Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Aspettando il ‘Columbus day’ e il secondo Colombo. Enrico Alberto d’Albertis


Un altro genovese, appassionato di avventure sul mare come il più celebre concittadino Cristoforo Colombo, Enrico Alberto d’Albertis ( 1846-1932) che nel 1891, l’anno precedente il quattrocentenario della scoperta dell’America , compì la traversata che lo avrebbe reso celebre nel mondo dei navigatori.

di Tiziano Franzi

Il suo intento era quello di ripercorrere la rotta che portò Colombo a raggiungere alcune isole dei Caraibi credendo di essere giunto alle isole che sorgono davanti a Cipango (Giappone), aprendo così una nuova rotta verso l’Asia. Con questa convinzione Colombo morì, senza neppure avere ricevuto, almeno, l’intitolazione a suo nome di quelle “nuove terre“, che invece presero il nome dal grande navigatore fiorentino Amerigo Vespucci (1451-1512),  il quale per primo capì che le nuove terre non erano un’appendice delle ‘Indie’, ossia dell’Asia, ma un continente a sé.

Enrico Alberto d’Albertis, collage di sue immagini

D’Albertis si fece costruire appositamente uno yacht ( un cutter) il Corsaro – e con esso ripercorse quella che era stata la rotta di Colombo. In ventisette giorni di navigazione, servendosi della medesima strumentazione utilizzata dal suo grande predecessore e costruita da lui stesso (quadrante, astrolabio nautico, e balestriglia), raggiunse le coste di San Salvador.

Partito da Genova nel giugno 1893, raggiunse la destinazione il 20 luglio successivo, impiegando poco più di due mesi per compiere quella traversata che, da Palos de la Frontera (Spagna) Colombo aveva compiuto in trentasei giorni e poche ore.

L’impresa gli valse la meritata nomina a capitano di corvetta della riserva e gli onori a New York da parte delle autorità statunitensi.

Il viaggio di ritorno nel vecchio continente non fu per d’Albertis altrettanto confortevole quanto era stato, tutto sommato, quello di andata, sebbene avvenisse su una delle quattro navi scuola dell’Accademia navale di Livorno che erano all’ancora nella baia di San Lorenzo. La nave su cui si trovava il capitano incappò infatti in una tempesta che provocò ondate alte una decina di metri mentre si trovava al largo dell’isola di Terranova e soltanto dopo alcuni giorni di navigazione riuscì a portarsi fuori dal fortunale.

Di ritorno nella sua città, d’Albertis iniziò poi a frequentare il gruppo di esploratori e naturalisti che si erano riuniti intorno al marchese Giacomo Doria, rendendosi utile alla ricerca, eseguendo durante i viaggi analisi dei mari, dei pesci e delle piante in cui si imbatté.

Esploratore, ma anche scienziato in patria, condusse campagne di scavo con Arturo Issel in alcune delle molte grotte della Liguria di Ponente.

Il suo nome è legato ad un castello, il Castello d’Albertis, oggi sede del Museo delle Culture del Mondo, uno dei più suggestivi, come costruzione e come contenuto di Genova e non solo.

Castello d’Albertis, Genova, entrata del Museo

Castello d’Albertis, Genova, entrata del Museo

Di lui un ignoto cronista suo contemporaneo scrisse: «Il capitano d’Albertis… è una delle più belle figure di marinaio che io m’abbia conosciuto. Era vestito in tal modo, d’una giacca di pelle di foca e con la berretta di lana, una giornata di neve in cui, abbattuto dal vento e assiderato dal freddo, mi ospitò a Monte Galletto [località in cui sorge tuttora il castello].Grande, magro, la pelle abbronzata dalle lunghe crociere, la barba folta ed ispida, i capelli abbandonati in una simpatica noncuranza, folte le sopracciglia alla cui ombra brillano due intelligentissimi occhi.» E aggiunge: «Di poche parole, franco, alle volte quasi scortese, abborre tutte le sdolcinature convenzionali dell’etichetta, ma avvicinandolo non si può [fare] a meno di apprezzare quel carattere franco e leale, da cui traspira tutta la cruda robustezza del mare. In tutti i suoi scritti rivela una straordinaria competenza sulle cose di mare, dei bisogni della nostra marina militare e mercantile, dei nostri commerci.»

