La mano sempre immobile sul tavolo, mi sembrava una fiera in agguato o un soprammobile di ceramica. Pareva pronta per un’attesa prolungata nel tempo. Ma avrebbe sentito presto un formicolio lungo il braccio, ci avrei giurato.
Quella mano aperta dava anche il senso della resa? Oppure era un gesto di pace, come dire: non ho armi in mano, sono qui a mani nude…
Le risposte e le spiegazioni si mischiavano tra di loro: anche se la situazione era cambiata con il concentrarsi dei pensieri non era emersa alcuna linea esplicativa.
Oltretutto il dialogo non si era attivato, il messaggio dell’immagine fissa che partiva dal tavolo era rimasto sospeso, con poche motivazioni: dopo la scoperta iniziale nel buio della stanza di quella mano posata sulla tavola, praticamente si era bloccata la stessa ricerca di senso.
I minuscoli pensieri che turbinavano attorno al capo, cadendo a pioggia sulla mano distesa si erano sedimentati in lente sovrapposizioni, come una polvere fine, che si accumulava sull’immagine forte della mano nuda. L’uomo voleva dare egli stesso sapore a quella scena immobile, disegnare con la mano il centro di una tela ricamata che si dispiegasse nell’aria come un ventaglio, una corona circolare di festoni alti e bassi traforati similmente a una mascherina adesiva di carrozzeria, ad un pizzo di mantiglia scura.
Era come un laboratorio della mente, un teatro della sofferenza, un deserto del silenzio, un luogo anacronistico per la contemplazione dell’assurdo, una convergenza di fine corsa, una nicchia di decantazione, un limbo della decadenza, una periferia obsoleta nel linguaggio impoverito, un circuito a spirali verso il binario morto, una tasca semantica dimenticata in soffitta, un pensiero assopito come in letargo, un canale di scolo per il troppo-pieno.
Nello stesso tempo la situazione che si era venuta a creare impediva il sopraggiungere di altre immagini di fantasia, teneva ferme tutte le impressioni, aveva orientato l’attenzione e il punto focale al centro della prospettiva reale e immaginifica, come una scenografia essenziale appena allestita e non ancora utilizzata.
Era quasi impossibile sfuggire da quella concomitanza negativa, non serviva perdere ancora tempo nell’inutile attesa. Si stava come affascinati in quella immobilità di immagine e nel buio giungeva mollemente anche un certo sopore e cominciava lo svanire delle forze.
Non si intravvedevano possibilità di recupero.
Ma non passò molto tempo che l’uomo si mosse e la tavola rimase nuda. Si sentì un passo di piedi scalzi sul pavimento e l’uomo uscì dalla stanza, inghiottito dal buio.
Bruno Chiarlone Debenedetti