Trucioli

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Il sociologo/Arte e intelligenza artificiale


La presente trattazione rappresenta un doveroso chiarimento su un tema molto dibattuto oggi, quello della sostituzione, surroga, supporto di attività creativa umana con altrettanta automatica. Ciò è sicuramente opportuno per ciò che sta intervenendo prepotentemente nell’umanità causa l’estendersi e approfondirsi nella comunicazione umana degli strumenti digitali (prossimamente anche ternari e oltre).

di Sergio Bevilacqua

L’ipermediatizzazione (fusione tra world wide web e telefonia cellulare) ha scatenato progressivamente da non più di qualche lustro un’enorme rivoluzione che ha investito ogni manifestazione umana. È stata ingigantita la dimensione dialogica di quell’antico concetto di archivio e ricerca che possiamo oggi riconoscere nella “infosfera”. La digitalizzazione di dati, delle informazioni e dei processi elaborativi e costruttivi della infosfera ha cambiato la natura della memoria, spostandola da strumento organizzativo eterodiretto a strumento con capacità di autoorganizzazione e di scelta.

Così, l’infosfera è diventata interlocutrice dell’altra forma di intelligenza che la ha creata, l’intelligenza umana. Al suo interno, la forma di intelligenza che la caratterizza è chiamata “Intelligenza Artificiale”, in lingua globale “Artificial Intelligence”, A.I. come acronimo o, ormai, anche solo AI.

Dunque, accanto al fenomeno nuovo e aggiuntivo di una immane esplosione di valore e servizio all’umanità degli archivi ed elaborazione di dati e informazioni grazie alle tecnologie suddette, l’infosfera si presenta anche come un interlocutore intelligente. Ma come, e fino a dove? Questo testo, primo di una serie organica sul tema, si propone, insieme ai successivi, di illustrare origine, attualità e destino di questa nuova forma d’intelligenza che chiamiamo artificiale, osservandone gli effetti sul campo, e su quello che per eccellenza si presenta come estremo dell’umano nell’era del desiderio: il campo dell’arte.

Occorre prima di tutto tenere ben presente il tema dell’antropomorfismo della conoscenza umana. I risultati di ciclo conoscitivo, che ogni trattazione, come questa, attua, vanno considerati infatti nei limiti e capacità euristiche tipiche della specie umana, e così anche la consapevolezza di farlo. Pur lasciando aperti numerosi ambiti filosofici di autoriflessione, nel lavoro di identificazione di nuovi concetti figli dell’uso delle intelligenze disponibili (teoriche e pratiche sperimentali o cliniche), per deontologia si deve ambire comunque alla miglior applicazione delle risorse presenti.

Operiamo dunque nei limiti della capacità di conoscere dell’uomo, che sicuramente avviene per sistemi (primo, fondamentale antropomorfismo) e della quale possiamo avere cauta fiducia in particolare grazie ai risultati del metodo sperimentale nell’ultimo mezzo millennio, sia sui sistemi “chiusi” (ambito delle cosiddette scienze esatte) che delle sue declinazioni (clinica sistemica) più recenti (un secolo) sui sistemi aperti (ad esempio principale, l’ambito delle cosiddette scienze umane, e in particolare delle scienze sociali).

Fatta questa doverosa premessa, possiamo calarci nel tema, così rilevante antropologicamente, dell’Intelligenza Artificiale, considerandola in extremis nella prospettiva euristica dei sistemi più aperti, cioè sui quali questo prodotto dell’intelligenza umana che ne è l’automazione, sembra avere meno ha da invadere. Perché questo sembiante? Perché, pur con tutte le capacità elaborative e combinatorie, l’intuizione artistica è un atto massimamente sintetico e si traduce in fatto, opera, tramite passaggi operativi progressivi. Essi si svolgono passando da una fase

  1. individuale (la costruzione dell’opera fisica), a una fase
  1. social-societaria (la sua comunicazione nel sistema dell’arte) fino al suo esito finale,
  1. la catarsi del fruitore.

L’arte si verifica soltanto in presenza di questo risultato finale, che però lascia aperte (di sistema aperto, e massimamente, si tratta…) un ciclo breve, la sola fase 1., ove l’arte ha un senso autonomo, spesso allucinato o addirittura delirante. Allucinazione e delirio, eventi invalidanti per qualsiasi sapere umano, non lo sono per il sapere (Lacan parla di saisir, cogliere) estetico: l’attività umana artistica (e sua forma di conoscenza…) si basa sulla libertà assoluta di decidere elementi e connessioni dell’opera fino all’assurdo e all’autodistruzione, all’assenza di ogni limite. Se non ci fosse l’opera, che non sfugge mai alla rete dell’umano, si potrebbe quasi sostenere che con l’arte siamo fuori dall’ambito sistemico, quello che poi si automatizza. Ma, dal dadaismo in poi, sappiamo che l’obiezione logica è esattamente tale: cioè non può avvenire se non in presenza di logica, per distruggerla e obiettare, ove il ferro da stiro chiodato di Man Ray, l’orinatoio di Duchamp, ce ci n’est pas un pipe di Magritte, eccetera, non esistono se non in presenza della loro sostanza funzionale sistemica pura.

Lo stesso principio di destrutturazione informa anche le sue modalità di manifestazione (l’attuazione o meno della fase social-societaria). Infatti, seppur a severa pena di decadenza e inutilità, il ciclo completo è già fantasmaticamente presente nella fase 1.: l’artista è anche il primo fruitore del suo stesso lavoro poietico e, per moltissimi, il lavoro si ferma qui, scomparendo poi quasi del tutto con la morte del suo unico fruitore. Ma non si può escludere che anche in quel caso si possa, in modo differito e con la permanenza dell’opera, sviluppare un ciclo completo di valore generale: sono molti i casi di arte scoperta post-mortem o contro la volontà dell’accidentale loro produttore.

La importante digressione che proviene da queste constatazioni (cliniche, derivano da almeno 50 anni di casi analizzati e di considerazioni conseguenti) è che il problema posto in estetica, di grande successo di pubblico e di cronaca…, sull’autonomia ed eteronomia dell’arte è semplicemente mal posto, e forse pure un falso problema.

È altrimenti certo che l’Intelligenza Artificiale è un capitolo di quella rivoluzione in corso che si chiama Transumanesimo, una tra le sei rivoluzioni (Globalizzazione, Antropocene, Ipermediatizzazione, Ginecoforia, Teleutofobia e, appunto, Transumanesimo) attive oggi contemporaneamente. E che è lapalissianamente sia “intelligenza” che “artificiale”. E prima di giungere a conclusioni in generale e per l’arte occorre chiarirsi bene su queste due componenti di questa locuzione così di moda.

Sergio Bevilacqua


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