori) e 460 scelti fra i luogatari, metà per scrutinio e metà per sorteggio. Esso deliberava sulle principali questioni, fra cui la concessione dei prestiti allo Stato. Sotto questi organi amministrativi, vi erano i dipendenti, che erano più di cinquecento
La Casa gestiva anche vari banchi di deposito e giro, alcuni dei quali erano in “numerato” ovvero in contanti, altri in monete specifiche (ad esempio uno in scudi d’argento, uno in reali, uno in zecchini, uno in doppie).

Il Libro delle Colonne ovvero il libro mastro del 1485
Ogni banco era costituito da un tavolo posto nel salone al primo piano di Palazzo san Giorgio. Vi erano addetti due notai, che tenevano le scritture contabili in partita doppia. Queste consistevano principalmente nel libro giornale (detto “manuale”) e nel libro mastro (detto “cartularium”) sui quali venivano annotate le operazioni. I libri contabili della Casa di San Giorgio furono tenuti in latino fino alla fine del Settecento[21].
In questo modo buona parte dei trasferimenti di denaro avvenivano in “moneta di banco”, ovvero senza effettivo movimento di moneta metallica. In ogni modo la Casa non poté mai evitare completamente i flussi di denaro contante: la gestione della tesoreria era compito del cassiere della Casa (capseriuscomperarum).
Fra i “correntisti” della casa di San Giorgio si possono annoverare Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia, nonché Cristoforo Colombo
La Casa oltre a inglobare le compere che avevano fatto prestito alla Compagna Communis aveva incorporato anche delle compere che avevano concesso prestiti ad altre nazioni. Fra queste c’era la “Maona di Cipro“, che aveva fatto prestito al re di Cipro: non potendo il sovrano restituire il debito, nel 1447 cedette in sovranità alla Casa di San Giorgio la città di Famagosta. Tuttavia, il suo successore nel 1464 riconquistò la città, facendo terminare il dominio di San Giorgio.
San Giorgio aveva assorbito anche la “compera di Gazaria” e pertanto già gestiva le entrate fiscali di quel territorio. Dopo la caduta di Costantinopoli, nel 1453, la Compagna Communis cedette alla Casa la sovranità stessa sulla Gazaria. Questi domini furono tuttavia conquistati dall’Impero ottomano nel 1474.
Nel 1453 passò a San Giorgio anche la sovranità sulla Corsica con il consenso della popolazione dell’isola. La Casa ricevette, infine, dalla Repubblica la sovranità su alcuni paesi delle due Riviere: a Levante ebbe Lerici (1479), Sarzana (1484) e Levanto (1515); a Ponente Pieve di Teco (1512) e Ventimiglia (1514). Poiché, tuttavia, l’amministrazione dei possedimenti si rivelò antieconomica, la Casa di San Giorgio restituì alla Repubblica tutti i territori che le rimanevano in sovranità nel 1562[
Proprio vicino sorgeva l’antica zecca di Genova, attiva dal 1139 al 1860. La zecca produceva diverse tipologie di monete, tra cui rame, argento (denari minuti e denari grossi) e, in seguito, oro con il genovino. La monetazione genovese è stata fondamentale per lo sviluppo del commercio e della finanza genovese e ligure, e ha influenzato la storia della regione.
Nel 1797 la neonata Repubblica Ligure revocò la gestione delle imposte e del debito pubblico, lasciandola tuttavia sussistere come banca centrale dello Stato. Perciò l’istituzione fu ribattezzata “Banco di San Giorgio“, nome con cui sarà in seguito conosciuta. Con l’annessione della Liguria all’Impero Francese nel 1805, il Banco fu definitivamente sciolto.La liquidazione dell’ente terminò nel 1856. Dal 1881 l’archivio della Casa è stato acquisito dall’Archivio di Stato di Genova.
Un’altra contesa- Le rivalità per il primato in ambito finanziario non finiscono qui. C ‘è infatti un’altra disputa su quale sia stata la prima moneta coniata in oro che abbia avuto valore internazionale. In altre parole: è stato coniato prima il fiorino o il genovino? Esistono documenti che fanno iniziare la coniazione dell’oro di Firenze agli ultimi due mesi del 1252, altri documenti provano l’esistenza di una moneta d’oro a Genova prima di questa data. Il genovino è cronologicamente il primo – seppure per pochi mesi- ormai secondo la totalità del mondo accademico internazionale (maggio il genovino, settembre il fiorino). L’esigenza di monetare in oro si presentò indifferibile a Genova – e quindi a Firenze e a Venezia – perché non si poteva fare più affidamento sul soldo d’oro bizantino, che era irrimediabilmente sceso nella lega, e perciò nella stima e reputazione dei mercanti (tant’è che le monete erano annusate per “scoprirne” il contenuto in rame). Ma sicuramente il fiorino ebbe durata nei commerci nazionali e internazionali maggiori del genovino, anche per ragioni politiche: Firenze ebbe una stabilità politica nei secoli sicuramente maggiore di quanto accadde a Genova.
Un ulteriore aspetto della questione riguarda l’estetica della moneta: i numismatici hanno sempre considerato più arcaica e meno “artistica” quella del genovino rispetto al fiorino. Nel caso di Genova c’era un “problema” stilistico: l’iconografia, il “logo” della città aveva una forma stilizzata ben precisa e poco modificabile. Posto che ogni moneta genovese doveva riportarla per indicare con estrema chiarezza la sua provenienza, non c’erano grandi alternative. La croce sul lato opposto al simbolo della porta (ianua) è effettivamente arcaica nel contesto del XIII secolo, rifacendosi sostanzialmente a canoni esistenti da secoli. L’iconografia del fiorino è molto più “moderna” : il giglio è un altro “logo” ben definito e poco modificato dalla sua introduzione, che però è più tarda rispetto alla porta di Genova e quindi meno arcaica già nella sua definizione. San Giovanni sull’altro lato è invece in linea con la raffigurazione artistica della sua epoca, e certamente non risente dell’arcaicità della croce patente genovese.


