Sanità tra universalismo, mutue e welfare aziendale. Ma cosa vogliono veramente fare per la nostra Sanità ? Canalizzando verso il fondo sanitario Nazionale la spesa privata, si accrescerebbero le risorse del servizio sanitario Nazionale, senza diminuirne i carichi.
Con mutue e Compagnia, se ne ridurrebbero i carichi senza aggiungergli risorse. Coi rischi nel primo di amplificarne le inefficienze, nel secondo iniquità e parzializzazioni. Ma prima di guardare a questi risvolti tecnici dovremmo chiederci che modello di vuole questa nostra società?
Per la Sanità a ogni euro di spesa del servizio sanitario Nazionale, oggi, aggiungiamo privatamente altri 35 centesimi. Pur mantenendo l’incidenza odierna del servizio sanitario Nazionale sul prodotto interno lordo, il 6,7% (e sarà dura), in dieci e più anni, data la crescita della domanda, la copertura del servizio sanitario Nazionale scenderà dal 72% del totale di oggi a meno del 50%, così quei 35 centesimi diventeranno un euro: il servizio sanitario Nazionale solo per metà dei bisogni. Con sempre più anziani e dalle pensioni risicate (i precari di oggi), debito pubblico già ora da podio, 35000 euro pro capite, poppanti e ultracentenari compresi (28000 quello di un Greco, tanto per capirci). Bomba Malthusiana ineluttabile, che però ci limitiamo ad osservare, la storiella del tipo che cadendo dal 100° piano, da una finestra del 50° gli chiedono Come va? e lui: Per il momento, tutto bene! Che fare, allora, oltre a pregare? Finanziare di più il servizio sanitario Nazionale o rimpiazzarlo più o meno parzialmente con le mutue, come paventato dal nostro Cavicchi con la consueta lucida arguzia?
Il Fondo Sanitario Nazionale si può rimpolpare in tre modi: a debito (lasciamo stare), con pezzi di prodotto interno lordo da altri capitoli di bilancio meno utili rispetto alla Sanità (nel Paese dei privilegi intoccabili?) o trasferendogli la suddetta spesa privata oggi disordinata e quindi inefficiente perché esposta ai venti dell’asimmetria informativa. Però prima di pomparci più acqua, il secchio bucato del servizio sanitario Nazionale va rattoppato, cioè reso più efficiente.
Ritornare alle mutue? Oggi multiformi, dette integrative in realtà sostitutive. Prevalenti quelle nei contratti collettivi Nazionali di lavoro: premi assicurativi al posto degli aumenti di stipendio. Lo chiamano welfare aziendale, sintagma antitetico di piuttosto viscida ambiguità (al pari dei simili universalismo selettivo o privato sociale altrettanto abusati in Sanità), con pro e contro di dottrina tipici delle mutue: vantaggi dalla separazione tra chi paga ed eroga, competizione tra produttori/erogatori. I caveat: costi d’intermediazione, iniquità tra quelle forti e deboli, cream skimming, selezione avversa, con in più, per quelle nei contratti collettivi Nazionali di lavoro, gli oneri sulle imprese, quindi poi sui lavoratori, sui consumatori per i costi aggiunti inflativi sui prezzi dei beni prodotti, sulla collettività per le agevolazioni fiscali previste. In sintesi: canalizzando verso il fondo sanitario Nazionale la spesa privata si accrescerebbero le risorse del servizio sanitario Nazionale senza diminuirne i carichi. Con mutue e Compagnia, se ne ridurrebbero i carichi senza aggiungergli risorse. Coi rischi nel primo di amplificarne le inefficienze, nel secondo iniquità e parzializzazioni.
Ma l’aspetto tecnico e funzionale, in fondo, malleabile, con regole adeguate, viene dopo. Prima c’è quello politico: che modello di Sanità vogliamo, vuole questa nostra società? L’universalismo, del servizio sanitario Nazionale, magari non ideale ma almeno come sua funzione di limite asintotico? Oppure la responsabilità personale o di categoria di appartenenza delle mutue? Risponde lo spirito dei tempi odierni: individualismo, l’io sul noi, il particulare sul generale, solipsismo social – consumista e deculturato. Insomma, lo Zeitgeist dei selfie, sua sineddoche. Un quarto Stato al singolare, il lento noi sorpassato a sinistra dall’io dinamico che corre (verso il centro commerciale). Una società che usa gli eccezionali risultati del progresso non per affrancarsi dai bisogni collettivi (esempio: Sanità) ma per crearsene di nuovi individuali consumistici, terreno di coltura e cultura per quel mantra neoliberista che predica tagli alla spesa pubblica (a tutti) come mezzo per favorire la crescita (di pochi), a spese del vecchio welfare. Un trend globale, ormai anche di quell’unione Europea, culla storica delle tutele sociali (oggi più spostate su banche e gruppi economici, meglio se Tedeschi). Modello born in the USA, vedi oggi la fu Obamacare, tacciata di socialismo dall’Americano delle rusty e bible belt che vota Trump. Dove, tanto per capirci, il peggiore insulto a una giovane donna è welfare mother, madre che vive e cresce i figli coi sussidi pubblici. E poi, tornando da noi, se per chi comanda il servizio sanitario Nazionale è stato sempre strumento di potere diffuso, quindi da tenere stretto, oggi la sua crescente insostenibilità è fonte di criticità e quindi d’impopolarità elettorale.
Rende lecito, tutto questo, paventare una convergenza verso un rimpiazzo del servizio sanitario Nazionale, magari non totale, ma molto consistente, con sempre più forme mutualistiche individualistiche o di appartenenza categoriale? Che del servizio sanitario Nazionale della 833/78 se ne rischi la lenta fine? Il not with a bang, but a whimper di Eliot? Lo spegnimento progressivo dei suoi principi universalistici? Principi come paletti di civiltà, piantati con convinzione in un terreno, forse allora già molle, eppure felice di accoglierli, poi fatti arrugginire troppo in fretta. Principi universalistici certo anche utopici, è vero. Ma l’utopia, diceva Galeano, è vitale. È come la linea dell’orizzonte, non la raggiungi mai, ma, per cercare di arrivarci, Ti spinge ad andare avanti.
Fabrizio Gianfrate
(da Economia Sanitaria)