Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Fantasmi in Riviera e a Genova


Tra le molte leggende popolari che, prima oralmente e poi in forma scritta, riguardano la nostra regione, molte trattano di pirati e barbareschi, ma alcune di fantasmi. Come le seguenti.

di Tiziano Franzi

Il Fantasma dell’Opera di Genova

A Genova, dove oggi é Piazza De Ferrari, centro ideale della città ed il Teatro dell’opera Carlo Felice, anticamente era ubicata la chiesa ed il monastero di San Domenico. La chiesa fu eretta alla fine del XIV ° secolo dove esisteva un tempio sotterraneo dedicato al dio Mitra e dal 1540 fu sede del famigerato Tribunale della Santa Inquisizione, detto ciò quale antefatto alla nostra storia, in vico del Filo visse ed ebbe una bottega un mastro liutaio che di nome faceva Battista Carbone, il Carbone aveva una figlia di nome Leyla, che oltre ad essere bellissima, suonava il liuto e cantava con una voce dolcissima, così bella da far innamorare il giovane Camillo Negrone, figlio d’una delle più facoltose famiglie patrizie di Genova. Quando l’amore tra i due giovani fu di pubblico dominio, i Negrone si infuriarono all’idea che il loro figlio impalmasse la figlia d’un semplice artigiano ed anche perché loro avevano già promesso il ragazzo ad Isabella figlia della ricca famiglia dei Dureto. La madre di Isabella, venuta a conoscenza che Camillo di sposare sua figlia non ne voleva più sapere, pagò una delinquente di nome Garbarino perché denunciasse Leyla d’aver rubato ostie consacrate dalla chiesa di Santa Maria delle Vigne per poter fare sortilegi e fatture, in pratica l’accusò di stregoneria, dopodiché gli armigeri si presentarono alla casa del Liutaio, presero Leyla e la trascinarono davanti ai giudici del tribunale dell’ Inquisizione i quali le intimarono di confessare spontaneamente le sue colpe e dato che la povera ragazza, che al tempo aveva solo 16 anni, piangendo si dichiarò innocente, la fecero rinchiudere nelle segrete del monastero dove esisteva una stanza detta ” examinatorio ” nella quale con beneplacito papale si poteva esercitare la tortura sino alla piena “spontanea ” confessione del reo, in questo caso della rea, ma Leyla non resse a tante emozioni e cattiverie ed il suo giovane cuore si spezzò.

Appena ne fu accertato il decesso, la ragazza fu sepolta in una cripta del Monastero in fretta e furia e di lei non si seppe più nulla. Passarono gli anni, la Serenissima Repubblica cadde con l’arrivo di Bonaparte, poi ci fu l’annessione al regno del Piemonte e Sardegna, il monastero e la chiesa di San Domenico andarono in rovina e furono demoliti definitivamente per volontà del re Carlo Felice, al suo posto venne costruito un monumentale teatro dell’Opera e qui nel 1828 ci fu la prima apparizione, durante una rappresentazione fu vista nel foyer del teatro una bellissima giovane dai capelli lunghi e sciolti, vestita con un abito di velluto scuro che le arrivava sino ai piedi, al suo passaggio restò nell’aria un tenue profumo di rose, il suo viso aveva un’espressione dolce ma triste e come comparve misteriosamente così scomparve. Successivamente molti la videro in altre occasioni ed alcuni affermano che in mano talvolta stringe un liuto sul suo cuore.

G.B. Probst, Monastero di San Domenico, incisione del 1730

Il Fantasma del Castello della Lucertola ad Apricale

Ad Apricale, si dice che al Castello detto della Lucertola, del X secolo, ci sia un fantasma.

Sarebbe la bellissima contessa Cristina Anna Bellomo (1861-1904), che visse nel maniero a cavallo tra il 1800 e il 1900. La sua vita ricorda un po’ quella delle principesse delle fiabe ma purtroppo senza il tradizionale lieto fine. Stando a quanto riportato da documenti, la contessa nacque nel 1861 da una famiglia molto povera. Si sposò giovanissima con Giobatta Pisano, detto Battilosso, ma trasferitisi a Nizza, stupenda città della Costa Azzurra, Cristina fu abbandonata dal marito che, nel tentativo di sottrarsi ai gendarmi che lo ricercavano perché coinvolto in fatti illeciti, scappò in America.

