Le recenti questioni politiche che hanno portato recentemente alle improvvise dimissione del sindaco di Sassello Giancarlo Dabove, hanno riacceso la vis polemica del Pasquino locale che nella notte del 27 luglio ha tappezzato le vie del paese con una sua invettiva tra l’ironico e il satirico.
di Tiziano Franzi
In una scrittura poetica in quartine, stilisticamente perfetta secondo lo schema classico della rima ab, ab, l’ignoto autore si rivolge alla cittadinanza raccontando – da par suo- gli eventi e invitando poi, nella chiusa finale a prendere parte alla stagione elettorale per la nomina del nuovo sindaco, che seguirà l’insediamento del commissario prefettizio, forse nei mesi di ottobre/novembre, magari in concomitanza con quelle per la elezione del Presidente/Governatore della Regione Liguria, dopo le tanto discusse/attese dimissioni di Giovanni Toti.
Eccone il testo
Porco cane , brava gente,
lo temevo … ed è successo!.
Marco , il sindaco vincente,
in un lampo si è dimesso..
Sarà stato per Laiolo …
sarà colpa di Pronsati …
non lo so. Ma sto figliolo
in mutande ci ha lasciati.
Lo so bene che con “quelli”
lavorare era un calvario
ma sta lite tra fratelli
ora ci porta il Commissario
che ne avrà per il belinol
di venire qui da noi!
e ma fa un bel frescolino!”
Sì ma poi ma poi? Ma poi?? Ma poi???
Quanto gode il Bergiucchino!
Con quell’aria da furbetto
era in piazza già al mattino:
“Io che cosa avevo detto?!”
Lia l’ha presa proprio male.
Quando ha visto che il “Re è nudo”
giù di corsa per le scale
è scappata a Pianpaludo!
Il Valerio era basito
ma l’Arianna era furiosa!
“Se ci avessero avvertito
che finiva qui la cosa…
…portavamo la champagna
per brindar!….. E i gobeletti!
Che sentire questa lagna
fa gonfiare i cosiddetti!”
Si lamenta del sostegno?
Ma di chi io mi domando
che i due re del vecchio regno
li han lasciati lì allo sbando!
Uno:”Quando c’ero io
tutto andava a gonfie vele!”
L’altro scrive (pure a Dio!)
tutto stizza e lamentele !
Alla faccia del sostegno…
Quello è un ammutinamento!
Due baccate con un legno
e finiva sto tormento
che comincia (li ho osservati…)
giusto dopo lo scrutinio:
“Tutti quei voti a Pronsati?
Ma è un orrore! Un abominio!
Che si crede , quel “foresto”?
che battiamo in ritirata?
Mezzo chilo di murpesto
e la cresta avrà abbassata!”
Non che Tommy sia ‘sto genio
né sia l’unto del Signore
ma ci mette tanto impegno
e ti inlora per due ore
parla … si agita … si monta …
peggio di uno sbattiuova.
Ma una cosa sola conta:
serve mettersi alla prova!
Questo volta non è andata :
Marcolino non ha retto …
Torna alla raccomandata
e ci fa sto bel dispetto.
Già comincian di nascosto
Movimenti carbonari…
Ma chi mai vorrà quel posto?
E chi avrà come compari?
Io vi dico, miei signori:
“Via coi tuoni! Via coi lampi!
L’importante è che stian fuori
Quelli di Sorerolo Campi.
Già in passato il Pasquino sassellese aveva preso carta e penna e aveva scritto un pamphlet contro quegli artisti infioratori sassellesi che si erano “venduti a Cuneo” prestando la loro opera per rendere migliore l’infiorata del capoluogo piemontese.
Eccone il testo
Come si vede, ogni occasione polemica ingolosisce l’ignoto autore che, come il famoso Pasquino romano, “castigat ridendo mores” (con il sorriso critica le abitudini ) del popolo o, più spesso, di chi ha il potere.
Dietro l’apparente scopo di divertimento, le “Pasquinate” nascondono il vero intento di svolgere una vera e propria funzione sociale: quella di sensibilizzare le coscienze a riflettere su fatti che, pur non coinvolgendoli direttamente di persona, vengono troppo spesso ignorati dalla maggior parte della popolazione che non sempre ha modo (o voglia) di avvicinarsi consapevolmente alle “cose pubbliche”.
