Messi con le spalle al muro, i Comuni del Ponente della Liguria non han potuto far altro che coalizzarsi in difesa dell’unico ospedale in grado di affrontare le emergenze: il Santa Corona di Pietra Ligure. Ma, alla fine, dobbiamo dire: “finalmente” !, “chiarezza” è stata fatta.
Per esser messi “con le spalle al muro” e rendersi conto che stavano davvero rischiando di perdere quella “risorsa”, quel “patrimonio” costituito dal S. Corona, che garantisce (finora) a chi deve essere soccorso in “emergenza” di poter avere prestazioni di livello adeguato, c’è voluta una inavveduta serie di delibere di Giunte e Consigli Comunali che, senza alcun criterio di opportunità, hanno messo “nero su bianco”, per la prima volta in modo inequivocabile, esplicito e formale, ma anche sfacciatamente, la loro richiesta di avere un ” unico” DEA” ospedaliero di secondo livello in tutta la Regione, concentrato in quello dell’Ospedale S. Martino di Genova.
Con la conseguente, ovvia, inevitabile chiusura del DEA di secondo livello del S. Corona di Pietra Ligure.
Stiamo parlando di Comuni del Levante della provincia, in particolare, del capoluogo, Savona, di alcuni altri come Albisola ed, in ultimo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, di quanto deliberato dal Consiglio Comunale di Cairo Montenotte.
Perché un’uscita del genere? Non era meglio anche per loro cercare di difendere quello che resta della disastrata sanità della provincia, anziché ergersi a ricercatori dell’ottimizzazione delle risorse disponibili, ottenuta tramite la chiusura di strutture ospedaliere che, fino ad oggi, sono state fondamentali per garantire il diritto alla salute ed a cure tempestive ed efficaci per i cittadini del ponente ligure?
QUALCHE RIFLESSIONE SUL DEA E LE DISTANZE CHILOMETRICHE – Ci chiediamo: ma, a parte quello di cui potrebbero indirettamente “godere” se, una volta revocato a S. Corona il DEA, le proprie specialità sanitarie venissero assorbite nell’ospedale S. Paolo di Savona, non hanno pensato ad esempio, i consiglieri di Cairo, che la distanza Cairo Montenotte – S. Corona é di km 50, per 46 minuti di percorrenza, mentre quella tra Cairo e il S. Martino di Genova è di km 79, per 1 ora e 23 minuti di percorrenza? Non hanno pensato che, nelle patologie d’emergenza, un infartuato cairese, un cranioleso, un ictuato “giocano” sui minuti e sulla tempestività delle cure e dell’assistenza la possibilità di restare “al di qua…”? Ma anche i Savonesi, se si eliminasse il DEA di ll livello di S. Corona (senza portarlo al S. Paolo), ma concentrandolo al S. Martino di Genova, non è che starebbero proprio …benissimo. Infatti, l’ospedale genovese non è …a Voltri, o vicino ad un casello autostradale: per raggiungerlo bisogna attraversare tutta Genova e comunque i dati obiettivi delle distanze (desunti da Internet) parlano chiaro: Savona – S. Corona km 31 e 33 minuti di percorrenza; Savona – S. Martino km 51 e 1 ora e 8 minuti di percorrenza (quando va bene: in condizioni ottimali di traffico e senza incidenti per strada, anche i più banali, che rallentino o blocchino il traffico). Dovrebbe essere nell’interesse dei cairesi e dei savonesi avere un DEA efficiente sul ponente di Savona: più vicino e facilmente raggiungibile perché vicino allo svincolo autostradale di Pietra Ligure. Invece, ancora una volta, prevale “l’interesse piccolo di bottega “: sperare, con la chiusura del DEA di S. Corona, di “lucrare” qualche vantaggio in termini, come detto, di ridistribuzione delle specialità del S. Corona, destinato a diventare e sopravvivere come “ospedalino marginale”, a favore di un S. Paolo di Savona, pur senza DEA, ma più potente in termini di dotazione specialistiche ospedaliere: una sorta di “Ospedale provinciale”.
Ma l‘Ospedale S. Paolo di Savona, proprio per la sua collocazione logistica, deve restare quello che è, quello per cui è nato: un ospedale “cittadino” e basta.