Dopo una vita avventurosa, la contessa convocò il marito, Giobatta Pisano, ad Apricale, per discutere circa le modalità di scioglimento del loro vincolo. Forse abbagliato dalla sua, magari dopo un’accesa discussione, il Giobatta uccise Cristina Anna Bellomo, suicidandosi subito dopo: oggi come allora un femminicidio ingiustificato. Era 30 maggio 1904: a soli 43 anni perdeva la vita, uccisa dalla furia omicida del consorte, Cristina Anna Bellomo “Contessa della Torre”.

Apricale e il Castello della Lucertola

A Lerici il poeta Shelley appare durante le notti di tempesta

La storia di Percy Bysshe Shelley uno dei più importanti poeti romantici inglesi è un mistero ancora oggi. Lui e la moglie, Mary Shelley (figlia dell’anarchico William Godwin e autrice di “Frankenstein“), si stabilirono a villa Magni di Lerici nell’aprile del 1822. Attorno a loro si formò una piccola comunità di artisti e intellettuali, i cui componenti trascorrevano giornate dedite all’amore libero, alla letteratura, alle passeggiate, alle gite in barca.

In quell’estate, Percy ha in programma un viaggio a Livorno con la sua barca, la Ariel, goletta cui aveva dato il nome del folletto buono della Tempesta di Shakespeare. Mary lo avrebbe atteso a Villa Magni che i locali, un po’ per superstizione, un po’ per le abitudini scandalose degli occupanti, chiamavano “la casa del diavolo“, ma l’attesa fu carica di preoccupazione: la scrittrice avrebbe avuto dei brutti sogni premonitori e il giorno prima aveva sognato un morto sotto un velo bagnato dall’acqua.

Il 1° luglio Shelley partì, incontrò i suoi amici, ma al ritorno, a dieci miglia da Viareggio, l’8 luglio, l’Ariel fu sorpreso da una terribile tempesta e affondò. Nessuno a bordo sopravvisse. Il corpo di Percy Shelley fu  ritrovato solo dopo dieci giorni. Molte delle ammiratrici di Shelley giurarono di aver visto il suo fantasma emergere dalle onde. Il mistero del naufragio di Shelley è ben raccontato nel libro “La casa delle onde” dello scrittore ligure Giuseppe Conte.

Lerici

Ca’ de Anime: la locanda maledetta di Voltri

La locanda “maledetta” di Voltri

Sulle alture di Voltri, tra mare e monti, si trova Ca’ de Anime, come dicevamo oggi regolarmente abitata, un’antica costruzione che secondo la leggenda fu teatro di orribili e oscuri eventi nel Medioevo. La storia narra che la casa fosse una locanda frequentata da viaggiatori, mercanti e guerrieri. Tuttavia, i locandieri, briganti senza scrupoli, nascondevano un oscuro segreto dietro le sue mura. Un’eventualità non rarissima per chi si avventurava verso le Alpi Marittime per raggiungere la pianura. I briganti potevano essere bande pronte a predare lungo il tragitto oppure, come in questo caso, in attesa presso i rifugi che si trovavano per la strada.

I viaggiatori, accolti e rifocillati, venivano condotti in una stanza tranquilla, accessibile anche tramite un passaggio segreto, dove venivano brutalmente uccisi e derubati. Alcuni racconti descrivono un macabro inganno, con il soffitto della stanza che si abbassava fino a schiacciare le vittime. La scoperta dei delitti, seguita dalla cattura e condanna dei locandieri, gettò un’ombra inquietante sulla casa.

Dopo quegli eventi tragici, Ca’ de Anime divenne famigerata e nessuno volle più abitarvi per secoli, fino a quando, durante la Seconda Guerra Mondiale, una famiglia di sfollati, nonostante la conoscenza della sua oscura storia, decise di stabilirsi lì. Tuttavia, ben presto iniziarono a verificarsi fenomeni inspiegabili: porte che si aprivano da sole, oggetti che si spostavano autonomamente e lamenti provenienti dalle stanze vuote. I classici fenomeni di una casa infestata dai fantasmi. Da qui parte l’innesto di un’altra storia che si rifà a una leggenda metropolitana proveniente sempre dalla stessa zona, quello del fantasma sulla A26 che vede gli automobilisti soccorrere una ragazza per poi scoprire in diversi modi che si trattava di una vittima dei nazisti uccisa durante la guerra, oppure morta in un incidente stradale.

Nella versione della Cà delle Anime si nota un’ulteriore variazione. Una notte, secondo questa versione, una strana fanciulla vestita di bianco con in mano una rosa (l’elemento floreale ricorre spesso nelle storie dei fantasmi) bussò alla porta, chiedendo notizie del suo fidanzato. Nessuno sapeva chi fosse salvo poi comprendere che si trattava di una delle tante vittime dei locandieri.

