Una causa ‘pilota’ è in corso tra una famiglia di Loano ed il Comune dopo che la vertenza è già finita davanti ai giudici del Tar e poi al Consiglio di Stato che ha emesso una sentenza molto discussa e non condivisa da giuristi della materia. In particolare laddove si sostiene che le cause di legittimità di atti comunali relativi alla concessioni cimiteriali sono di competenza del giudice ordinario e non di quello amministrativo. La controversia nasce da una Determinazione dirigenziale del 6 agosto 2014 che ha per oggetto: Applicazione istituto dell’immemoriale a sepoltura privata n. 375 intestata a famiglia Bollorino”. Nella causa è in campo contro il Comune l’avvocato Mauro Vallerga di Genova considerato tra i maggiori esperti in Liguria nel contenzione urbanistico, legale e consulente di fiducia di una trentina di Comuni nel ponente ligure.
L’ultimo atto in ordine di tempo è una determina di fine dicembre 2016 e riguarda in particolare il settore ‘affari legali’ di Palazzo Doria di cui è responsabile l’avvocato Marco Gaggero di Genova assunto dall’Amministrazione Comunale, fa parte dell’Area 1 ed ha come dirigente Dott.ssa Rosetta Barbuscia e responsabile il professionista genovese. Il Comune di Loano deve difendersi dal momento che in data 5 dicembre 2016 è stato depositato il ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, promosso dai coniugi Giacomo Bollorino e Santa Margheriti, residenti a Loano in via Garibaldi. Entrambi sono assistiti dall’avv. Mauro Vallerga di Genova. Nella citazione, oltre al Comune di Loano, figurano anche Monica Bollorino, Alesdsandro Bollorino, Emanuela Bollorino e Maria Rosa Calcagno.
Cosa chiedono i coniugi Santa e Giacomo Bollorino e quale l’origine della clamorosa, singolare controversia ? Innanzitutto l’annullamento della sentenza del Consiglio di Stato, il sede giurisdizionale, sezione V, che il 23 giugno 2016 (pubblicata il 2 settembre) ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e riformato la sentenza del Tar Liguria del 2015 che aveva accolto il ricorso del 2014 presentato da Giacomo Borrino e Santa Margheriti, dando quindi piena ragione alle loro pretese successoria sulla tomba contrariamente a quanto aveva deciso il Comune con la Determinazione dirigenziale del 6 agosto 2014 in merito a “Applicazione istituto dell’immemoriale a sepoltura privata intestata a famiglia Bollorino“.
Sotto riportiamo un parere legale pubblicato sull’argomento da un sito di giurisprudenza che ha approfondito la materia dell'”Applicazione Istituto dell’immemoriale…..” Si tratta dei diritti vantati su costruzioni cimiteriali e sepolture private regolati da norme speciali quali il regolamento comunale di polizia mortuaria ed il contratto di concessione. Secondo aspetto: bisogna sempre distinguere tra titolarità delle concessioni cimiteriali (ossia a chi è intestata la tomba) e gli atti di disposizione su salme, cadaveri, resti mortali, ossa o ceneri. Questi ultimi seguono il criterio dello jus sanguinis, siccome sono legati ai vincoli di consanguineità. I diritti sui sepolcri presentano, come sempre, un forte ‘mix’ tra diritto pubblico e diritto privato, ma anche si caratterizzano per il fatto che il diritto di sepolcro (= nel senso di essere sepolti) e’ principalmente un diritto personale, collegato all’appartenenza della famiglia (discendenza), e i cui elementi di patrimonialita’, pur presenti, sono strumentali al diritto principale, quello di essere sepolti, che e’ di natura personale. Va anche ricordato come il sepolcro familiare si trasformi in ereditario solo quando vi sia l’assenza di discendenti del concessionario del sepolcro (sempre se il regolamento comunale di polizia mortuaria, prevede che i discendenti subentrino nella posizione del concessionario alla morte di questi).
