Il 25 giugno del 1950 mi trovavo sul treno di Torino per Noli. Avevo otto anni e mi ricordo benissimo la data.
di Massimo Germano

Arriva il controllore e mio padre gli chiede se ci sarà il solito ritardo. Il controllore sorride, vidima i biglietti e poi dice: “Lei si preoccupa del ritardo…. ma non lo sa che è scoppiata le terza guerra mondiale?” Alla stazione di Ceva mio padre compra il giornale e legge che è stato attraversato il famoso trentottesimo parallelo. Era iniziata la guerra di Corea.
A me i ritardi non dispiacevano. Mi piaceva viaggiare in treno, parlare con la gente, più erano affollati e più mi divertivo. Con padre, madre, sorella maggiore e fratellino piccolo eravamo già in cinque tra di noi, praticamente occupavamo un
intero scompartimento. Ci sistemavamo come in una piccola casetta.
Se però nel corridoio restava in piedi qualche persona anziana ero io che dovevo alzarmi. Su questo mio padre non transigeva: “Massimo, lascia il posto alla signora”. Mi alzavo felice, qualche volta si rimediava una caramella. Viaggiare nel corridoio era il massimo. C’erano meno controlli, ci si poteva affacciare dai finestrini aperti, sentirsi schiaffeggiare
dal vento, sporgere un poco, ma poco poco, la mano, sentire l’aria fluire tra le dita, come l’acqua del mare. E poi nel corridoio si facevano gli incontri più interessanti, c’era persino gente che fumava, già allora il vizio di impestare la gente accendendo sigarette negli scompartimenti veniva poco tollerato.
A Ceva compravamo il panino con la frittata. Mai mangiato niente di più buono. C’era tutto il tempo di gustarlo con
tranquillità, dovevano cambiare la locomotiva. Da Ceva in poi iniziava il divertimento più grande. Si passava dalla corrente continua alla trifase e dal doppio binario al binario unico, iniziavano le gallerie. Erano soste a non finire, spesso si andava a passo d’uomo.
La galleria più lunga era tra Sale Langhe e Saliceto, era la Galleria del Belbo. Mio nonno m’aveva spiegato tutto: passava non solo sotto due montagne, ma anche sotto una valle, per farmelo capire bene m’aveva anche fatto il disegnino. Io cercavo di spiegarlo ai miei interlocutori occasionali, nel corridoio. Durante le interminabili soste già spezzavo il pane della scienza, ma senza grande successo, mi guardavano perplessi.
Arrivati al Cadibona iniziava la discesa verso Savona. C’erano due percorsi diversi, uno all’andata e l’altro per il ritorno, gallerie elicoidali, giravolte a non finire. Alle ultime curve si perdeva ogni controllo, ci si sporgeva pericolosamente, doveva intervenire l’autorità paterna. E finalmente arrivava lui, lo si indovinava nella lontananza, tra gli alberi e le case, tra una torre, un campanile ed una ciminiera. Era una linea precisa, azzurra e inconfondibile, era il mare.
Massimo Germano