Così, dopo aver appreso della morte del suo amore per mano dei vecchi abitanti della casa, la fanciulla si dissolse nel nulla, lasciando dietro di sé il dolce aroma delle rose. La famiglia, spaventata, decise di abbandonare definitivamente la casa, che divenne nota come Ca’ de Anime, evitata da chiunque per lungo tempo, tranne che per i coraggiosi o gli incuriositi dalle leggende che circondavano quei luoghi.

 

Tre fantasmi a Savona- Tra le altre leggende savonesi, tre riguardano storie di fantasmi.

ll prigioniero nella Torre del Brandale

Un altro dei simboli di Savona, la Torre del Brandale è un’antica torre difensiva, costruita nel XIV secolo, e poi utilizzata come prigione fino al XIX secolo. La leggenda vuole che la Torre sia infestata dal fantasma di un prigioniero, rinchiusovi per un crimine che non aveva commesso. Qualcuno dice che il fantasma del prigioniero vaghi ancora oggi per la Torre in cerca di giustizia.

La torre del Brandale (a destra)

La torre del Brandale (a destra)

l fantasma della ballerina al Teatro Chiabrera-

Anche il Teatro Chiabrera sarebbe infestato dalla presenza di fantasmi: in questo caso si tratta di una ballerina, morta durante uno spettacolo, che si aggirerebbe per i corridoi del teatro, continuando a ballare, vestita in abiti d’epoca e lasciandosi dietro, come una scia, un profumo di fiori. Al di là della leggenda, questo spunto potrebbe indurre a sfogliare fra gli archivi del Teatro, in cerca di verifiche su questa storia, per capire se in essa vi sia un fondo di verità.

Il Teatro Chiabrera in una vecchia foto

Leon Pancaldo e la leggenda dei fuochi di Sant’Elmo-

Torniamo al tempo delle navigazioni eroiche e delle prime esplorazioni della terra. Nel novembre 1520 il navigatore Leon Pancaldo (4) sta attraversando lo Stretto di Magellano. Originario di Savona, ha lasciato a casa ad attenderlo la moglie Silvia De Romana. Una sera, durante la navigazione, assalito da nostalgia e tristezza per la lontananza dell’amata, affida il timone al suo secondo e si ritira sottocoperta. Addormentatosi, mentre sogna la nave colta da una tempesta, in balia dei flutti e prossima al naufragio, vede i fuochi di Sant’Elmo posarsi accanto all’albero maestro. Secondo la tradizione, quelle luci erano l’invito del santo ai marinai affinché si preparassero alla morte imminente ed il naufragio era imminente se i fuochi scendevano dall’alto a raggiungere la coperta. Nel suo sogno, Pancaldo li vede risalire dalla coperta e correre sul mare fino a raggiungere la Torre di Sant’Elmo a Savona, dove Silvia, avvolta dalle fiamme, invoca l’aiuto del marito. Il sogno si ripete nei giorni seguenti e desta apprensione nel navigatore. Nel mare aperto, Leon non può immaginare cosa fosse accaduto a Savona.

La torre di Leon Pancaldo o Torretta

La loro casa era nei pressi di Sant’Elmo, accanto al vecchio arsenale dismesso che conteneva ancora materiale infiammabile. Una sera vi passano Michele Solaro, mercante di schiavi in Africa, ed altri suoi compagni d’avventura che, ubriachi e reduci da una rapina in casa di tale Pietro Saluzzo, tentano di penetrare nella chiesa di S. Caterina (5) per rubare anche lì.

Nel buio della sera, provocano involontariamente un incendio e rimangono imprigionati nella chiesa. Il crepitio del fuoco che divampa sveglia alcuni abitanti della zona, tra i quali Silvia, che si accorge subito che anche la sua abitazione è già avvolta dalle fiamme; pronuncia il nome del marito e un uomo di nome Giovanni, udendola, corre in suo aiuto. Egli è uno dei responsabili del rogo, salvato da Leon quand’era un bambino e stava per affogare in mare. Giovanni prende una scala, la appoggiò alla casa, sale e sfonda una finestra; afferra Silvia e la avvolge in una coperta, la trae in salvo e la porta ai guardiani della Torre di S. Elmo. Da quel giorno, Giovanni cambia vita e si dedica ad opere di bene.

Tiziano Franzi


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