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Storie segrete del ‘Grande Oriente’ massonico. Quei ‘fratelli muratori’ in casa con pistole e “pugnali dell’offesa”. Guerre in Tribunale


IL SOLE 24 ORE (14.03.2025).  Storie. Grande Oriente, quei fratelli in casa con pistole e “pugnali dell’offesa”. Sospeso un commissario e sindacalista della Polizia penitenziaria a Roma, scandalo evitato a Napoli – La dottrina del Goi e le guerre in Tribunale-
Servizio di Roberto Galullo-  Nel libro del Siracide (28,18) dell’Antico Testamento si legge che «la spada uccide tante persone ma ne uccide più la lingua che la spada». Nel Grande Oriente d’Italia (Goi) non si fanno metaforicamente mancare né le spade né la lingua e – quanto a vittime – sia l’una che l’altra ne stanno spargendo molte, a cominciare dal prestigio della stessa obbedienza massonica che conta circa 22.800 affiliati.

Spada o lingua? Difficile capire se bisogna partire prima dalla spada o dalla lingua. Per mere questioni cronologiche, partiamo dall’ultimo caso: quello del massone Domenico Pelliccia – sostituto commissario della Polizia penitenziaria, sindacalista di categoria, (ex) appartenente alla loggia Torrigiani di Roma – sospeso il 2 marzo 2025 a tempo indeterminato dal Goi. A ben vedere il suo caso, coniuga lingua e spada.
A difesa di un fratello- Già, perché Pelliccia, il 10 febbraio 2025 si trovava a Roma per difendere il fratello sardo Claudio Solinas nel procedimento di impugnazione proposto da quest’ultimo contro la sospensione inflittagli. A leggere la tavola d’accusa elevata il 28 febbraio 2025 contro Pelliccia, l’incontro romano viene descritto come la fase preliminare di una sfida all’Ok Corral, leggendario evento della storia del Far West: « (…) alterando vieppiù i toni, (Pelliccia, ndr) minacciava ricorsi verso qualunque decisione assunta ed annunciava, sempre con voce alterata, di abbandonare l’aula».
Pistola nella cintura- Siamo solo all’inizio perché l’atto d’accusa prosegue così: «In tutto questo contesto, particolarmente turbolento e poco attinente alle norme comportamentali dei nostri lavori massonici e senza riguardo alcuno alla sacralità del luogo, si vedeva con chiarezza un’arma, una pistola semiautomatica, portata da Pelliccia sul fianco destro alla cintura dei pantaloni. Stando il sottoscritto, in piedi alla destra del fratello. Pelliccia (che vociava anch’egli in piedi), in una posizione privilegiata, rispetto agli altri presenti, aveva modo di notare ripetutamente la pistola, anche perché lo spacco laterale della giacca sportiva, a quadri, di colore marroncino e leggermente aderente, non la occultava, anzi la poneva in bella vista. Gli stessi atteggiamenti del fratello Pelliccia, che continuamente stringeva la giacca stessa, evidenziavano l’arma, tenuta sul suo fianco destro, facendola sporgere sotto il bordo della giacca stessa in bella vista al sottoscritto».
Gesto consapevole?- Il sostituto commissario di Polizia penitenziaria con giacca marroncina aderente – iscritto da decenni al Grande Oriente – prosegue il racconto a verbale, «forse colpevolmente ha portato al seguito e introdotto un’arma, apparsa bene in vista, in uno spazio adibito per quella specifica funzione ad
aula processuale massonica e nell’espletamento di un compito massonico».
Arrivederci in Tribunale- Accuse gravissime alle quali Pelliccia33° grado del Rito Scozzese antico e accettato, con il quale il Goi vuole definitivamente rompere ogni rapporto – risponde così con una lettera del 7 marzo 2025 spedita al Gran Maestro in prorogatio Stefano Bisi, al Gran Maestro Taroni e al Sovrano Gran
Commendatore del Rito Giulio Nigro: « (…) poiché non potrò difendermi nei tribunali domestici, infatti i documenti da mostrare sono delle Istituzioni statali e non di pubblico dominio, non potrò pertanto renderli disponibili ad
un semplice tribunale interno (…) Altri che hanno l’autorità potranno leggere e decidere in merito…». In altre parole, i tribunali ai quali rivolgersi saranno quelli dello Stato e senza percorrere i gradi della giustizia massonica, con tutti i rischi che questo comporta poiché il giudice civile può facilmente obiettare questa carenza e
dunque eludere ogni speranza di soddisfazione nella giustizia “profana”.
