Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Parliamo della nostra provincia: ha perso entusiasmo e passione che accomunava soggetti pubblici e privati. Almeno abbiamo olive taggiasche


Giornata di acqua, giornata di dolci. E, aggiungo, di letture. Ho sulla scrivania un bel giallo di Hàkan Nesser.

di Sergio Ravera

Poco più in là, il quotidiano La Stampa cattura la mia attenzione, scuotendomi da una latente sonnolenza, scomparsa con la lettura di un titolo di due righe su una colonna che ha contribuito a crescere le mie inquietudini: ai conflitti che dissanguano Europa e Medio Oriente sembrano affiancarsi delicate notizie che provengono dall’Estremo Oriente: ovvero da parte cinese l’accerchiamento di Taiwan con navi e jet contro il desiderio di secessione degli abitanti di quell’isola.

Ben poca cosa le nostre preoccupazioni, di una provincia che ha finito per perdere la sicurezza degli anni sessanta del secolo scorso quando si dibattevano, tra speranze mai sopite, problemi tuttora insoluti indicando priorità frutto di analisi accurate nei vari settori d’attività.

E’ l’impressione, oggi, di questa nostra  provincia che ha perso entusiasmo e passione che accomunava  soggetti pubblici e privati;  non la sopravvivenza, bensì la ferma volontà di un costante equilibrato progresso tale da porla in preminenza assoluta nel quadro ligure. Non fu sufficiente: nuovi anni si presentavano: di ritrosia, di resistenza, di gelosia nella componente pubblica quanto nell’associazionismo; la mancanza di un coordinamento  che sfociò con una prima crisi all’inizio degli scorsi anni novanta per ricevere successivi contraccolpi alla fine della seconda decade del secolo in corso e con il presentarsi del corona virus.

Una calma, oggi, solo apparente. Un turismo che sinceramente non convince, un commercio che denuncia continue chiusure di negozi, un artigianato che combatte una vita ancorchè di temuta sopravvivenza, un’industria che sfogliando gli stessi giornali odierni trova – si fa per dire – fiato con una ventina di milioni per investimenti produttivi. Mentre in Val Bormida si fermano gli operai di due stabilimenti Verallia, in affanno settori delle componenti auto in un contesto tutto italiano in cui la produzione segna rigorosamente il passo.

Grandi problemi nel nostro Paese, cui non sfugge la nostra provincia. Anche rilevando piccoli riscontri che finiscono per gettare ombre sulla stessa agricoltura. Insignificanti, ma che lasciano spazio a pensieri non del tutto convincenti dinanzi ad una produzione di punta quale si presenta lungo la costa savonese. Parliamo di olive, di taggiasche in particolare, conosciute in tutto il mondo con produttori, frantoiani e commercianti che hanno conosciuto recentemente anni difficili tra Covid e ben tre stagioni di magra.

Settimanalmente non manco di scorrere  NordOvest Economia, inserto de La Stampa, pur non trovando soverchie notizie sulla terza regione: la Liguria. In quest’ultimo numero, una pagina interamente dedicata all’olivicoltura, in cui assoluta protagonista è la provincia di Imperia con tre produttori. Non dimenticando altrettanto spazio sul quotidiano stesso, pubblicità di ditta olearia anch’essa imperiese.

Lasciatemi per un istante a pensare a quei commercianti delle province finitime al ponente ligure, ben tre, ai molti loro commercianti, ai tanti loro ristoratori che si riforniscono di olio in Riviera. Abbiamo perso molto in questi anni. Sempre peggio nei prossimi?


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Sergio Ravera

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