Oggi gli esperti, in Liguria, di ‘storie di mafia’ sono quasi inflazionati, anche se la ‘palma’ spetta di diritto ad un ‘segugio’ che non è né giornalista, né affiliato all’intelligence, Cristian Abbondanza, genovese, invano bombardato da querele ed azioni civili, queste ultime le più ‘dolorose’ perchè gli avvocati, pur parsimoniosi, costano e nelle parcelle picchiano duro. Ieri, eravamo negli anni ’90, quando a firmare servizi ‘antimafia’, peraltro quasi agli esordi in terra ligure, non erano molti. Dall’archivio storico dell’ex cronista di giudiziaria giunto alla quarta età, spunta materiale capace di farci ‘rivivere’ quegli anni. Pochi purtroppo ricordano Varazze e dove Il Secolo XIX poteva contare su un corrispondente che conosceva tutti e tutto, il presto dimenticato e compianto Angelo Regazzoni. Leggi anche: che fine hanno fatto due miliardi di lire sui libretti a portatore….E la lettera raccomandata di 26 anni fa….
Tutti hanno dimenticato (?) che è facile sparare sull’azzoppato, come si è fatto già trappe volte nei confronti del personaggio, di fatto ‘diseredato’ di ogni suo bene, Antonio Fameli, cittadino con residenza a Loano, privato pure della sua ‘favolosa villa’, l’unica che era stata dotata di guardiola su un alto pino. Nessuno se è chiesto sul serio come ha fatto quell’immobile a trasformarsi in una sorta di palazzetto a suon di mono e bilocali. Nessuno forse si è chiesto quell’indagine della rigorosa magistratura che sorte ha avuto. Hanno dato un premio ai dirigenti degli uffici tecnici dell’Urbanistica, del comando dei vigili urbani, delle carabinieri, delle forze dell’ordine ? Non lo sappiamo può darsi. Abbiamo letto nel lontanissimo 1990 che Antonio Fameli, scriveva l’Epoca nazionale ed internazionale, diffusa in 195 mila copie: “Abitualmente assumeva quali suoi stretti collaboratori ex appartenenti all’Arma ed alla Guardia di Finanza”. Un errore il bravo giornalista Pietro Calderoni lo commise: a libro paga c’erano servitori dello Stato in servizio attivo e forse giudici inclusi. Ma a pagare pare sia stato solo il ‘pagatore’.
SONO TRASCROSI 26 ANNI, DALL’UFFICIO POSTALE DI IMPERIA UNA LETTERA ‘ANONIMA'(‘?) ALL’ONOREVOLE FORLEO DELLA COMMISSIONE ANTIMAFIA E ALL’ALLORA GIOVANE CRONISTA DI GIUDIZIARIA LUCIANO CORRADO. PERCHE’ PROPRIO QUEI DUE DESTINATARI ? QUALE ERA L’OBIETTIVO ? NON L’ABBIAMO MAI APPRESO CON CERTEZZA. IL GIORNALISTA NON HA MAI RIVELATO PRIMA D’ORA QUEL CONTENUTO PERCHE’ IL SUO MESTIERE NON ERA QUELLO DELL’INFILTRATO, SPIONE O IL GALOPPINO, NEPPURE PER LE ISTITUZIONI CHE HANNO I LORO STRUMENTI. CERTO LA LETTERA DA FONTE INFORMATA RIVELA SOLO UN TASSELLO DI UNA STORIA CHE NON HA MAI APPASSIONATO IL MONDO POLITICO LOCALE. CHE ANZI, A PAROLE E NEI FATTI HANNO IN GRAN PARTE OSTEGGIATO UN CERTO GIORNALISMO DI PROVINCIA E ALL’EPOCA ANCHE DI SQUADRA. MA LO SAPPIAMO GLI EROI DELL’INFORMAZIONE HANNO BEN ALTRA VESTE ! FORSE SAREBBE UTILE SCAVARE, MA NON SAPPIAMO FRANCAMENTE QUANTO INTERESSI AI LETTORI, CI RICORDAVA SEMPRE UN CAPO REDAZIONE CHE HA FATTO CARRIERA. DI LETTERE ANONIME, CON TANTI SPUNTI PLAUSIBILI, NE SONO ARRIVAVATE TANTE E CON TANTI RISVOLTI OPACHI, OSCURI, DEL PONENTE LIGURE, DEL SUO ENTROTERRA, MAGARI UN GIORNO POTREMMO PUBBLICARLE A PUNTATE. CHI HA QUALCOSA DA OBIETTARE SIAMO PRONTI AD ASCOLTARE E RETTIFICARE ANCHE SE SI TRATTA DI PRESUNTI REATI CADUTI IN PRESCRIZIONE.