Casa massonica a Napoli- Armi e parola sono un binomio pericolosissimo in qualunque sede. Prendete quel che accadde a Napoli nel marzo 2017 e di cui – per la prima volta – il Sole 24 Ore è in grado di ricostruire gli eventi secondo quella che è l’unica testimonianza resa da un allora apprendista muratore nel corso di un’ispezione magistrale disposta nel 2022 dal Goi nei confronti della loggia Losanna di Napoli, poi abbattuta dalla stessa obbedienza.
Tra i motivi c’è verosimilmente anche quanto accadde esattamente otto anni fa e tenuto lontano dai riflettori. Al netto, come nel caso precedente, della frattura profonda e delle insanabili divergenze di vedute tra le due diverse anime del Grande Oriente, quella riconducibile a Stefano Bisi e Antonio Seminario (Gran Maestro sospeso) da una parte e dall’altra gli oppositori, oggi coagulati principalmente intorno alla figura del Gran Maestro Leo Taroni e, per gli “scozzesi”, dello stesso Taroni e Nigro.
Profonde fratture e divergenze insanabili – ancor più gravi con l’avvicinarsi della Gran Loggia del 4 e 5 aprile 2025 a Rimini – che sembrano attraversare anche orientamenti, comportamenti, scelte e decisioni prese nelle aule della
giustizia massonica.
Una penna argentata- Si ripete che è l’unica ricostruzione di un fratello del Goi a Napoli e che mai altre (seppure, ancora oggi, insistentemente circolanti tra moti fratelli napoletani) sono state raccolte. Leggiamola. « (…) mentre mi trovavo nella Galleria Umberto I ho trovato per terra quella che mi sembrò una penna argentata, Arrivato in casa massonica e incontrato nella sala dei passi perduti il fratello (omissis), gli feci vedere la penna trovata e con mio grande stupore dalla penna partì un colpo che si rivelò un proiettile che andò a conficcarsi all’interno del mio torace. Sentendo un forte dolore al petto e vedendo una copiosa perdita di sangue, mi portai la mano al petto per tamponare il sanguinamento, capendo all’improvviso che si tratta di una “penna pistola”. Mi rivolsi al fratello (omissis), anche lui come me medico e gli dissi testualmente: “Andiamo subito via di qua perché non voglio coinvolgere nessuno”. Usciti dalla casa massonica al di fuori della Galleria Umberto I, il fratello (omissis) mi assistette e chiamò i soccorsi e le Forze dell’Ordine. Venni portato in ospedale per le immediate cure del caso. (…) In questi anni, ripensando all’accaduto, sono felice della scelta fatta, ossia di essermi allontanato dalla casa massonica, perché questo ha evitato uno scandalo che avrebbe coinvolto l’istituzione massonica a cui mi onoro di appartenere: il
Grande Oriente d’Italia».
L’onore è salvo- L’onore del Goi è salvo e non a caso, il fratello ferito (e guarito) afferma che «a riprova di ciò testimoniano i servizi giornalistici su carta stampata e video tg che nei giorni successivi parlarono abbondantemente dell’accaduto senza mai metterlo in relazione con l’istituzione massonica in generale e la mia appartenenza in particolare. Tengo a precisare che la conclusione delle indagini svolte dalle Forze dell’ordine hanno accertato la completa assenza di responsabilità del sottoscritto e del fratello (omissis)».
