Ritorno in Irlanda dopo quasi mezzo secolo. Allora era un paese remoto, ai margini dell’Europa, tormentato da un duro conflitto confessionale che insanguinava le contee settentrionali dell’Ulster rimaste sotto il dominio inglese.
di Massimo Ferrari
Era una terra profondamente religiosa, dove Giovanni Paolo II nel 1979 venne accolto da un milione di fedeli. Oggi è una nazione apparentemente pacificata e sostanzialmente laica, dove la frequentazione delle chiese è drasticamente calata, mentre sono approdate le multinazionali della finanza e dell’informatica che attraggono giovani anche dall’Italia.
Nell’estate del 1977 ci ero arrivato con l’Inter Rail: un giorno e due notti di viaggio con trasbordo marittimo sulla Manica e sul Canale di San Giorgio, impresa già a quei tempi abbastanza inusuale. Stavolta mi arrendo al low cost della Aer Lingus, due ore e mezza di volo per soli 106 euro andata e ritorno. L’aeroporto di Dublino è tra i primi 15 del continente per volumi di traffico, un po’ meno di Fiumicino, ma sopra a Malpensa. E’ anche il più grande scalo europeo non ancora raggiunto da un link ferroviario (che, comunque, è in fase di progettazione). Ci sarà modo di verificare questa lacuna in fase di rientro, con la tangenziale bloccata da un gigantesco ingorgo, bypassato grazie all’abilità del taxista che ha rischiato la patente buttandosi sulle corsie d’emergenza.
Le autopubbliche – ce ne sarebbero oltre diecimila nella sola capitale – costituiscono uno dei pochi servizi decisamente più economici che in Italia. Per il resto, i prezzi in euro (alberghi, ristoranti, treni) sono più elevati, come da tradizione da sempre consolidata nelle isole britanniche. Il condizionamento (negativo) del vicino Regno Unito si riflette anche sul controllo dei documenti, visto che l’Irlanda è sì componente dell’Unione Europea, ma fuori dallo spazio Schengen. I controlli di sicurezza sono particolarmente oculati, con tanto di riconoscimento facciale, ma sfugge una bottiglia di vetro in tasca, rompendo la quale avrei anche potuto tentare un dirottamento.
A metà dell’Ottocento, l’isola contava otto milioni di abitanti. Poi una terribile carestia provocata dalla peronospera delle patate, il principale alimento nazionale, provocò la morte per fame di un milione di persone e l’emigrazione in America di altrettante. Il governo di Sua Maestà, che fece ben poco per aiutare i sudditi irlandesi, non è mai stato perdonato e da allora sono iniziati i moti di ribellione che, dopo la Pasqua di sangue del 1916, condussero all’indipendenza nel 1922, con la sola esclusione delle contee a maggioranza protestante dell’Ulster, rimaste fedeli a Londra. Almeno per ora, visto che nel referendum del 2016 prevalse lassù il no alla Brexit, innescando un processo che potrebbe condurre alla unificazione con la Repubblica.
Ancora oggi l’isola è poco popolata (5 milioni di abitanti, dei quali circa 600 mila risiedono a Dublino). Una capitale, dunque, relativamente piccola – più o meno la popolazione di Genova – ma assai vivace, con moltissimi ristoranti, pub e ritrovi per giovani, concentrati soprattutto nel quartiere centrale di Temple Bar. Ed è un notevole centro culturale, che ha dato i natali a scrittori del calibro di William Butler Yeats, Oscar Wilde, James Joice e George Bernard Swah ed ospita celebri università come il Trinity College.
Come il centro di Londra, anche Dublino è percorsa incessantemente dai bus a due piani – non rossi come quelli inglesi, però – ma può contare anche su una metropolitana suburbana, il DART (Dublin Area Rapid Transit) e su un più recente sistema tranviario, il LUAS (“Velocità” in gaelico), articolato su due linee che corrono da est ad ovest e da nord a sud, incrociandosi nel centro, per complessivi 38 km. I mezzi impiegati sono Alsthom Citadis a 5 o 7 casse, quindi molto capienti ed abbastanza frequenti che assolvono sostanzialmente alla funzione di una metropolitana. Una scelta che Genova non ha voluto fare, neppure in Val Bisagno. Il prezzo dei biglietti, in vendita alle fermate, con emettitrici mai vandalizzate è di due euro e la validità è di 100 minuti.