LA COLLAZIONE SULLA COLLINA DEL SAN PAOLO DI SAVONA – Come si fa anche solo ad avere l’impudenza di pensare di attribuire al S. Paolo un ruolo che vada oltre il servizio per la città di Savona e dintorni, se solo si considera che questo ospedale è stato costruito, con una scelta scriteriata, sulla cima di una collina, già di per sé “lontano” da tutto nella sua stessa città, e distante da tutti i collegamenti stradali ed autostradali per chi deve arrivarci da “fuori”; anche per il S. Paolo, come per il S. Martino di Genova, bisogna, per raggiungerlo, attraversare tutta la città, e poi, una volta attraversata, intraprendere la “scalata” alla collina di Valloria, piena di curve: là, dov’è, un ospedale al servizio di una comunità, non ci dovrebbe proprio essere! Può essere più conveniente, per riuscire a raggiungere il S. Paolo, per chi proviene da ponente, in termini di tempo, non uscire al casello di Savona, ma proseguire fino ad Albisola e poi, tornare indietro verso Savona : in pratica: conviene allontanarsi per avvicinarsi! Ma in che posto sono andato a costruire un ospedale…?
Il S. Paolo dovrebbe essere chiuso, venduto e ricostruito da un’altra parte, in una collocazione più razionale e logica perché più facilmente raggiungibile.
Aveva più senso il ragionamento e la provocazione lanciati da Livio Di Tullio, già vice sindaco e candidato “non voluto” alle primarie P.D. del Comune di Savona, che, prima delle ultime elezioni amministrative savonesi, perse rovinosamente dal P.D., aveva proposto di abbandonare la sede attuale, sciagurata, sulla collina di Valloria, e costruire un nuovo ospedale a Legino, nei pressi dello svincolo autostradale: una scelta inattuabile per i costi, ma dotata di fondamento e razionalità (che avrebbe potuto, se appoggiata ed attuata, provocare sconquassi nell’assetto ospedaliero provinciale…). Continuare a potenziare l’attuale S. Paolo, là, dov’è ora, rappresenta solo la continuità del vecchio sistema di operare le scelte, non in base alla logica, alla razionalità ed ai bisogni della gente, ma solo in base alla forza espressa da ragioni politiche e di convenienza politico-elettorale o dalla forza territoriale che riesce a prevalere, all’interno di lobby e corporazioni come quella dei medici, condizionandone gli orientamenti.
Niente di più, niente di meno.
L’OSPEDALE DI CAIRO MONTENOTTE – Che dire, poi, dell’ospedale di Cairo Montenotte? Dell’ospedale di quel paese che, in nome della razionalità delle scelte e della concentrazione delle “scarse” risorse, ha deliberato per un UNICO DEA al S. Martino di Genova e la implicita e conseguente chiusura di quello di Pietra Ligure? Non sarebbe stato, e non sarebbe ancora, più facile e logico sostenere che, proprio in nome della concentrazione delle risorse economiche e dei risparmi, proprio l’ospedale di Cairo sia privo di ogni ragione di esistere? Che non ha senso spendere un solo centesimo, solo per ragioni politico campanilistiche, per tenere in piedi una struttura ospedaliera che non è in grado di assicurare al cittadino molte cure fondamentali, specie in casi di complicazioni, visto che poi, la maggior parte dei pazienti dev’essere trasferita in altri ospedali, come S.Corona o S. Paolo? Che avere speso ingenti risorse di danaro pubblico per rifare ( e far sopravvivere) le sale operatorie è stato nient’altro che “uno spreco”? Che, quindi, proprio in nome dell’ ottimizzazione delle risorse economiche, l’Ospedale di Cairo Montenotte dovrebbe essere chiuso al più presto e ridistribuire le risorse a sua disposizione, in termini di professionalità mediche e infermieristiche, nonché di macchinari, negli altri ospedali dove le necessità sono reali e più pressanti?
