Nello scrivere il libro ” Una donna garibaldina. L’avventurosa storia di Rosalie Montmasson da Quarto a Calatafimi” edito da Erga ed. (Genova) sulla figura quasi sconosciuta dell’unica donna che partecipò alla Spedizione dei Mille, mi ha incuriosito – oltre a quella della protagonista- anche la personalità di Nino Bixio.
di Tiziano Franzi
Anch’egli fece parte di quella Spedizione che è stata definita “la più straordinaria avventura” del Risorgimento italiano, con funzioni di responsabilità e di comando, ma pochi conoscono i particolari che caratterizzarono la sua vita e la sua indole con note di originalità, spregiudicatezza e del fascino di chi ha condotto un’esistenza spesso border line.
Dall’infanzia al carcere- Gerolamo Bixio, ottavo e ultimo figlio di Colomba Caffarelli e di Tommaso Bixio, direttore della Zecca di Genova, a nove anni rimase orfano della madre. Il suo carattere particolarmente ribelle e la reciproca insofferenza con la matrigna Maria, della quale il padre era succube, furono tra le principali cause dei difficili rapporti con la famiglia.
Espulso più volte dalla scuola, a 13 anni fu imbarcato come mozzo a bordo del brigantino “Oreste e Pilade” che salpava per le Americhe, dove per la sua giovane età gli venne affibbiato il nomignolo di “Nino”, che lo accompagnerà per tutta la vita.
Rimase in mare per tre anni e fece ritorno a Genova nel 1837, ma per lui la porta di casa a Castelletto era sbarrata perché la seconda moglie del padre non volle neppure sentirne pronunciare il nome. Così, a diciassette anni, fu costretto a vivere tra le vecchie baracche della zona portuale, tra quelle povere persone da cui imparò a cavarsela anche in caso di avversità economiche, sfamato a volte da una scodella di minestra passatagli di nascosto dai fratelli attraverso la finestra. Visto il suo immutato carattere indocile, la matrigna pensò di servirsene per sostituire nel servizio militare in marina il fratello Giuseppe, che voleva entrare nell’Ordine dei Gesuiti, come poi avvenne. Nino si oppose e fu denunciato dai genitori come ribelle all’autorità paterna e fatto arrestare con uno stratagemma.
La vita di mare- Dopo molte settimane di carcere, nel novembre 1837, si rassegnò ad arruolarsi “volontario” nella marina del Regno di Sardegna, come sostituto del fratello e a imbarcarsi sul piroscafo “Aquila”. Preso a ben volere dal capitano Millelire, poté studiare e formarsi per la carriera nella marina militare sarda. Nel 1844, grazie all’intervento del fratello maggiore Alessandro, che in Francia era divenuto un importante funzionario di banca, Nino fu inaspettatamente congedato.
Tornato a Genova, si innamorò della giovane nipote Adelaide Parodi, figlia della sorella maggiore Marina, con cui visse un lunghissimo rapporto clandestino, osteggiato dai familiari, prima di portarla all’altare undici anni più tardi.
Grazie all’esperienza maturata nel Mediterraneo e nell’oceano Atlantico, fu ingaggiato come capitano in seconda su un bastimento mercantile diretto in Brasile. Ma nel porto di Rio de Janeiro gli fu comunicato che l’armatore aveva ceduta la nave ad un’altra società che l’avrebbe utilizzata per il trasporto degli schiavi dall’Africa, offrendogli il comando. Bixio rifiutò e scese a terra con tre compagni italiani, ben sapendo che quel rifiuto avrebbe troncata sul nascere la sua carriera di capitano mercantile.
Ma quella in mare era ormai la sua vita e così fu ingaggiato come secondo nostromo sul bastimento del capitano Baxter diretto nei mari della Malesia per raccogliere un carico di pepe da portare negli Stati Uniti d’America. Un viaggio molto avventuroso per innumerevoli episodi, che cominciarono con l’abbandono della nave da parte di Bixio e di due compagni a bordo di una scialuppa, per un furibondo litigio con il comandante. La scialuppa naufragò sugli scogli e, nel tentativo di raggiungere a nuoto la terraferma, i tre furono attaccati dagli squali. Un compagno fu sbranato, l’altro impazzì per lo spavento. Catturato dagli indigeni Bixio, dopo avere rifiutato di sposare la regina di quella popolazione, fu ceduto ad alcuni mercanti di schiavi e fortunatamente acquistato dallo stesso capitano Baxter che, dopo averlo riscattato, lo riprese a bordo, sbarcandolo nel porto di Salem (Massachusetts, USA), da dove raggiunse Anversa (Olanda), poi Genova e infine Parigi, dove si riunì al fratello Alessandro.
