«È morto il Papa!! (a Genova si sarebbe detto: «Avrà avuto la sua convenienza»). W il Papa! 2/Sorprendente questa Chiesa, che pare avvitata su se stessa, mentre tutto intorno si pronostica e si decide un papa su misura e a propria immagine.
di Paolo Farinella, prete

1/ Solo che questa volta c’è il trucco e si vede anche: l’Americano del Perù è stato allevato, cresciuto e impastato da Francesco che se n’è andato in punta di piedi senza avvertirci che aveva già preparato il nuovo Papa, suo successore, facendosi un baffo di tutti i kilometrici righi di inchiostro, impiegati dagli esperti in Tic-Toc, Tic-e-Trac per arrivare prima di tutti (First of all).
Francesco, ovunque si trovi, se la riderà da gesuita «verace» e occhio li lince. Dal 15 al 22 gennaio 2018, fece un viaggio apostolico in Cile e Perù e qui incontrò un frate agostiniano, grande studioso, non solo di diritto canonico (110 e lode), ma anche di matematica e altro; proprio per questo è sempre con le mani sporche di umanità, povertà, miseria. Papa Francesco gli mette occhi e naso addosso e non lo molla più. Lo fa studiare da vescovo, lo manda in una diocesi all’estremo nord del Perù, dove per visitare i piccoli e sperduti «pueblos»,
anche di poche decine di cristiani, si muove a cavallo.
Dopo che lo ha fatto sporcare ben bene dentro e fuori (tipo «impanato»), il papa argentino, senza fanfare, alla chetichella se lo porta a Roma e gli piazza in grembo il Dicastero più importante: «la fabbrica dei vescovi nel mondo». Per due anni ha predisposto schede, quasi un cospiratore, per suggerire a Papa Francesco il nome di candidati vescovi, di cui poteva fidarsi. Insomma, gli ha permesso di entrare dentro la sua anima di «papa-pastore» per abitarla, odorarla e prenderne più di una vista. Una investitura. Come Elia
con Eliseo. Francesco sapeva bene che la curia e i pazzi retrogradi, che vogliono tornare all’età della pietra, avrebbero macchinato e tentato cordate.
Albert Francis Prevot è talmente spirituale da somigliare a Bergoglio, ma resta defilato e fedele: sa che deve votare secondo coscienza, ma pensa di non essere in gioco o non ci crede. Resta silenzioso, prega Dio per intercessione di Francesco. La posta in gioco è alta: o
Francesco viene archiviato col rischio di riportare la Chiesa alle caverne, o s’imbrocca la strada della fedeltà a Dio che passa inesorabilmente dal Vangelo che, a sua volta, passa dal concilio Vaticano II, dove l’aveva riposizionata papa Francesco, dopo l’affossamento del papa polacco e del pastore tedesco.
In conclave, i cardinali asiatici e latinoamericani, grosso modo, non vogliono fare le comparse, tipo cappuccetto rosso, e quindi Parolin non avanza oltre 50 voti, o giu/su di lì; i retrogradi – io penso – provano a giocare la carta Pizzaballa, ma non passa, non per Gaza, ma perché è «anche» in Israele. Peccato, poteva essere un’idea! È giovane e si può rifare. Il nuovo mondo, quello che non conta nulla e non ha mai voce in capitolo, quando ci si mette, è testardino: non vogliamo fare, mica, le belle statuine! – avranno pensato –.
Il «nuovo mondo» (così Cristoforo Colombo, la prossima volta, invece di andare in giro a perdere tempo a scoprire popoli per ammazzarli e depredarli, impara ad andare a cercar cicoria nel porto di Palos e dintorni), non mollava la visione ancora fresca di una «Chiesa sinodale che cammina»: la Chiesa di Francesco, quella che si fa carico del mondo intero con un preciso programma: «Ha spiegato la potenza del
suo braccio,/ ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore/; ha rovesciato i potenti dai troni, / ha innalzato gli umili; / ha ricolmato di beni gli affamati, / ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc. 1m, 51-53). Il resto viene dal maligno o dalla curia (di Genova).
Si aprì la grande finestra della loggia centrale della facciata centrale della Basilica di San Pietro e apparve il successore e figlio di papa Francesco. Silenzio. Volto timidamente dolce. «Mi chiamerò Leone XIV». Inatteso, sorprendente, un poema, ma… Questa è un’altra storia per un’altra volta.
Per ora godiamoci Leone papa XIV che già da lontano, da lassù, dall’imponenza maestosa michelangiolesca… promana un effluvio di puzza di pecore (da copyright) che si respirano anche in fondo a via della Conciliazione. Alla prossima sul nome Leone, denso di storia.