Di norma, quando manchi un titolo, sarebbe necessaria una sentenza che ne tenga luogo, secondo i criteri generali dell’ordinamento. Ma, se come presumo, la concessione non e’ recentissima immagino non sia stato possibile trovare la delibera (un tempo, sempre del consiglio comunale) di concessione o, se ancora più lontana nel tempo, l’approvazione della GPA e/o del Prefetto alla concessione.
Di solito è il regolamento comunale di polizia mortuaria a dettare regole e procedure per disciplinare l’uso delle sepolture private (semplici loculi oppure anche cappelle gentilizie) al fine di razionalizzare le risorse (il patrimonio di edilizia cimiteriale non è infinitamente ampliabile) ed occupare proficuamente tutti i posti salma disponibili almeno per il tempo di sepoltura legale. Da comune a comune, quindi, possono sussistere anche enormi discrepanze operative, perché è il regolamento cittadino, in ultima analisi, a fissare i termini entro cui un soggetto può disporre di un manufatto cimiteriale per esservi sepolto oppure per dare sepoltura (Jus Inferendi in Sepulchrum) ad un proprio famigliare.
La giunta del sindaco Pignocca, d’accordo con il responsabile degli Affari legali, ha dato il consenso affinché si proceda con sollecitudine a costituirsi in giudizio entro il 14 gennaio scorso, cosa che si è fatta affidando all’avvocato Pietro Piciocchi del foto di Genova che ha richiesto la somma complessiva di 4.377,36 euro, comprensivo delle spese di domiciliazione in Roma presso lo studio dell’avvocato Andrea Manzi del foro della Capitale. Nella parcella sono comprese le spese di trasferta per la discussione della causa, l’Iva del 22 %, oltre al $% del Cpa e spese generali al 15 %, come da preventivo.
IL TESTO DELLA PUBBLICAZIONE DEL PARERE CON UNA NOTA
DI DIOTIMA PAGANO DI LEX ITALIA.IT
“…la negativa della giurisdizione in tema di concessione cimiteriale affermata dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 3796 del 2 settembre 2016 secondo cui spetta al giudice ordinario la lite in cui una parte non ha agito in giudizio al fine di contestare la legittimità degli atti comunali relativi alla concessione cimiteriale ma ha piuttosto chiesto l’accertamento del proprio diritto a subentrare nella concessione cimiteriale all’origine dei fatti di causa.
Due i profili di criticità che tale declaratoria comporta.
In primo luogo, la normativa di riferimento è “pan–amministrativa” (in relazione alla previsione dell’art. 133 c. 1, lett b, CPA) riservando al GO solo aspetti patrimoniale ed estendendo al GA tutte le controversie in cui si discute del rapporto concessorio.
Come si esprime la consolidata giurisprudenza della Cassazione[1], per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 6 luglio 2004, n. 204, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di concessione di pubblici servizi ad eccezione di quelle relative ad indennità, canoni ed altri corrispettivi, secondo un criterio di riparto della giurisdizione già presente nella L. n. 1034 del 1971, art. 5[2].
Peraltro, le controversie concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi riservate in materia di concessione di pubblici servizi alla giurisdizione del giudice ordinario sono solo quelle con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione a tutela di interessi generali[3].
La scelta della giurisdizione in materia va quindi effettuata a “maglie larghe” nei confronti del GA, atteso che solo residuale e patrimoniale è la giurisdizione del giudice ordinario: attendendosi a tale criterio di massima il Tribunale amministrativo ligure, in primo grado, aveva ben trattenuta la lite poi in senso diverso definita dal superiore giudice di appello.
Nel caso di specie, infatti, come si evince chiaramente dalla parte fattuale e complessiva della sentenza, non si discute di “canoni” o “altri corrispettivi” ma si litiga per la titolarità del rapporto concessorio e tale questione è sicuramente inscritta nell’alveo pubblicistico di regolamentazione del rapporto stesso, tanto che il Consiglio di Stato avverte la necessità di puntualizzare che la controversia non ha ad oggetto “se non in via mediata e riflessa” il proprium del rapporto concessorio.