Dalla passione politica ai combattimenti armati- A Parigi conobbe Giuseppe Mazzini, che ebbe su Nino una grande influenza nell’iniziarlo all’idea di un’Italia unita e repubblicana. Al suo ritorno in Italia, dando al fervore e all’intraprendenza della sua personalità un nuovo obiettivo, partecipò attivamente ai movimenti che precedettero la “Primavera dei popoli“. La sera del 4 novembre 1847, durante una manifestazione in piazza Carlo Felice a Torino, fermò il cavallo di Carlo Alberto di Savoia afferrandolo per le briglie e gli disse: «Sire, passate il Ticino e siamo tutti con voi».
Nino Bixio, in abiti civili, all’età di circa trent’anni.
Nel 1848 partecipò come volontario alla prima guerra di indipendenza con il grado di sottotenente. Poi raggiunse Roma, al seguito di Garibaldi, nel vano tentativo di difendere la neonata Repubblica Romana dall’attacco dei francesi, compiendo azioni che dimostrarono una determinazione e un’audacia che rasentavano la temerarietà, fino a essere ferito ben due volte.
La sua successiva azione “da prima pagina” fu, nel 1852, il tentativo di rapire l’imperatore Francesco Giuseppe nel corso della sua visita a Venezia e Milano, sventato dalla polizia austriaca.
L’impresa dei Mille
Nel 1859, durante la seconda guerra di indipendenza fu nuovamente al fianco di Garibaldi nei Cacciatori delle Alpi dove comandò un battaglione col grado di maggiore, combattendo valorosamente, tanto da essere insignito della Croce Militare di Savoia.
L’anno successivo fu tra gli organizzatori della Spedizione dei Mille alla conquista del Regno delle Due Sicilie. Grazie alla sua esperienza marinara, Bixio riuscì ad impadronirsi con un’azione furtiva (in realtà segretamente concordata con il direttore amministrativo della società di navigazione Rubattino Giovanni Battista Fauché) delle navi “Piemonte” e “Lombardo”, quest’ultima da lui comandata nel viaggio da Quarto a Marsala.
Prese parte alla battaglia di Calatafimi, comandando il 1º battaglione e, successivamente all’insurrezione di Palermo, guidando l’assalto al ponte dell’Ammiraglio. Nei combattimenti riportò una ferita alla clavicola causata da una palla vagante. Dopo una breve convalescenza, fu incaricato di guidare la 1ª Brigata della Divisione Turr verso Corleone e Girgenti, espletando anche incarichi di polizia militare, su disposizioni di Garibaldi.
E’ in questa veste che guidò un’azione che la Storia ha bollato come un vero e proprio eccidio.
Nel paese di Bronte, sulle pendici dell’Etna, il malcontento popolare dei molti che avevano invano sperato che Garibaldi avrebbe portato libertà e giustizia, diventò vera e propria rivolta. La violenza non si arrestò alle cose: 16 persone trovarono una morte violenta, tra cui il prete, il notaio e i figli del barone locale. Garibaldi decise che quella rivolta doveva essere sedata al più presto e in qualunque modo. Così Nino Bixio fu inviato in paese a capo di un battaglione di camicie rosse, per ripristinare lo status quo. Un tribunale militare, istituito per l’occasione, giudicò sommariamente ben 150 persone: di queste 5 furono condannate a morte mediante fucilazione. I cadaveri, come monito per gli altri, furono lasciati insepolti ed esposti allo sguardo della popolazione. Ma uno, forse lo “scemo del villaggio” riuscì a scappare, suonando una trombetta per incitare la popolazione ( o forse soltanto perché non c’era con la testa). Acciuffato immediatamente, fu messo in riga accanto ai corpi degli altri fucilati. Nessun soldato ebbe il coraggio di sparare su quest’ultimo: fu ucciso da Bixio con un colpo di pistola alla testa.