E C’E’ CHI RESTA IN PRIMA LINEA A SFIDARE E RISCHIARE LA VITA
Nel pubblicare il pezzo di Christian Abbondanza, presidente della Casa della Legalità, uscito oggi su Repubblica, ricordiamo la proiezione prevista per domani sera alle 17 presso la libreria Libro Più (via Anfossi 228r, Genova Pontedecimo) del documentario “Rolando, un padre contro la ‘ndrangheta” di Mimmo Lombezzi e Mario Molinari.
Erano gli Anni Settanta quando la famiglia Rampino – con Anonio Rampino reggente della ‘Ndrangheta in Liguria – dislocò la famiglia Fazzari dal quartiere genovese di Sampierdarena al ponente savonese, tra Albenga e Borghetto Santo Spirito, mentre un’altra componente della stessa famiglia si andava ad insediare in Belgio.
Dal ponente savonese il capofamiglia Francesco Fazzari iniziò la colonizzazione. Si infiltrò negli appalti pubblici (dai subappalti di Anas alla costruzione della caserma dei carabinieri di Borghetto) ed iniziò a tessere le fila dei rapporti con forze dell’ordine, magistrati, amministratori pubblici, impresari e potenti massoni.
Le cointeressenze nel settore delle costruzioni lo portarono in società con uno dei più fidati uomini di Alberto Teardo, potente politico ligure legato alla P2, quel Giovanni Nucera, padre di quell’Andrea Nucera ora latitante negli Emirati Arabi. Quando i suoi interlocutori non si piegavano alle sue pretese scattavano senza problemi gli attentati. Dai danneggiamenti e incendi, per arrivare all’uso spregiudicato dell’esplosivo. Per capitalizzare i capitali delle cosche alleate, come i De Stefano di Reggio Calabria, insieme a boss di Locri Pepè Cataldo, promuoveva una truffa internazionale tra Belgio e Jugoslavia, in cui la vittima finì morto suicida. Con i Gullace-Raso-Albanese, Antonio Palamara ed il nucleo di Rocco Pronestì, operavano dall’estremo ponente sino alle porte di Torino, dove alleati di Domenico Belfiore, non solo erano protagonisti di sequestri di persona, ma pianificavano anche attentati contro magistrati inquirenti.
Accanto a Francesco Fazzari, nella gestione delle attività criminali, delle relazioni e degli affari c’era la figlia prediletta, Giulia. Quella Giulia che venne promessa e data in sposa ad uno degli esponenti più spietati della cosca di Cittanova dei Gullace-Raso-Albanese, il Carmelo Gullace, divenuto, nei decenni successivi, referente principale della cosca. Quel matrimonio tra Giulia e Carmelo – più volte rinviato per gli arresti a cui il Gullace era sottoposto, ed a cui doveva partecipare anche l’allora vice procuratore generale della Cassazione, Guido Cucco – segnava l’unione dei sodalizi criminali.
Mentre in Calabria Francesco Fazzari comprava la tenuta di Acarta, a Canolo, offrendola come base logistica della cosca durante la faida con i Facchineri (che vedeva i Gullace ed i Raso decisi ad ammazzare, senza pietà, anche i bambini), ma anche per gli attentati nei cantieri pubblici che non si erano “adattati” alle richieste estorsive della ‘Ndrangheta; in Liguria tesseva i rapporti necessari per agevolare sempre di più gli affari del sodalizio, compresa la produzione di falsi alibi, con testimonianze pilotate, e quanto altro necessario per «aggiustare i processi», come ha recentemente raccontato un testimone diretto delle dinamiche di quella famiglia.