Per contro, viene da affermare che la controversia si incentri specificamente sul proprium concessorio in quanto le parti contendono circa la possibilità di fruire della concessione di tal che è evidente che la qualificazione soggettiva sia parte essenziale della definizione del rapporto di competenza della pubblica amministrazione, spettando alla p.A. precisare i contorni soggettivi della concessione stessa così esplicando poteri pubblicistici regolativi della fattispecie concessoria.
Non si dimentichi che le concessioni di beni, pur se escluse dalla normativa sulla evidenza pubblica, non per questo sono aliene da fondanti aspetti concorrenziali e di qualificazione soggettiva degli aspiranti alla concessione sicchè è afferente al governo pubblicistico della p.A. la selezione degli aspiranti beneficiari.
E’ pur vero –riprendendo il filo argomentativo della sentenza del Consiglio di Stato– che possano anche darsi liti fra privati che non involgano la pubblica amministrazione e che si pongano al di là della previsione dell’art. 133 c. 1, lett. b, CPA.
Tanto discende dalla stessa “ambivalenza” concessoria in quanto, come la giurisprudenza è solita ribadire, la concessione cimiteriale appartiene alla categoria generale delle concessioni su beni pubblici e garantisce al concessionario il potere di utilizzare il sepolcro concesso su terreno demaniale. Il concessionario pertanto, secondo i principi che regolamentano in via generale la concessione amministrativa, è titolare di una duplice posizione attiva: nei confronti dei terzi, ha il diritto all’utilizzo del bene concesso (nel caso di specie, il sepolcro) che può (rectius: deve) essere tutelato con i mezzi del diritto comune, mentre nei confronti dell’amministrazione concedente é titolare sia di un diritto soggettivo a che questa si astenga da turbare il godimento del bene, sia di un interesse legittimo qualora essa intenda incidere sul rapporto concessorio mediante l’esercizio di poteri autoritativi finalizzati alla tutela di scopi di pubblico interesse[4].
Tali liti, quindi, per rispettare i criteri generali del riparto, devono consistere in controversie in cui il privato (concessionario) si difende dall’attività di disturbo, posta in essere del tutto al di fuori del rapporto con la p.A.: si pensi alla tutela possessoria o, in generale, inibitoria che il concessionario può attivare presso il giudice ordinario per difendersi dalla ingerenze altrui.
Si pone qui –a sommesso parere di chi scrive– il secondo e principale argomento, maggiormente destabilizzante della declinatoria di giurisdizione che il Consiglio di Stato ha pronunciato.
La più lucida e titolata definizione del riparto –proveniente (non a caso) dal Consiglio di Stato– evidenzia come sia, innanzitutto ed ormai, la spendita di un potere pubblicistico l’elemento qualificante l’assetto definitorio del riparto.
Ciò si determina quando l’Amministrazione pretenda di incidere sul rapporto mediante l’esercizio di un potere pubblicistico, la situazione del privato che “dialoga” col potere e vi si contrappone assume la configurazione dell’interesse legittimo, tutelabile avanti al giudice amministrativo”[5].
Nella fattispecie analizzata dal giudice amministrativo di appello si discute appunto di un potere certamente pubblicistico di applicazione (o meno) di una data normativa (art. 58) del relativo regolamento di Polizia la cui applicazione (nel caso di specie relativa all’istituto dell’immemoriale) definisce –è importante ribadirlo– nei confronti del potere pubblico (concedente), l’ambito soggettivo dei possibili beneficiari del titolo concessorio: si è quindi, in termini riassuntivi, totalmente all’interno della giurisdizione (generale ed esclusiva) del G.A. ed al di fuori di liti fra privati, non coinvolgenti l’amministrazione pubblica, né in presenza di controversie su canoni, di spettanza del G.O.
(Altalex, 4 ottobre 2016. Nota di Diotima Pagano)