Un po’ di storia: chi era Pasquino?
In origine sparse in diversi punti della Capitale, le cosiddette statue parlanti sono forse una delle migliori espressioni di quell’anima tutta romana, portata per la satira e per un atteggiamento irriverente nei confronti del potere e delle sue più vuote ostentazioni. La loro tradizione nasce in epoca pontificia, quando il popolo cominciò ad appendere cartelli con scritte satiriche al collo di queste sculture.
Se oggi il celebre Pasquino è l’unica superstite, un tempo l’elenco era più lungo e comprendeva statue che hanno spesso dato il nome alle vie in cui si trovavano (è il caso appunto di Piazza di Pasquino o di Via del Babuino). Tra tutte ricordiamo: Marforio nel cortile del Museo Capitolino, Madama Lucrezia a Piazza di S. Marco, l’Abate Luigi a Piazza Vidoni, il Facchino in via Lata, il Babuino a Via del Babuino.
Il “nostro” Pasquino è una statua del periodo ellenista (la datazione è riconducibile al III secolo a.C.): ciò che ne rimane è in realtà un doppio frammento di due corpi, di cui uno probabilmente raffigurante un guerriero greco, ma si ipotizza anche che si tratti di Menelao che sorregge il corpo morente di Patroclo. Pare che in origine la statua, rinvenuta nel 1501 in seguito a degli scavi, ornasse lo Stadio di Domiziano, ossia l’attuale Piazza Navona. A seguito del ritrovamento fu spostata nella posizione attuale, in quella che al tempo era Piazza di Parione (che è anche il nome di quel rione) e che oggi è invece, appunto, Piazza di Pasquino.
Il nome stesso della statua è tanto misterioso quanto le sue origini e ciò che rappresenta. Diverse sono le ipotesi al riguardo: la più accreditata rintraccia Pasquino in un noto artigiano del rione Parione (un barbiere o un sarto o un calzolaio), famoso per la sua vena satirica. Secondo altri si tratterebbe di un ristoratore che esponeva i suoi versi proprio in quella piazzetta, mentre altre versioni parlano di docenti di grammatica latina o di protagonisti del Decamerone di Boccaccio. Ma a noi piace pensare che una statua così popolare, che ha dato voce così sapientemente al popolo romano, abbia preso nome da uno dei suoi rappresentanti più umili, un bottegaio, un artigiano o un ristoratore col vizio per la poesia e con l’animo pieno di satira irriverente.
La statua di Pasquino a Roma
Le pasquinate, ossia i cartelli e manifesti satirici che venivano appesi nottetempo al collo delle statue parlanti, cominciano a comparire in epoca papale, in veste di invettive, lazzi e versi nei confronti dei rappresentanti del potere temporale del papato. Sovente erano i papi stessi ad essere bersaglio delle aspre satire romanesche, tanto che più d’un pontefice tentò di rimuovere il Pasquino, salvo essere “dissuaso” dai consigli di chi conosceva bene il popolo romano e le sue possibili, incontrollabili reazioni di fronte ad una tale censura. Se in un primo momento però furono persino posti i gendarmi a sorvegliare nottetempo le statue parlanti (non scoraggiando tuttavia le affissioni), in seguito lo stesso potere temporale intuì le potenzialità di questa usanza, tanto che le statue furono spesso utilizzate anche come spazio affissioni per le “campagne elettorali” per l’elezione dei nuovi papi o comunque come spazi utilizzabili a fini propagandistici contro gli avversari.
Sin dall’origine legata quindi al potere pontificio, la storia delle pasquinate si interruppe momentaneamente proprio a seguito dell’annessione di Roma al nuovo Regno d’Italia. Ma fu un’assenza a cui i tempi moderni hanno saputo finalmente porre rimedio, rinverdendo i fasti del Pasquino con nuove quotidiane pasquinate, legate alla politica, all’attualità, all’ostentazione del potere, ai vizi dei potenti, con un respiro a volte internazionale, a volte locale, rivolto ai problemi della Capitale. In ogni caso il periodo di “buio” che seguì alla breccia di Porta Pia non fu mai totale e sporadiche pasquinate ruppero saltuariamente un silenzio che i decenni a venire avrebbero definitivamente eliminato, riportando in auge una delle tradizioni che meglio racconta cosa sia l’invettiva romanesca.
Tiziano Franzi