Il tenente partigiano Lilli (Antonio Gallesio) nei primi mesi del ’45 era in contatto con il Comando Alleato che si trovava a Cortemilia. Racconta un episodio che lo ha visto protagonista con due partigiani di Cairo Montenotte. Gallesio ha pure dipinto un quadro ad olio dove si vede il risultato della sua impresa: una locomotiva caduta giù dal ponte di Brignoletta.
Bisognava forse ridisegnarlo il mondo di Tonino, ridare nomi alle cose, farle diventare familiari e distribuirle con semplicità in un paesaggio boschivo scoperto giorno per giorno. Si doveva anche scriverlo da capo il mondo giusvallino, progettarlo nuovo e pieno di fili ben distesi davanti a noi, in ogni direzione, verso Savona, verso Acqui, verso Cortemilia. Intrufolarci nelle pieghe del non detto, un silenzio eloquente che prospettava più di quello che l’uomo locale voleva tacere, uno iato di contenimento che presto avrebbe ceduto o che sarebbe stato scavalcato con un massimo dispendio di energie.
In tre siamo andati a portar via la macchina del treno a S. Giuseppe, di notte su ordine del Comando Alleato.
Gli Inglesi, come Servizi Segreti, battevano tutti. Sapevano dov’era quella grossa macchina del treno armato.
In piazza Savona a Cortemilia il maggiore Ballard si avvicina e mi dice: “Se tu vai subito può darsi che fai l’operazione, se aspetti un giorno potrai trovare i Tedeschi che ti aspettano”.
Prima di parlarmi si è guardato intorno: eravamo solo io e lui, poi mi ha guardato bene in faccia e mi ha dato quell’ordine.
Obiettivamente non era dato sapere se anche l’uomo di Cortemilia fosse in attesa di uno sbocco di beatitudine credibile, in quello stato apparente, da scrutare meglio e approfondire. Qualcuno di noi ben presto cominciò a ipotizzare che l’uomo avesse costruito da tempo la sua seconda casa, immersa totalmente nella boscaglia, terra di nessuno e stesse edificando sulla sua base ben solida palazzi di pregevole fattura e giardini anche sul tetto piantandovi numerosi pioppi tremuli. Avremmo potuto sostenere psicologicamente a lungo il permanere dei pioppi nei giardini pensili e guardarli crescere tutto l’anno.
Quel “giorno che ti aspettano” mi ha dato una sicurezza che gli ho subito risposto: “Sì, sì, vado io.“ Allora son partito con Oscar Scorzoni, maestro e professore di ginnastica e con Paolo Pirotto, tutti due di Cairo. Eravamo ai primi di febbraio del ‘45.
Il treno armato era nella galleria del Vispa, tenevano sempre a disposizione nel deposito di S. Giuseppe, un locomotore pronto per trasportarlo.
Noi dovevamo far saltare proprio la macchina che tirava quel treno armato. Allora partiamo da Cortemilia: alle ore 8 il maggiore Ballard mi dà l’ordine e io alle 8,30 parto con gli altri due, andiamo a fare questa operazione.
Magari qualcuno di noi avrebbe potuto stendersi tra i cespugli e, strisciando piano, avvicinarsi all’uomo per vedere meglio di chi si trattava oppure decidere tutti assieme di uscire dalle nostre traiettorie consuete, di sbilanciarsi e finire sbalzati fuori, rovinando lungo il percorso accidentato. Nel riprenderci avremmo potuto scrutare meglio verso la figura dell’uomo, la sua faccia e gli occhi che avremmo potuto scorgere come due forme più chiare.
Scorzoni mi chiede: “Lilli, dove andiamo?”
Io gli rispondo: “Stai bravo, te lo dico quando siamo quasi vicini. Ma guarda che è un’operazione proprio bella, è la fine del mondo!”
Mi chiede ancora: “ Ma chi te l’ha detto?”
“Il Comando Alleato mi ha detto di fare quell’operazione e allora andiamo!”
Anche l’altro voleva sapere, ma gli ho risposto: “Ve lo dico quando siamo sull’obiettivo”.
Allora alle 8 e mezzo partiamo da piazza Savona, a piedi da Cortemilia, siamo saliti sulla Langa, siamo arrivati sopra Rocchetta di Cengio. Però avevo bisogno di un’informazione precisa e scendiamo sulla ferrovia San Giuseppe – Torino, al casello dove adesso c’è la cava di Dall’O’.
Lo hanno poi buttato giù quel casello ferroviario.