L’importanza di quella impresa fu duplice: dimostrare materialmente che Colombo compì realmente quel viaggio per mare, lungo quella rotta e confermare che l’isola su cui approdò la prima volta il grande genovese, l’isola di Watling, nel mare dei Caraibi, che egli chiamò San Savador, piantandovi la croce e la bandiera spagnola.

Scrive a questo proposito lo studioso Alberto Musarra: «Su tale viaggio si sarebbe basata l’ipotesi ricostruttiva di Samuel Eliot Morison, frutto dell’Harvard ColumbusExpedition, condotta fra il 1939-1940, che avrebbe definito il seguente itineraria: Watling-Rum Cay-Long- Isaland Crooked –IslandLong- CayRagged- Island Columbus- Bank-Cuba. Tale proposta è stata ribadita da Paolo Emilio Taviani durante una serie di esplorazioni compiute tra il 1975 e il 1986. Si tratta di un’ipotesi non esente da lacune, dovute al problema delle misurazioni […] senza però che sia possibile una valida alternativa. Comunque stessero le cose, il desiderio di ripercorrere la rotta colombiana mostra come, ancora nel secolo scorso, il richiamo dell’insularità fosse ancora vivo e vegeto: le isole caraibiche colpivano l’immaginario d’un mondo non ancora globalizzato, in procinto di mutare ancora. » [Antonio Musarra, 12.10.1492. La scoperta dell’America, RCS Mediagroup, 2023]

Tiziano Franzi

SUL SITO DEL FAI SI LEGGE: Oggi purtroppo l’Eremo di Capo Noli, proprietà di un privato, giace in stato di abbandono totale, vincolato dalla Sovrintendenza, ma bisognoso di restauri, cure e protezione.

Il Capitano Enrico d’Albertis, nato a Voltri (GE) nel 1846, è stato marinaio, esploratore, archeologo dilettante, curioso d’ogni cosa. Ha organizzato numerose crociere nel Mediterraneo con amici naturalisti, tra cui il marchese Giacomo Doria, raccogliendo con loro numerosissimi reperti per il Museo di Storia Naturale di Genova, fondato dal Doria nel 1867. Protagonista di tre giri del mondo e di un periplo dell’Africa, ha compiuto anche numerosi viaggi nella valle del Nilo e la mitica impresa del viaggio a San Salvador, nel 1893, sulla rotta di Colombo, col Corsaro, il suo cutter da 21 metri, con strumenti d’epoca da lui ricostruiti. Compagno di scavi con Arturo Issel nel Finalese, alla Grotta delle Fate e alle Arene Candide, si scelse nel 1912, comprando un terreno su Capo Noli, un “buen retiro”, quando ormai l’età non gli permetteva più di girare per mare come avrebbe voluto ancora. Lì costruì il suo “Eremo”, dove impiantò essenze rare con l’aiuto dell’amico Raffaello Gestro, naturalista, entomologo e direttore del Museo di Genova dopo il Doria. Da lassù instaurò cordiali rapporti con i marinai e i pescatori della zona; ospitò amici e godette della posizione spettacolare, a picco sulle onde, inserendovi persino un albero da vela, col quale faceva ogni mattina l’alzabandiera, in memoria della sua carriera di avventuroso navigatore, come si vede nelle foto d’epoca da lui scattate. Alla fine della Grande Guerra fece costruire sulle rocce sopra l’Eremo la torre della Vittoria, dedicata alla conclusione vittoriosa del conflitto, durante il quale, non potendo per motivi d’età parteciparvi, aveva organizzato una rete di avvistamento di sommergibili nemici in Liguria e nell’Arcipelago Toscano. Sulla torre c’erano le sue parole: “Contro l’insidie occulte e submarine, fur vigilanti qui l’armi latine. Eretta e dedicata alla Vittoria, Ricordo e onoro i Figli della Gloria”. Durante la seconda guerra mondiale, purtroppo, i tedeschi hanno pensato bene di smantellarla, per evitare fosse un bersaglio per il nemico, per cui oggi non ne rimane traccia alcuna, se non nelle foto del Capitano.


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T.Franzi

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