In un marasma del genere di quello scatenato da queste delibere scellerate di Giunte e Consigli Comunali “Pro DEA al S. Martino”, si colloca la naturale, spontanea, conseguente reazione dei Comuni del ponente della Liguria, cioè della parte ad ovest della provincia di Savona (più diversi Comuni della ValBormida) che, in vista di decisioni prossime della Regione Liguria, dalle conseguenze definitive ed irreversibili, hanno costituito una sorta di grande coalizione per il mantenimento del DEA di S.Corona e la difesa del ruolo dell’ospedale di Albenga, con il S.Corona integrato in un’unica realtà ospedaliera.
Bisognava essere arrivati sull’orlo dell’abisso per poter rendersi conto che, senza una decisa azione di tutto il territorio compatto in difesa del DEA di S. Corona, unico sicuro punto di riferimento per i casi di emergenza ospedaliera, non solo della provincia di Savona, ma dell’intero ponente della Liguria, la sua stessa sopravvivenza sarebbe stata messa seriamente in pericolo; finalmente sono state messe da parte le rivalità ed incomprensioni tra l’ospedale S. Maria di Misericordia di Albenga e il S.Corona di Pietra Ligure (di cui ha approfittato solo Savona per allargarsi, sottraendo indebitamente specialità, reparti, posti letto, uffici e competenze), dando avvio anche concreto alla già esistente configurazione giuridica dei due stessi ospedali come “Presidio UNICO ospedaliero “: una grande, unica struttura ospedaliera, organizzata in due localizzazioni, con funzioni ed attività diversificate, senza “doppioni”, ma che si integra reciprocamente, anche per la facilità logistica di collegarsi l’una all’altra, vista la distanza di soli 12 minuti che li separa.
Un “Presidio UNICO”, DEA, che, per la sua posizione baricentrica nell’arco del territorio ligure, e per la sua propria, fondamentale funzione, si confermi e consolidi come ospedale di “riferimento” territoriale del ponente ligure, venendo ad esso riattribuite le molte specialità ospedaliere che spettano più propriamente ad un DEA di ll livello, ora gestite da ospedali di grado inferiore; DEA cui, finalmente, sia attribuita la specialità, da sempre mancante, della cardiochirurgia, necessaria per la completezza della dotazione funzionale che ad esso compete.
Questa vicenda, che è solo al suo inizio, sta dimostrando quanto siano più affini gli interessi del territorio del ponente provinciale di Savona (finalese ed albenganese) con quello della provincia di Imperia e, al contempo, quanto sia “forzata”, la forzata collocazione di sempre con Savona, che non perde occasione di dimostrarsi “matrigna”, supponente, ostile.
Un ponente ligure, veramente “ultima provincia dell’ Impero“, dove la distanza da Genova fa la differenza tra la vita e la morte ( Ventimiglia – S. Martino di Genova km 166: due ore e 13 minuti di percorrenza; Imperia – S. Martino di Genova km 120: 1 ora e 44 minuti di percorrenza…) per i casi di emergenze ospedaliere, se il DEA di S. Corona non esistesse più; al posto di improbabili cure, perché irraggiungibili perché troppo lontane, dovrebbero onestamente sostituirsi preghiere impetranti grazie e , poi, di suffragio.
Un “non senso”, se non l’ennesima “presa in giro” è rappresentato dal discorso che, se in Liguria venisse istituito un solo DEA di ll livello presso l’ospedale S.Martino di Genova, i collegamenti d’urgenza dovrebbero essere garantiti dagli elicotteri dell’elisoccorso.
Ma come si può avere il pudore di affermare una cosa del genere, quando nei casi di incendi, anche devastanti, gli elicotteri non si poterono nemmeno levare in volo a causa del vento? E in altre circostanze gli elicotteri nemmeno c’erano? E se un individuo in pericolo di vita ha bisogno del trasporto urgente in elicottero a Genova e l’elicottero non può volare per il meteo avverso o, addirittura, non c’è, che si fa? Si prega, e basta? E se un individuo a Casanova Lerrone o a Mendatica o a Pornassio o a Ceriana ha bisogno urgente dell’intervento dell’elisoccorso, ma questo, pur essendo disponibile, non può atterrare per mancanza di spazi, che cosa si fa? Anche in questo caso, si prega?