Come siamo arrivati lì, picchio la porta e sento chiedere chi c’è. “Vieni giù, vieni! Ci son dei partigiani che ti vogliono parlare”.
“Ma io non posso…”
“Ma vieni giù che non ti facciamo niente. Vieni!”
Il casellante scende e dice: “Ragazzi io son un invalido di guerra.”
“Ma stai tranquillo. Noi volevamo sapere solo una cosa: quanti Tedeschi ci sono a S. Giuseppe.”
“Ci saranno duemila tedeschi. Fra Carcare, da Piantelli e San Giuseppe ci sono duemila tedeschi.”
“Ma la polizia ferroviaria?” “Saranno una ventina.”
“Va bene ti lasciamo andare a dormire però adesso dobbiamo fare un lavoretto al telefono, non averla a male.” Dico a Pirotto di dargli un colpo al telefono.
Lui gli dà una botta e lo fa in tanti pezzetti. Poi andiamo e siamo arrivati alla stazione di S. Giuseppe che era l’una e un quarto. Andiamo dritti al deposito.
Entriamo dentro, io giro l’interruttore e come si accende la luce “Spegni, spegni!” mi dicono.
Poi mi guardano, ci vedono e si mettono a gridare.
“State tranquilli, state zitti, perché siamo dei vostri. Siam partigiani, dunque siamo dei vostri. Noi dobbiamo prendere quella macchina del treno che c’è al deposito e portarla via.”
“Ma è spenta! Ci vuole più di un’ora per portala a pressione…”
Il Comando Alleato mi aveva detto di farla saltare ma se facevo così, di lì non uscivo più. Allora l’accediamo e la portiamo via.
Quando arriva a 5 atmosfere di pressione mi dicono che va bene. Avevano premura di farci andar via, avevano paura. Andiamo. Prendiamo un anziano con noi, era di Savona.
Usciti da deposito dovevamo far lo scambio per dirigerci verso Cosseria, arriviamo fin davanti alla stazione. Saliamo tutti tre e ci dirigiamo verso Cosseria. Al ferroviere viene in mente che la galleria di Cosseria è minata.
Ma noi: “Stai tranquillo.” Era solo chiusa dalle tavole per non far entrare nessuno. Sfondiamo con il locomotore e via. Quando siamo in fondo alla galleria faccio fermare, mi faccio istruire come farla partire e andare al massimo, poi faccio scendere tutti e alzo la leva al massimo. Scendo anch’io mentre le ruote fanno le scintille e la macchina parte e prende velocità.
La sentivamo andare verso Cengio. Poi è arrivata sul ponte di Brignoletta, una campata l’avevamo fatta saltare, e la locomotiva era così lanciata che è caduta giù come un piombo, tra una campata e l’altra, giù nella Bormida.
Quando abbiamo lasciato andare quel macchinista lui è tornato a S. Giuseppe contento. Appena è arrivato al deposito ha dato l’allarme, si è messo a gridare: “Partigiani, partigiani!”
Tra la milizia ferroviaria c’erano molti che conoscevamo, c’era il figlio del dottor Morando, l’avvocato Bracco, Pinot er sartù, Tarigo (era alto due metri) si è infilato in un armadio ed è rimasto nascosto mentre arrivavano i Tedeschi.
C’era uno della Milizia che è corso verso il Paviano e si è messo a sparare credendo che i partigiani arrivassero di là, ma i Tedeschi credendolo un partigiano hanno sparato a lui.
Noi abbiamo camminato tutto il giorno per i boschi, alla sera ci siamo trovati ai Sugliani, in Valle Uzzone.
Dico: “Adesso voglio sentire Radio Londra”. E infatti un bel momento sento dire: “Chi vi parla qui è Ruggero Orlando”.
I partigiani liguri e piemontesi hanno portato via la macchina del treno blindato ai Tedeschi”.
Il fatto era successo al mattino presto e la sera lo dicevano già da Londra. Che organizzazione questi Inglesi!
Nella relazione del Sottotenente Amedeo Rocco, Comandante la Scorta Treni, leggiamo: “San Giuseppe di Cairo: furto di una locomotiva dal deposito. Dopo averla messa in pressione durante la notte (noi assenti per servizio) i partigiani la fanno procedere sino al ponte di Cengio dove viene fatta precipitare. La complicità dei ferrovieri è evidente.”
Da: “San Marco… San Marco. Storia di una Divisione”, P. Baldrati, vol. primo, pag. 646.
Intervista di Bruno Chiarlone Debenedetti Carle