Pur avendo solo quattro giorni a disposizione, abbiamo effettuato anche un’escursione nelle contee meridionali del Munster, raggiungendo in treno Limerick e Cork, rispettivamente la terza e la seconda città della Repubblica per numero di abitanti. Per inciso, la linea che connette la capitale a Cork è la principale e la più rapida d’Irlanda, una sorta di Roma – Milano su scala ridotta, visto che la distanza complessiva è di soli 266 km, percorsi in due ore e mezza, con qualche fermata intermedia. Non certo di alta velocità, ma una decorosa linea a doppio binario con treni diesel da dieci carrozze (di cui una di prima classe ed un bar). Partenze ogni ora dalle 6.00 alle 21.00.
Alla stazione Heuston di Dublino sono ancora in funzione due sportelli per la vendita dei biglietti, ma praticamente deserti. Il motivo ha un che di surreale: quando ti avvicini per chiedere all’addetto l’emissione del titolo di viaggio, vieni caldamente invitato ad acquistarlo via internet, ad un prezzo nettamente inferiore (32 euro in luogo di 59!). In questo modo, evidentemente, si tende a scoraggiare l’acquisto, fino a che nessuno si rivolgerà più agli sportelli che, quindi, potranno essere chiusi, riducendo il personale. Personalmente giudico questa strategia detestabile: la forzatura per indurre i clienti ad effettuare solo acquisti on line sta raggiungendo livelli inaccettabili.
Per altro, le stazioni irlandesi sono mediamente più presidiate di quelle italiane. A Limerick, che raggiungiamo tramite una diramazione in coincidenza, c’è uno sportello per le informazioni e funziona anche il servizio di deposito bagagli (2,50 euro al collo), quasi scomparso ormai in Italia, ma molto utile per chi vuole farsi un giro in città senza il gravame di trolley o zaini. L’interscambio col bus verso Cork, è esemplare. Il biglietto (19 euro) si acquista alle emettitrici perfettamente funzionanti, ma solo con la carta di credito. E forse via internet anche questo sarebbe costato meno.
La traversata dell’isola, sia in treno, sia in bus, si svolge attraverso un paesaggio prevedibilmente bucolico – pascoli con bovini, pecore e cavalli – e piacevole, visto che stranamente non è mai piovuto, mentre sul nord Italia, su Francia e Portogallo imperversavano violenti temporali. Si circola, ovviamente, a sinistra. Il limite di velocità costante è di 100 km/h e scende a 60 nell’attraversamento dei rari centri urbani. L’autista verifica i biglietti ad ogni passeggero. Lo stesso dovrebbe avvenire sul treno, dove i posti sono tutti assegnati, ma nel nostro caso, al ritorno, il sistema era saltato ed il controllore si è fidato delle prenotazioni e dei pagamenti difficilmente evidenziabili dagli smartphone. Un altro chiaro limite dell’informatica.
L’isola era dotata di una capillare rete ferroviaria realizzata dagli inglesi fin dalla metà dell’Ottocento. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, che qui non provocò distruzioni essendo la Repubblica rimasta neutrale, moltissime linee vennero chiuse, come del resto avvenne nel Regno Unito. Di fatto rimasero attive solo le tratte che si diramano da Dublino verso Cork, Galway, Waterford, Rosslare. Tralee, Westport e Sligo, oltre all’itinerario internazionale per Belfast.
Poi, all’alba del nuovo secolo, anche in Irlanda si è assistito ad una parziale rinascita ferroviaria, con i tram tornati nuovamente nelle strade della capitale, i servizi per i pendolari (per altro, non certo numerosi) presenti anche attorno a Cork ed una serie di ambiziosi progetti che prevedono l’apertura o riapertura di nuove linee, tra cui una galleria passante che dovrebbe collegare, sotto il centro urbano, la stazione di Heuston (da cui partono i treni per il sud e l’ovest del paese) con quella di Connolly, cui fanno capo le relazioni lungo la costa orientale fino a Belfast. Oggi la rete della Irish Rail (Ianroad Eireann in gaelico) si sviluppa per 2.400 km e trasporta più di 50 milioni di persone.
Il governo di Boris Johnson aveva lanciato l’idea di un ponte tra la Scozia e l’Irlanda, che allaccerebbe definitivamente l’isola al resto del continente (il tunnel sotto la Manica, come noto, già esiste), ma la Brexit non aiuta, mentre il governo di Dublino non rinuncia all’idea della completa riunificazione. Non a caso le stazioni sono dedicate ad un eroe dell’indipendenza e tutte le insegne sono scritte prima in gaelico e poi in inglese, anche se la lingua celtica è parlata correntemente solo da una piccola minoranza.
Massimo Ferrari