Nei primi Anni Ottanta la Giulia Fazzari viene notata dall’allora giudice Istruttore di Palermo Giovanni Falcone che la voleva interrogare mentre lei sgusciava via per evitare quell’appuntamento. Negli Anni Novanta finisce colpita dal sequestro dei beni intestati a lei ma in realtà della cosca. Riesce a passare indenne, al fianco del consorte Carmelo Gullace, da quelle inchieste e diventa tassello sempre più nevralgico dell’organizzazione. La coppia Fazzari-Gullace, da un lato, con riciclaggio, estorsioni e truffe, ha infiltrato ampi settori dell’economia locale e, dall’altro ha stretto nuove potenti alleanze, come quella con i Mamone insediati a Genova che da quel momento in avanti costruiranno un monopolio nel settore delle bonifiche e del movimento terra nel capoluogo, o come quella con i Fotia che facevano il pieno di appalti pubblici e subappalti nel savonese.
Le imprese a lei intestate, e quelle intestate alla sorella Rita ed al marito di questa, Roberto Orlando, riescono a mantenere salde, negli anni, quelle relazioni che garantiscono concessioni pubbliche, dagli appalti alla gestione della Cava-Discarica di Balestrino, offrendo al sodalizio uno strumento essenziale per puntare ad entrare nei grandi appalti, coma l’Alta Velocità. Il fatto che avessero interrato migliaia di fusti tossico-nocivi nella vecchia cava abusiva di Borghetto S. Spirito, non conta nulla, così come non conta che abbiano continuato ad operare in modo assolutamente irregolare, come ha recentemente ricordato il procuratore Francantonio Granero davanti alla Commissione d’Inchiesta sui Rifiuti.
Dagli Anni Ottanta ai giorni nostri, direttamente o grazie anche alle cointeressenze con Antonio Fameli, i Nucera ed una ragnatela di professionisti a libro paga, hanno condizionato le scelte urbanistiche di molteplici comuni del ponente savonese. Nel susseguirsi delle tornate elettorali amministrative, questa famiglia, epicentro della ragnatela ‘ndranghetista del ponente, ha saputo condizionare l’esito di voto e la composizione di giunte comunali, garantendosi così l’influenza necessaria per perseguire i propri progetti.
Voti e favori, ma anche ricatti, era il modus operandi di quando si insediarono ed è il modus operandi che la signora Giulia Fazzari ha mantenuto intatto, come il suo potere. Oggi, questo sodalizio, conta ramificazioni e relazioni internazionali che passano dalla Spagna, arrivano in Sud-America ed in Australia. Una donna che incarna l’essere spietato dell’essenza ‘ndranghetista più di tanti uomini. Esempio di questo è la costanza con cui si è dedicata, ad esempio, nell’intento di annientare il fratello Rolando, che non solo si era dissociato dalla famiglia, quando già da adolescente si rifiutava di compiere omicidi o sequestri di persona, ma che ha avuto la determinazione di denunciare (inascoltato per decenni) gli illeciti della sua famiglia di origine. Grazie ad opere e omissioni delle autorità preposte, benevole agli interessi della famiglia di Giulia Fazzari, nemmeno una semplice messa in sicurezza di un fronte cava – obbligatoria per legge – è stata eseguita con la conseguenza che, il 31 ottobre 2012, una frana da quel vecchio fronte cava portava via la vita ad una ragazzo di diciotto anni, Gabriele, figlio di Rolando.
Proprio questo ultimo aspetto, inoltre, risulta emblematico dell’assenza di anticorpi in terra di Liguria, visto che, ancora oggi, dopo gli arresti dell’operazione “Alchemia” della Direzione distrettuale di Reggio Calabria (e la Giulia Fazzari è in carcere per 416 bis dal 19 luglio dello scorso anno), la capacità di intimidazione del sodalizio della signora Fazzari e del consorte Carmelo Gullace, tiene ancora in scacco il ponente savonese, con i suoi sodali a piede libero che operano indisturbati ed un isolamento sempre più asfissiante ai danni di Rolando Fazzari, che osò dire “no” alla famiglia ed alla signora della ‘Ndrangheta, non soltanto non piegandosi ma anche denunciando.
repubblica.it – Mafie