Stupisce che, anziché lasciar montare il caso fino a questi livelli improponibili, con il ponente cne si solleva in difesa del DEA di S.Corona e Savona e dintorni che vogliono chiuderlo per concentrarlo al S.Martino, la Regione sia stata spettatrice e non abbia voluto ricoprire nessun ruolo protagonistico che, pure, le compete.
Chi ora sta scrivendo, ha difeso l’attuale assessore alla Sanità, Sonia Viale, perché a lei, appena arrivata, non si potevano scaricare responsabilità sul degrado sanitario regionale, ascrivibile a decenni di mala gestione per interessi politici o partitici, di carattere elettorale. Ma ora la Viale è già un anno e mezzo che guida la sanità della Liguria: un’idea di come sia la situazione, un pensiero su come intervenire, se lo sarà ben fatto…
L’assessore Viale sarebbe dovuta intervenire subito, troncando ogni discussione e polemica, dicendo: ” Nel ponente ligure, privo di infrastrutture di collegamento viario efficienti e sicure nei tempi della loro percorrenza, con la sola autostrada, per la maggior parte del suo tragitto, priva di “corsia di emergenza” e, quindi, “in deroga” nella qualifica stessa di autostrada; con una ferrovia che presenta ancora il binario unico, siccome la Regione Liguria è consapevole di questo stato di cose e siccome la Regione Liguria vuole garantire il diritto alla salute ed alla vita dei suoi cittadini abitanti, confermo, in modo inequivocabile, che il DEA di ll livello resterà presso l’ospedale S.Corona e che verrà potenziato in modo da renderlo pienamente funzionale“. Punto.
Invece, non l’ha detto e non ha detto niente in proposito, se non :“Faccio quello che decidono i Sindaci!” ; in pratica, nascondendosi dietro questa frase apparentemente democratica, è come se avesse detto: “Sindaci e Comuni, sulla sanità del territorio scannatevi pure tra di voi, poi, mi fate sapere; io, anche se spetterebbe a me decidere, non ci penso nemmeno di farlo perché non mi voglio metter contro nessuno…”
AI TEMPI DI BURLANDO E MONTALDO – Ai tempi delle giunte di centro-sinistra, guidate da Burlando e gestite, in tema di sanità, dall’assessore Montaldo, accusavamo la Regione, il centro-sinistra, il P.D. di massacrare l’eccellenza del S.Corona, a beneficio dell’ospedale S. Paolo di Savona, sottraendo al S.Corona risorse, togliendogli posti letto, trasferendo professionalità mediche ed infermieristiche, spostando specialità mediche, reparti ed uffici, per ingrandire e rafforzare l’offerta medica dell’ospedale S.Paolo di Savona. Il tutto, non per “meriti propri” di questo che è e resta un ospedale “cittadino”, ma solo per motivi di carattere politico – elettorale, di “premio” all’Ospedale della “rossa” Savona ; la città che garantiva alla sinistra un “bacino elettorale” sicuro.
Ora, in Regione, governa dal 2014, il centrodestra del Presidente Toti e la sanità regionale l’amministra l’assessore Viale; il fatto è che, dobbiamo dire “purtroppo”( un “purtroppo” non politico, ma “territoriale”) è cambiata anche l’amministrazione comunale di Savona, che dal centro-sinistra è passata al centro-destra.
Non vorremmo che quello che succedeva prima col centro-sinistra, ora accada col centro-destra, solo per compiacere l’amministrazione comunale della stessa Savona, omogenea politicamente con la maggioranza di centro-destra della Regione Liguria; Regione che, da come si sta muovendo, sembra agire secondo gli abituali metodi politico elettoralistici, piuttosto che intervenire direttamente con decisione e giustizia in una situazione così evidente e chiara, come quella rappresentata dal mantenimento del DEA a S.Corona e della salvaguardia del diritto alla salute ed alla vita dei liguri di ponente.
Mario Carrara
Ma, alla fine, dobbiamo dire: “finalmente” !, “chiarezza” è stata fatta
Dopo la redazione della nostra nota precedente, il giorno 14 Novembre, i Sindaci dei Comuni della provincia di Savona si sono riuniti per parlare di “ospedali” e dare indicazioni in merito alla Regione Liguria.