La morale- La morale che si trae anche da questi casi è la fiducia incondizionata che, per il vertice del Goi negli ultimi 11 anni, deve essere nutrita verso la giustizia massonica, che è in grado di risolvere ogni contesa tra fratelli, qualunque sia l’evento o la causa diretta o indiretta che la scatena. Una visione – come dimostra, da ultimo, la reazione di Pelliccia – contestata proprio da quella parte che si riconosce in Taroni. Visioni diverse che si affrontano –
paradossalmente – da anni nelle aule del Tribunale civile di Roma.
Il pugnale dell’offesa- Proprio in vista della Gran Loggia di Rimini, Michele Pietrangeli, Grande Oratore del Goi, “nella relazione morale”, invita i fratelli « (…) a riflettere sul danno che queste condotte stanno arrecando alla nostra comunione ricordando che gli antichi doveri ci impongono di risolvere le nostre controversie “senza animosità e senza collera, affinché tutti possano vedere la benefica influenza della muratoria, come tutti i veri muratori hanno fatto dal principio del mondo e faranno fino alla fine del tempo”. Consapevoli che quando si sceglie di usare il pugnale dell’offesa, della denigrazione dei fratelli, del tradimento, facendo partecipare i profani ai nostri lavori non vi è più la colpa ma il dolo di voler distruggere la massoneria. La via del perfezionamento interiore passa attraverso il confronto leale e fraterno, non attraverso l’anonimato dei social o lo scontro profano nelle aule dei
Tribunali».
Conoscenza ed etica- Secondo il Grande Oratore del Goi la questione della giustizia domestica, che ha visto alcuni fratelli rivolgersi ai tribunali profani prima ancora che la Corte Centrale si pronunciasse, rivela la frattura tra conoscenza ed etica. «Chi sceglie di non riconoscere gli organi di giustizia massonica non solo viola un
precetto costituzionale – afferma Pietrangeli ma dimostra di non aver compreso che il percorso iniziatico richiede la subordinazione degli interessi personali ai principi superiori dell’ordine».
E ancora: «Il diritto alla giustizia è un bene assoluto! Ma ricorrere alla giustizia profana senza percorrere prima incessantemente il metodo iniziatico per la soluzione delle controversie significa tradire i precetti degli antichi doveri che sul punto sono chiarissimi: “Non dovete intraprendere un processo legale a meno che il caso non possa venire risolto in altro modo” e si deve “pazientemente affidarsi all’onesto e amichevole consiglio del Maestro e dei compagni».
Il “carico”– Il “carico” in appoggio arriva, sempre in vista della Gran Loggia di Rimini, da Gianluca Serravalle, Oratore del Consiglio dell’ordine, che nella relazione afferma: «Più volte in questi anni, il Consiglio dell’ordine è intervenuto sull’argomento relativo ai rapporti tra giustizia massonica e giustizia profana, stigmatizzando il comportamento di quei fratelli che si rivolgono alla giustizia profana e non riconoscono le decisioni della nostra giustizia domestica. Ma se questi sono gli esiti, allora bisogna riconoscere che il risultato fin qui ottenuto non è stato certo quello sperato. Il tema è assai rilevante e non più procrastinabile e va affrontato in maniera risolutiva e definitiva per il presente, ma, soprattutto, per il futuro della libera muratoria (…) Ricorrere alla giustizia massonica e rispettarne le decisioni per tutto quanto attiene al rapporto con l’Ordine e alle vicende dell’Ordine è un principio di etica massonica imprescindibile».
Situazione «da affrontare in maniera risolutiva e definitiva». Già ma quale?
Liti senza freni- C’è da chiedersi quali siano i limiti di questa contesa e quando davvero – sia chiaro, lo Stato – scriverà una parola definitiva su queste surreali situazioni, che producono scontri che lasciano senza parole.
Il 7 marzo 2025 gli avvocati del Goi Umberto Limongelli e Raffaele D’Ottavio, nella terza e ultima memoria consegnata al Tribunale di Roma in vista dell’udienza del 17 marzo 2025 che potrebbe mettere un punto alle liti tra la Lista Taroni e la Lista Seminario, scrivono, con riferimento ad una memoria del fratello messinese Silverio Magno, riprodotta parzialmente dai legali di Taroni, che « (…) in detto stralcio documentale, si denuncia con toni dal tratto delirante l’esistenza di un asserito sistema di epurazione interna che si assumerebbe essere eversivamente al di sopra dell’autorità giudiziaria ordinaria».
