Autore del volume di liriche “La luce nella polvere” Edda Edizioni, tengo a battesimo. Linda Miante autrice di <Piccola Biografia di Periferie> ed. De Ferrari.
di Gianfranco Barcella

Parafrasando Kafka posso affermare che avendo l’animo ferito occorra cercare, in una metamorfosi, nuova grazia di vita e magari rifugiarsi nella poesia come voce profonda della felicità. Forse proprio la lirica è anche una sorta di ribellione interiore contro una realtà di dolore, od un tentativo di eliminare la realtà che ci è ostile. In fondo è la ragione umana che dà alla realtà il diritto di esistere.
Tempo addietro esisteva la teoria dell’ologramma, cioè la realtà è un ologramma, una proiezione dell’immaginazione umana. La mente umana però, pur con le sue categorie di pensiero non ha ancora raggiunto la possibilità di comprendere <il tutto>. Ed allora sì affida alla poesia per intuire il mistero d’amore che ci circonda e lo scrivere liriche è innanzitutto un atto d’amore per la vita, sempre e comunque, anche quando ci sentiamo soffocati dal <solido nulla> o un dolore atroce ci ferisce a morte. Foscolo sosteneva che per il poeta, la più importante delle illusioni è la poesia, pura e libera dal servilismo politico. Molto più modestamente penso che la poesia sia utile per fare un viaggio nell’infinita bellezza senza muovere un passo, oppure sublimare uno spasmo di paura, curare i singulti dell’anima adolescente, esprimere in fondo un niente che ci appare come un tutto.
Forse scrivendo io simulo la vita, più bella; di certo è un utile balsamo per curare le ferite dell’anima e mi consolo d’ essere come “una barca che anela al mare eppure lo teme… E sono ancora tanto ammaliato da nuovi orizzonti”. Ho preso a prestito le parole di Edgar Lee Masters per dire che il linguaggio della poesia usa principalmente due figure retoriche: la metafora e la similitudine. Anch’io ho creduto in quello che diceva Pasolini: “Io produco una merce, la poesia, che è inconsumabile: morirò io, morirà il mio editore, moriremo tutti noi (…) ma la poesia resterà inconsumata”. Così quando stento ad addormentarmi scrivo: “La notte non riesco a dormire/ ed allora scrivo i miei pensieri/ come preghiera interiore/ per sentirmi in vita/senza dover morire/. E chiamo poesia/ la mia inutile terapia/.
Con molta presunzione ho pensato di dare alle stampe un volume di poesie, dal titolo “La luce nella polvere”, edito per i tipi di Edda Edizioni . Ho scritto nella presentazione: “Forse la poesia è l’unico sentimento vivo e puro che resta ad offrire un po’ di luce in questo clima di tetro nichilismo che impera. Ed è pure strumento di indagine per decifrare il mistero di Natura che ci governa, perché l’anelito di verità non è mai sopito nell’animo dell’uomo, <l’altra verità>, quella che è nascosta tra le pieghe della mistificazione quotidiana. A volte si ha la sensazione di vivere come un’ombra, prodotta dalla luce quando questa raggiunge la polvere. Ed ecco il perché della silloge poetica. Ci si sente come un rimasuglio metafisisico tra malinconia e debolezza. A questa connotazione negativa ci affianca non di meno l’idea di ombra come preannuncio di luce. Ombra e luce vanno mano nella mano come il nulla del nichilismo più risoluto e l’essere fiducioso dell’eterno ritorno. E’ inutile negarlo: viviamo l’idea del disagio esistenziale, relazionale, affettivo, alimentato da un odello economico che promuove solo individualismo, narcisismo e arroganza. E soprattutto è venuto a mancare <il senso di aver errato nei confronti del divino> come affermava Socrate nel Fedro o meglio, come gli fa dire Platone suo discepolo dopo aver affrontato il discorso sull’Eros. La nostra coscienza si è ridotta al ruolo di voce senza suono. Non vogliamo più essere trattenuti di fronte a quello che desideriamo fare ed in questo ci riconosciamo in toto, figli di Madre Natura, peraltro malvagia nella sua indifferenza verso la sorte delle sue creature. Dunque la nostra voce di dentro non ha più i connotati del divino. E per trovare un po’ di consolazione per l’angoscia che ci procura questa solitudine non ci resta che affidarci al linguaggio simbolico della poesia che si espande in ogni direzione dell’animo umano come i cerchi d’acqua, <coscienza della coscienza>, tempio nel quale ci ritroviamo, <viventi pilastri> (come affermava Baudelaire). E resta in un verso, il privilegio di scoprire in un soffio di vento <il nulla alle nostre spalle ed il vuoto dietro con un terrore d’ubriaco>, catturando l’indefinibile ma universale dolore dell’animo umano. Riporto per pura vanità due liriche tratte dalla raccolta. La prima è dedicato al mare che adoro.
