Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

Settimanale d’informazione senza pubblicità, indipendente e non a scopo di lucro Tel. 350.1018572 blog@trucioli.it

Giacomo Casanova a Genova gioca d’azzardo e non solo. Nomea di amante instancabile quanto volubile e infedele


A metà del ‘700 Genova era meta obbligata di scrittori, filosofi, poeti e pittori.

di Tiziano Franzi

Ritratto di Giacomo Casanova

La magnificenza e la ricchezza della città era riconosciuta in tutto il mondo e la repubblica marinara esercitava un fascino particolare su chi ne sapeva scoprire i tesori architettonici spesso nascosti e la seduzione dei suoi vicoli, tra la modernità del tempo e le ancora vive tradizioni delle famiglie nobili più in vista. Il fascino di una città che parlava la lingua dei camalli, che era il porto commerciale più importante del mediterraneo occidentale, orgogliosa della monumentalità dei suoi edifici medievali che l’hanno resa “Superba” e di quei traffici che, con il Banco di San Giorgio, le consente di rivaleggiare con le più ricche città europee.

Anche Giacomo Casanova, il veneziano diventato famoso nei secoli per il suo fascino irresistibile e le sue instancabili capacità amatorie, fu a Genova diverse volte.

E’ innegabile che Casanova avesse un grande fascino, una vasta cultura e una vita piena di avventure e aneddoti che sapeva raccontare in modo brillante. Dall’altra, sapeva utilizzare la sua discussa fama in proprio favore per stuzzicare la curiosità della gente, aveva una propensione particolare a brillare in società e otteneva regolarmente inviti che gli permettevano di ampliare la sua rete di conoscenze.

Nel suo libro Storie della mia vita, egli descrive Genova con grande affetto e ammirazione. Parla della città come di un luogo ricco di fascino, con le sue strade strette e tortuose, i palazzi eleganti e il porto vivace. Casanova apprezza molto l’atmosfera cosmopolita di Genova, la sua storia antica e il suo ruolo importante nel Mediterraneo. Lo descrive anche come una città di grande bellezza, dove si respira un’aria di libertà e di avventura, perfetta per un viaggiatore come lui. Insomma, per Casanova, Genova è un posto speciale, pieno di vita e di mistero!

Si racconta che durante le sue presenze in città alloggiasse, all’albergo della Posta in via Balbi di fronte al convento di S. Brigida oppure in un altro albergo in via delle Fontane, sempre con le sue occasionali compagne, a volte anche più di una. Casanova infatti , ovunque andasse, riusciva a intrattenersi con le più ricche e belle dame della città, ma non disdegnava neppure le semplici ragazze che incontrava al mercato e ovviamente, le prostitute che Genova poteva offrire in una certa quantità.

Nel 1760 arrivò a Genova con il segretario, la cameriera e un’amante francese di nome Rosalia, alta e mora. Oltre a essa la sua alcova ospitava ogni giorno donne affascinanti d’ogni rango e anche sotto la Lanterna la sua nomea di amante tanto instancabile quanto volubile e infedele trovò ripetutamente conferma.

Così scriveva di se stesso: «Ho sempre pensato che non v’è merito alcuno nel serbarsi fedele a una creatura cui si vuol bene».

Qualcosa di più: alla continua ricerca non tanto del rapporto occasionale, quanto dell’occasione del rapporto. Può capitare che, appena concluso un appuntamento galante, Casanova non sia davvero soddisfatto quando la sua donna non gli dica “ti amo”, perché è innanzi tutto lui a volerle bene, anche se ciò non implica affatto che egli deve rimanerle fedele. Amore e fedeltà, due aspetti che appaiono- o che perlomeno fingiamo di credere – così inscindibili ai nostri occhi, sono senza imbarazzo considerati indipendenti dall’autore veneziano.”[Edoardo Bassetti]

Egli amava inoltre molto il gioco d’azzardo e, in quel periodo, a Genova andava per la maggiore un gioco, che pur ripetutamente proibito dalla legge, impunemente teneva banco nei migliori salotti.

Il gioco d’azzardo a Genova- All’epoca il gioco che faceva impazzire gli aristocratici era il Biribis o Biribissi o Biribisso: un gioco che anticipava la roulette ma con contaminazioni con un altro gioco molto amato, la tombola.