Palazzo San Giorgio- Quello che ancor oggi possiamo ammirare (e visitare) di fronte al “Porto Antico” è il Palazzo san Giorgio di cui colpisce la bellissima facciata dipinta nella miglior tradizione ligure. Un tempo il mare arrivava fino alla soglia del palazzo e la zona si chiamava infatti “ripa maris” (da cui il nome dei portici di Sottoripa). La sua edificazione risale al 1260 per volere di Guglielmo Boccanegra, Capitano del Popolo e antenato del primo Doge a vita Simone Boccanegra.


Inizialmente fu sede del Capitano del Popolo, ma già dopo due anni divenne sede del Comune, quando Guglielmo fu sollevato dal suo incarico. Nelle sue prigioni, collocate nelle segrete del cortile interno, fu incarcerato anche Marco Polo che, già di ritorno dalla pluriennale avventura in estremo oriente, volle partecipare, per Venezia, alla battaglia della Curzola (1298) che vide primeggiare Genova. In quella prigione Marco Polo dettò al compagno di cella Rustichello da Pisa le sue avventure nel paese del Catai, pubblicate più tardi prima con nome di “Emilione” e poi di “Il Milione“. (vedi Tiziano Franzi, Storia di Genova medievale, Erga ed., Genova, 2024)
Nel 1340 divenne sede della Dogana. Negli anni a seguire subì vari cambiamenti di destinazione d’uso, i quali portarono alla necessità di cambiamenti nella struttura. Ampliato nel corso dei secoli, il Palazzo ha mantenuto il proprio nucleo medievale, originariamente utilizzato come palazzo comunale. Fu grazie alla continua crescita finanziaria dell’istituzione che l’edificio necessitò di un ampliamento verso sud, che ne plasmò l’aspetto attuale. Alla metà del Cinquecento, risale la facciata affrescata con al centro la maestosa figura di San Giorgio che combatte e uccide il drago, a difesa del bene contro il male
l palazzo nel quartiere del Molo, si compone quindi di due parti ben distinte: una parte più antica, tipico esempio di architettura civile medioevale, con il prospetto rivolto verso il porticato di Sottoripa, e una rinascimentale, rivolta verso il mare, nel cui prospetto, affacciato su via della Mercanzia, la breve via che collega piazza Caricamento e piazza Cavour di fronte al Porto Antico, si apre il portale di ingresso principale.


Tiziano Franzi