“Il mare invita a sottrarre l’eternità/ dall’oblio del momento/con una voglia di cambiamento/nella sua vampa azzurra/.Le sue voci restano per sempre lontane dalla notte/ e le svagate allegrezze dell’onda fanno cantare/chi, in un momento di vita, sospeso/è rimasto solo ad amare/” Ed ancora: ” Oggi/ mi sento/incline all’infinito,/memoria/di vita/ come futuro di granito/.
Ah, dimenticavo… Esiste anche un ultimo motivo per scrivere in poesia: dire grazie. Il volumetto infatti l’ho dedicato <a mia moglie che mi ha donato una vita nuova..> ed infine ho espresso gratitudine per la persona del notaio Enzo Motta, presidente del sodalizio Siculo -Savonese che mi ha indicato la rotta verso orizzonti infiniti di vita.

Detto ciò come premessa sono lieto di presentare una giovane poetessa dal nome Linda Miante, savonese che ha appena dato alle stampe un libro di poesie dal titolo: “Piccola biografia di periferie”, edito per i tipi dell’editore De Ferrari di Genova. Parlando per luoghi comuni si potrebbe dire che i giovani e la poesia siano due mondi lontani. Da tempo vogliono farci credere che la poesia sia morta o peggio, che sia appannaggio di residuali categorie di studiosi e appassionati, comunque certamente distante dalla sensibilità moderna delle nuove generazioni.
Pascoli diceva: “Ho un difetto o forse due. Ho una mente che pensa troppo e che sente tutto”. E così scrisse oltre trecento poesie, osservando sempre lo stesso parco, a riprova di quanto possa essere bella, la stessa cosa, ogni giorno quando la guardi con amore. Io penso che ci siano parecchi giovani che sì affidano alla poesia per guarire dalla loro sensibilità malata. Ma forse questo fenomeno non appare. Dov’è dunque l’antinomia? Antinomia non c’è: la presunta mancanza di interesse delle nuove generazioni è un falso problema.
Parliamo del linguaggio: il linguaggio di elezione dei giovani è immediato, concreto, essenziale, veloce e impregnato di realtà da un lato, mentre dall’altro è leggero e sognante. E’ esattamente il linguaggio della poesia. Niente più della poesia risponde in modo così efficace all’esigenza di immediatezza della nostra contemporaneità. Nemmeno la letteratura in prosa possiede questo carisma. Rispetto a quest’ultima, la poesia si avvantaggia di tempi brevi di lettura, di attimi che hanno il potere della folgorazione e della illuminazione improvvisa che si esprime lapidariamente, lasciando segni indelebili nell’animo umano, sempre più alla ricerca di stimoli e di nuove sollecitazioni di felicità.
La poesia è immediatamente innovativa, riesce in un niente a suggerire visioni, stordimenti, passioni, ricordi, riflessioni, tutto in pochissimi versi. La storia intera di una vita, di una esperienza, di un percorso lungo ed individuale può essere racchiusa in una breve poesia. Anche la forma ha la sua importanza: versi asciutti, concreti e meno bucolici del passato, con un lessico che attinga alla quotidianità e alle sue immagini, riescono ad esseri attuali ma non per questo meno visionari e profetici.
E’ il caso della poesia contemporanea che continua ad esprimersi attraverso un linguaggio rivisitato e modulato alle esigenze linguistiche del nostro tempo, più snelle, ma sempre attente a ricercare bellezza. Ma la cosa che più di tutte accomuna la poesia ai giovani è la capacità di ridare valore alla parola proprio laddove questa perde il suo significato e subisce un grave depauperameto, come avviene ad esempio con l’uso e l’abuso fattone dalla politica, per questo tanto distante dai giovani.

La poesia non è mai una parola vuota, essa ribalta le prospettiva, porta al centro la vita, esprime bisogni radicali, invita a forme estreme di resistenza. In una parola è rivoluzionaria, proprio come i giovani. Per ritornare a Linda Miante, laureata in Lettere Moderne e giornalista di professione, la poetessa savonese incarna a pieno titolo, il linguaggio della poesia moderna nelle sue principali caratteristiche semeiotiche e linguistiche sino alla dimensione relazionali dei <legami simbolici>.
Nel mondo della poesia moderna, le parole giocano un ruolo fondamentale tanto quanto le note in una sinfonia. Il potere delle parole nella poetica di Linda Miante è dirompente, in grado di suscitare emozioni e far riflettere con la magia della poesia. Sono come semi da piantare nel terreno fertile della nostra immaginazione. La Miante suscita con la sua opera immagini vivide ed è capace di evocare intense emozioni. E soprattutto provoca riflessioni. Questo è l’impatto che permette alla poesia di avere un impatto profondo sulla società e suscita empatia ma aumenta anche la consapevolezza ed ispira azioni, contribuendo così a portare avanti il cambiamento sociale.