Nessuna sovversione- Niente di più falso – continuano gli avvocati del Goi – «e i repertori giurisprudenziali dell’adito Tribunale risalenti a decenni addietro hanno da sempre correttamente qualificato il sistema disciplinare interno come un procedimento associativo che non esclude in alcun modo – nemmeno con clausole compromissorie di arbitrati irrituali – il successivo intervento dell’Autorità giudiziaria ordinaria. L’intento dichiarato dalle controparti è quello di far apparire l’associazione deducente come sovversiva rispetto ai poteri dello Stato. Le controparti a
pretesa comprova della asserita prevalenza della “giustizia massonica” sulla “giustizia profana” allegano il modulo dichiarativo che viene proposto ai nuovi associati per la iscrizione. Ebbene non si ravvedono le controparti che proprio
in quel modulo viene sempre fatto salvo espressamente – con esclusione di valore di clausola compromissoria (che ex se non sarebbe illegale) – il ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria; si legge in detta dichiarazione: “Rimane
salvo il diritto ad agire innanzi ai competenti organi giurisdizionali dello Stato per la nullità dei lodi domestici arbitrali di cui al comma precedente”. In claris non fit interpretatio». Vale a dire che la chiarezza della questione non dà luogo ad interpretazioni.
Fit interpretatio- Non è stato così finora, tantomeno per gli avvocati della Lista Taroni Alessandro de Belvis e Pieremilio Sammarco (e per adesione l’avvocato Marco Panone in rappresentanza dei fratelli Marco Boccacci e Stefano Lami, ex candidati della Lista di Pasquale La Pesa alla Gran Maestranza 2024/2029), che lo stesso 7 marzo hanno presentato una propria memoria, sempre alla XVI sezione del Tribunale civile di Roma. Nel ribadire quanto scritto nelle memorie precedenti, si legge, a proposito della inammissibilità ed improcedibilità della domanda a seguito dell’adozione del provvedimento associativo definitivo/sostitutivo di quello impugnato, che «(…) l’intera storia già esposta da entrambi i contendenti su questo atto, anzi proprio dalla controparte, esclude quanto sopra e la dice
lunga sulla reale intenzione del Goi (che lo ha profuso in altri scritti ufficiali già in atti) di “superare” la giustizia ordinaria per affermare le proprie antidemocratiche impostazioni. Nel precedente scritto difensivo si è documentalmente dimostrato quale sia il reale pensiero dell’attuale dirigenza Goi sulla giustizia ordinaria…che in nessun caso si deve occupare delle “faccende” Goi…non ci si ripete al riguardo, più chiaro di così!!».
Doppio punto esclamativo.
Papa Francesco e il Siracide- Non resta che affidarsi alla lingua di Papa Francesco, con le parole pronunciate in udienza generale il 15 dicembre 2021: «(…) le nostre parole possono diventare adulazione, vanagloria, bugia, maldicenza, calunnia. È un dato di esperienza che, come ci ricorda il Libro del Siracide, “ne uccide più la lingua che la spada”». Il Siracide –libro scritto intorno al 180 a.C. da Gesù Ben Sira, per il quale la sapienza è una sintesi di esperienza e rivelazione – così prosegue a proposito della lingua e, dunque, delle parole: «Fortunato chi è al riparo dei suoi colpi e chi non ha provato il suo furore, chi non ha dovuto portare il giogo della lingua e non è mai stato legato con le sue catene. Il giogo della lingua cattiva è un giogo di ferro e le sue catene sono catene di bronzo. Meglio la morte che ascoltare una lingua simile, perché la morte con cui ti colpisce è terribile. Ma la lingua cattiva non ha presa sui credenti e la sua fiamma non riesce a raggiungerli. Invece essa colpisce quelli che abbandonano il Signore. In loro la lingua brucia senza spegnersi mai: li assale come un leone e li sbrana come una pantera».

 


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