Paolo Farinella, prete
2/IL LEONE È ARRIVATO
Sorprendente questa Chiesa, che pare avvitata su se stessa, mentre tutto intorno si pronostica e si decide un papa su misura e a propria immagine.
di Paolo Farinella, prete
Sorprendente questa Chiesa che in meno di 24 ore, senza cellulari e social, Tic-Toc e Tac-Tic, sceglie tra 130 aventi diritto, un papa che
sintetizza il mondo intero (statunitense, italiano, francese e spagnolo), parla bene cinque lingue (inglese, francese spagnolo, italiano e portoghese; legge benino latino e tedesco); è molto colto (laureato in scienze matematiche, filosofia, master in teologia e dottorato «magna cum laude» in Diritto canonico. Ha doppia cittadinanza (statunitense per nascita e peruviana per aver vissuto oltre 20 anni in Perù. È stato per 12 anni generale del suo Ordine (degli Agostiniani), girando e conoscendo tutto il mondo. Nel 2013, papa Francesco lo volle a capo del Dicastero dei Vescovi (prepara le schede dei futuri vescovi del mondo da presentare al papa, ruolo delicatissimo).
Durante il pre-conclave è apparso defilato e appartato, quasi distaccato; è timido e riservato, ma solido spiritualmente e capace di governo. È umile ma determinato e senza soggezione davanti ai potenti.
Trump ha trovato il suo contraltare: il narciso americano non può più giocare e suonare la partita da solo, non è il padreterno extralarge che si crede di essere, il signor «Ghe pensi mi – I’m on it». Ora c’è il rappresentante in copia originale di Dio che è americano e pure peruviano, quella razza che lui vuole mandare via dal «sacro suol della patria natia». I cardinali, quatti quatti, lemme lemme, gli hanno tolto lo scettro del «fasso tuto mi – I do everyting, ciò!» e lo hanno ridotto comparsa di quarto rango.
Il nome «Leone» è un programma straordinario. Non poteva chiamarsi Francesco perché sarebbe stata una piaggeria d’occasione, non poteva ispirarsi ai nomi di altri papi recenti perché avrebbe dato prova di poca fantasia e paura. Ha scelto il nome dell’ultimo papa che si volle chiamarsi «Leone XIII» (eletto nel 1878 e morto nel 1903), 25 anni di papa, grande latinista e primo papa a non avere governato come capo di Stato, perché Roma e l’Italia centrale erano sotto occupazione dei Savoia. Fu un papa di altissima spiritualità
e aperto al mondo. Fu il primo papa a scrivere un’enciclica sulle migrazioni italiane verso gli Stati Uniti («Quam Aerumnosa – Quanto rovinosa», 1888) e un’altra ai vescovi degli Stati confederati degli Usa («Longinqua oceani – La distanza dell’oceano», 1895).
Tra le sue 86 encicliche, bisogna ricordare anche la più importante «Rerum Novarum – Il desiderio di novità,1891) sulla questione operaia di fine Ottocento, dove tratta di diritto del lavoro, salario, sindacato, contrattazione, famiglia, ecc. Avere scelto questo nome
è il programma di fondo, come se volesse dire: sono in piena continuità con papa Francesco e le realtà come migrazioni, lavoro, dignità delle persone, poveri ed emarginati, popoli latinoamericani e i diritti conculcati, sono «affare mio». Con un colpo solo, i vecchi rattrappiti cardinali hanno spazzato la supremazia trumpiana perché ora non c’è più «America Ferst», ma «Un’altra America – Another America»
Leone XIV è timido e riservato, non ha lo slancio di Francesco, ma è in sintonia profonda con lui, anche nello stile di vita e di pastorale: in Perù era rado che celebrasse in cattedrale, ma sempre nei Pueblos degradati e sperduti. È umile, ma sa governare, non s’impone, ma sa ascoltare. Molto stimato da Papa Francesco, è un progressista che non spaventa i conservatori (l’Ave Maria finale dal balcone ne è la prova).

È vero: ha ripreso la mozzetta rossa (la clamide, residuo imperiale), ma penso che lui non fosse in sé perché rintronato dopo l’elezione e solo dopo quattro scrutini!!! Penso che i cerimonieri lo abbiano vestito senza che lui se ne sia accorto. Il suo breve saluto, preparato in fretta (era scritto a mano), è stato centrato sulla PACE, risuonata per 6 volte, mentre la parola «ponti», 4 volte: un vero controcanto a Trump e ai suoi
muri.
L’invito a prendersi per mano per camminare insieme, si integra con la volontà di «sinodalità (greco: syn òdos-sulla strada)» non per stare fermi: «A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, di Italia, di tutto il mondo vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la Pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono».
Possiamo essere contenti di avere avuto un papa «puzzone» che parte già con l’odore delle pecore, prima ancora di cominciare. Non ci resta che stare in ascolto con gli occhi aperti per conoscerlo in quello che è e farà. Sarà un papa sorprendente e uomo di grandissima cultura e profondissima preghiera: un uomo che conosce l’inquietudine di chi cerca Dio: «Inquietum est cor nostrum» (Sant’Agostino, Confessioni I,1). Io ho fiducia e sono contento. Grazie, papa Francesco! Grazie Papa Leone!
Paolo Farinella, prete