Ma il poeta ed in questo caso la poetessa resta in primis l’incantatrice del mondo perché illumina il mondo con la luce in cui intride le sue parole. Andrea Galgano, poeta, scrittore e critico letterario, nella prefazione scrive: “A chi parla la voce di Linda Miante? Dove si situano la sua decisa rofondità, la speranza terragna dei suoi cromatismi, gli inciampi dei suoi culmini che tremano ed i suoi meridiani di ombre? Sembrano solstizi che invocano una pienezza di tempo, un’andatura decisa che si ferma sulle soglie per contemplarle, farle proprie, raccogliere memorie, attimi, incontri, balzare nelle fughe e sospendersi in sinestesie di elementi: “Decora con mani di sabbia il crepuscolo, la luna./ che dal mare ci allatta con i suoi fianchi prosperosi/ e dona caviglie su cui ancheggiano i templi. Cadono calcinacci calpestati da un superstite/ di salsedine vestito./ Al gharb il molo dei naufraghi,/ ancorati a lacrime straniere, /di bastimenti e diffidenti bestemmie/. Tornerà a casa, sangue versato?/Ma da che parte del mare/ se non in un riad marocchino/ in un circo/ in un ventre caldo?“.
Nella sua voce sfrontata e A chi parla la voce di Linda Miante? e umidori, e nelle sue descritte zone impervie realizza una compattezza che smaterializza e feconda ogni oggettività, entrando nei contrasti: “Io sono i miei passi/ e infestata da un pugno di sguardi/mi inseguo./ Guardo nelle finestre/sferzate da barbareschi venti/ e penso a chi vorrei essere,/ ma muri anciano anatemi scritti con le dita/.La mia città è invisibile abisso/tavolozza di colori improbabili che rotolando/ riverberano nel solletichio degli scafi./ Gioisco di imminente notte a coprirmi/ un attimo prima di colpirmi/”
Nella poesia non esistono i non-luoghi, come le periferie. Perché esse, pur essendo tali, diventano centro. Ogni angolo, anche sperduto o abbandonato, ogni concentrazione urbana, per citare le parole dell’autrice, diventa segno, simbolo, gesto, apertura del mondo. E così le dispersioni e le ultimità splendenti e ombrose liguri di ventano diventano un punto di soglie di grazia, qualcosa di metamorfico, orizzonti che si rivelano e si richiusono come solchi ed estati solenni.
“Meramorfosi di falene s’alzano con ali di cemento armato/nei cortili dei padri. Palazzi feroci e sdentati/pensano a sbudellarmi come una triglia/ciechi come statue/penetranti come galassie./” Nell’introduzione al volume, l’autrice entra nel vivo della sua poetica: “Sulle strade dell’imbrunire, orientarmi diventa un azzardo di specchi, e mentre me ne accorgo, i bucanieri dei mari notturni sono già sbarcati sulle rive del mio quartiere. Le ombre di facce appicicaticce della città si fanno granitiche, severe, e guidano il mio sguardo tra due mondi – uno al di qua e uno al di là dale finestre- o cui battiti si sfiorano, seppur divisi dalle sottili lastre di vetro. E dietro questo velo che è il momento di esordio, Sentieri liminali, cede il passo al secondo, Ordalia, le strade si slanciano dietro le case e viceversa, quasi un atto voyeuristico di bellezza. Così nello smog, creato dal respiro dei corpi, la città del primo momento, la città del primo momento appare fin da subito un doppio di sé stessa, un po’ remissiva e un po’ feroce, ma sempre dissacrante… Anche dopo la più lunga delle notti, riaffiora la luce e questa luce è un tuono, guida lo sguardo su quello che non vorrei vedere. La realtà svelata è più cruda dell’immaginazione: dal valzer tra ciò che è fuori e ciò che è dentro, mi ritrovo costretta in quel che è oltre (Lux orta est iusto), il terzo e ultimo momento. Un epilogo che,per angoscia e paradosso, potrebbe ricordare l’Epoque di Ferene Karinthy. Svaniti i sogni, è facile accorgersi che la dimensione urbana, non è che un’isola circondata da un tempo ingannevole, struggente e contraddittorio, come nell’inferno sognato da Magrelli“:
Montale considerava la poesia assolutamente inutile ma precisava che riflette una realtà inconoscibile e non può insegnare nulla di concreto. Nel suo discorso: “E’ ancora possibile la poesia”, fatto in occasione del premio Nobel per la Letteratura, il 12 Dicembre del 1975, precisa: “Io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo”. Ma Novalis aveva affermato: “La poesia è il reale, è la realtà assoluta” Ed ancora: “La poesia sana le ferite inferte nell’ìntelletto. Essa è appunto formata da elementi contrastanti: da una verità sublime e da un piacevole inganno”.
Gianfranco Barcella