Bixio aveva un carattere duro e difficile, che creava problemi ai suoi soldati, i quali però ne ammiravano le grandi doti di combattente; di lui Giulio Cesare Abba in scrisse:«… Se una palla lo togliesse di mezzo sarebbe come ad avere le nostre forze scemate a un tratto un bel poco: e se il Borbone avesse un uffiziale come Bixio, forse …. ma no non voglio scrivere questo pensiero. »
L’immagine è rivelatrice della sua personalità: nessuna posa militare, ma di rilassatezza e quasi di disimpegno, appoggiato alla spada come a un bastone, con il berretto sistemato volutamente “fuori ordinanza” e uno sguardo più di sfida che di fierezza.
Bestemmiatore incallito e apertamente anticlericale, era un uomo facile all’ira, anche per futili motivi. Non vendicativo, ma “fumantino” come direbbero in Toscana. Non era facile condividere con lui la vita su una nave o sui campi di battaglia, ma di lui tutti apprezzavano la sincerità (non aveva “peli sulla lingua”) e la totale dedizione alla causa in cui credeva. Più che dare ordini, li gridava e il parlare a voce alta era un’altra sua caratteristica che ne denotava la volontà di imporsi su tutti; “la gente era usa perdonargli volentieri per la sua gran bravura, e perché sapeva che certi tratti di ferocia fu solito commetterli quasi senza accorgersene trascinandovelo con forza superiore alla volontà l’indole impetuosa e insofferente d’ogni contrasto anche minimo.“, annota sempre Giulio Cesare Abba
Di qui anche l’egoismo autoritaristico, che talvolta raggiungeva il delirio d’onnipotenza su quanti lo circondavano. “Qui io sono tutto, lo Czar, il Sultano, il Papa, sono Nino Bixio! Dovete obbedirmi tutti, guai chi osasse un’alzata di spalle, guai chi pensasse di ammutinarsi! Uscirei con il mio uniforme, colla mia sciabola, con le mie decorazioni e vi ucciderei tutti!” Un’aggressività che si estrinsecava in minacce e insulti ai sottoposti (“udimmo chiaro che Bixio gridava – Carogne, carogne tutti! – e simili altri titoli che aveva sempre in bocca quando il diavolo gli metteva addosso il rovello“), con inconsulti e imprevedibili scoppi di violenza, che Abba ricorda con un timore di certo usuale nella truppa: “Stiamo a vedere, pensai, che Bixio gli scarica addosso una pistolettata“. L’innesco poteva essere evidentemente il più trascurabile e soggettivo (“Uno sguardo, una parola; non basta? Gli scatta via magari una sciabolata“), come nel caso, raccontato da Banti, dei marinai addormentatisi alla calura del pomeriggio e colpiti col fucile “non altrimenti che battesse le spighe del grano“; o della evidente prepotenza fatta alla divisione Medici per imbarcarsi a forza per primo dalla Calabria a Napoli.
La carriera politica- Alle elezioni politiche italiane del 1861 si presentò candidato nel 2º collegio di Genova, risultando eletto deputato del Regno e più volte rieletto. Dedicò la sua attività parlamentare a promuovere ogni possibile azione per liberare Venezia e Roma. Nella primavera del 1861 tentò invano di mediare e riconciliare le posizioni di Cavour e Garibaldi.
Bixio tornò sul campo di battaglia nell’estate 1866 tra le file del Regio esercito come luogotenente generale, comandante della 7ª Divisione alla battaglia di Custoza nel corso della terza guerra d’indipendenza, meritando una medaglia d’oro al valor militare.
Nominato senatore del Regno il 6 febbraio del 1870, nello stesso anno partecipò alla Presa di Roma.
Nel giugno 1871 fu collocato a riposo dall’esercito.

Ancora per mare, fino alla morte- Successivamente riprese il mare,con una società di navigazione per il collegamento commerciale dell’Italia con l’Estremo Oriente. Durante una traversata si ammalò di colera e morì a 52 anni, il 16 dicembre 1873 sull’isola di Weh (nei pressi di Banda Aceh, isola di Sumatra), dove fu provvisoriamente sepolto in attesa di poterne traslare la salma in patria.]
La tomba di Bixio venne presto profanata e saccheggiata da tre indigeni, due dei quali vennero contagiati dal colera e ne morirono. Tre anni dopo, grazie alle indicazioni del terzo sopravvissuto, fu possibile rintracciare i resti di Bixio, che vennero cremati a cura del Consolato italiano di Singapore. Le sue ceneri furono portate a Genova nel 1877 e inumate all’interno del Pantheon nel Cimitero di Staglieno.
La tomba nel Cimitero di Staglieno, Genova, Cappella dei Suffragi, Pantheon T IV
Tiziano Franzi