Il Biribissi veniva giocato con un’attrezzatura simile a quella della tombola e con risultati analoghi alla roulette, della quale è un precursore: un tavoliere con segnati i numeri da 1 a 70, e un sacchetto con i 70 talloncini corrispondenti. Prima di ogni estrazione, i giocatori puntavano una somma su uno o più numeri. Chi aveva puntato sul numero che veniva estratto riceveva 64 volte la posta.

A Genova il gioco era molto praticato e uno storico ne dà la seguente descrizione: “A fare questo gioco si solevano adoperare certe pallottoline forate per il lungo – giandette –in ciascuna delle quali si introduceva un numero dall’uno in su progressivamente. Tali numeri corrispondevano ad altrettanti sopra un tavoliere in separate caselle, dipinte a figure umane o animalesche. Vincitore era quegli che, avendo messo una moneta sopra un numero,aveva la fortuna che il numero medesimo fosse cavato dalla borsa, ove si ponevano e si agitavano le suddette pallottoline.”

Il gioco ebbe grandissima fortuna e fu a lungo giocato in Liguria, Piemonte e Francia e altrove e nel ‘700 era il gioco più praticato da nobili e popolani.

Per impedirlo, trattandosi di gioco d’azzardo, a Genova si ricorse a pene severe, detentive e pecuniarie, con una legge del 1736, ma anche questa, come le precedenti, non costituì un deterrente, finché nel 1747 Gian Francesco Doria non lo indicò come una delle cause della decadenza della nobiltà: “…non v’ha dubbio che reca notabile incomodo perché li mariti oltre le proprie perdite, sono obbligati per molte ragioni a pagare quelle che han fatto le loro mogli. Molti sono i giuochi che assorbiscono il denaro, ma il Biribis è quello che è più in voga a Genova.”

Una delle tavole usate per il gioco del Biribissi

Casanova giocatore di Biribissi- Tale gioco appassionava molto Giacomo Casanova, che pure lo definiva”gioco da ladri“. Tant’è, sembra che uno dei motivi dei suoi soggiorni genovesi fosse proprio la possibilità di poter liberamente giocare al Biribissi.

Si racconta che durante il suo ultimo soggiorno a Genova, nel 1763, venne invitato per una partita in casa di una certa madama Isabella che per l’eccezionale serata indossava un costume da Arlecchina. Casanova, per galanteria verso la padrona di casa, volle puntare ininterrottamente il suo denaro sulla figura dell’Arlecchino, che però non uscì mai. Era agli ultimi spiccioli quando venne il suo turno di estrarre le giandette. Miracolosamente l’Arlecchino uscì più volte di seguito e Casanova vinse 3000 zecchini, il tavolo, il tappeto, i candelabri e lo stesso gioco del Biribis. Una fortuna sfacciata o una fortuna truccata?

L’avventuriero veneziano fece saltare il banco (sostiene senza barare) ma subito si insinuò che fosse d’accordo con il battitore: questo tipo di truffe erano allora frequenti. Fatto sta che, lasciando Genova, nel suo “Storie della mia vita” egli annota: “….colà era un’altra vita per chi non voleva soltanto mangiar funghi, veder casaccie e giuocare al Biribis. » [Ivana Ferrando, I giochi a Genova, Sagep ed., Ge, 1969]

Alla fine, Casanova deve partire. Affitta una feluca, ma il meteo sconsiglia la partenza. A mezzanotte, però, il tempo migliora e il padrone della barca lo sveglia per salpare, interrompendo il riposo con le due amiche e sorelle fra di loro. Giocoforza, Giacomo è costretto ad accomiatarsi dalle ragazze con cui divideva l’alcova. Per la partenza, di fatto improvvisa, dell’amato, Veronica scoppia in lacrime, mentre la sorella abbraccia l’amico partente “avec tendresse” (con tenerezza)..

Così Casanova parte con i soli domestici quando è ancora buio pesto e il giorno seguente è a Lerici dove subito affitta dei cavalli per andare a Livorno e da lì poi verso Roma.

Tiziano Franzi


Avatar

T.Franzi

Torna in alto