Oltre che “riuniti”, i rappresentanti delle comunità locali si sono “fronteggiati ” nei due schieramenti “territoriali” di levante e di ponente: quello di levante, con capofila, per rilievo demografico, il Comune capoluogo, favorevole all’accorpamento al S. Martino di un DEA unico per tutta la Liguria, con la eliminazione automatica dell’esistente DEA di S. Corona; quello di ponente che ne difendeva, invece, il ruolo, la funzione, la necessità assoluta del mantenimento.
Per fortuna, la Regione Liguria, rappresentata dall’assessore Sonia Viale, non si è limitata ad un ruolo di arbitro “super partes”, come noi paventavamo facesse, lasciando che una decisione maturasse solo in esito allo scontro tra i Sindaci, ma con una parola, chiara e risoluta, ha troncato ogni dubbio sul fatto che il DEA di secondo livello al S. Corona “deve” restare. Con buona pace di quelli che avrebbero voluto, dalla sua eliminazione, spartirsene le spoglie, in termini di reparti e specialità, così come abbiamo spiegato più sopra.
D’altronde, solo ragioni incomprensibili ed inaccettabili perché contrastanti con la razionalità ed il “buon governo ” avrebbero potuto giustificare una posizione e una decisione di diverso tipo.
La stessa possibilità di un’approvazione di un piano sanitario-ospedaliero che comportasse una cancellazione del DEA di S. Corona, appariva, comunque, difficile, dopo la presa di posizione di Vaccarezza che aveva dichiarato “apertis verbis “, durante l’assemblea dei Consigli Comunali del ponente ligure, al teatro di Pietra Ligure, che avrebbe fatto “pesare” il suo voto, decisivo, nel Consiglio regionale (come quello di ogni altro consigliere del centrodestra, dato che la maggioranza è forte solo di “uno” in più), per respingere l’ipotesi sciagurata di revoca del DEA di S. Corona; di ciò, gliene va dato atto, visto che aveva preso un impegno “forte” e personale, facendo prevalere la sua responsabilità di rappresentatività territoriale rispetto a quella dell’appartenenza di schieramento e partitica.
Come avrebbero fatto, comunque, gli altri consiglieri regionali del ponente ligure, a tornare alle loro case, ma, soprattutto, nel loro collegio elettorale, una volta che avessero approvato un provvedimento che avesse sancito il trasferimento e l’accorpamento del DEA di S. Corona in quello del S. Martino di Genova, è difficile da immaginarsi.
É certo che si sarebbero addossati su di sé, una grande, pesante responsabilità perché avrebbero esposto davvero i cittadini alla prospettiva, nelle emergenze, di non poter piú avere, né sperare, cure ed interventi sanitari, solleciti, certi e qualificati, che solo un ospedale “DEA” può garantire. Ma anche su loro stessi, avrebbero fatto conseguire il “peso” delle loro medesime decisioni, visto che, un giorno avrebbero ben dovuto lasciare, cessare dall’importante incarico regionale, ridiventando “cittadini comuni”, quindi, vittime potenziali del disservizio.
Nell’ordine del giorno, approvato dai Consigli Comunali del Ponente, confutando le disposizioni delle nuove norme, che rapportano la presenza di un DEA di ll livello ad un ” bacino d’utenza ” compreso tra 600.000 e 1.200.000 abitanti, è scritto che un tale parametro non può essere applicato “sic et simpliciter” al nostro territorio, perché i dati della popolazione sono “falsati” dalla grande presenza dei turisti. Nello stesso ordine del giorno, si parla di “svariati milioni….” di turisti all’anno. Lasciando il numero nel “vago”, generico dell’indefinito.
Tuttavia, il Secolo XIX, il 16 Novembre, riporta i dati diffusi dalla Camera di Commercio di Savona sulle presenze turistiche nella provincia.
Altro che “…svariati milioni “, i dati, riferiti ai soli mesi tra Gennaio e Settembre 2016, sono precisi: 5,2 MILIONI di presenze; di cui : 3,4 milioni di turisti provenienti dalle regioni confinanti del nord-ovest; 1,8 milioni da altre regioni d’Italia e dall’estero; con un incremento complessivo tra il 3 d il 3,6% per quanto riguarda gli italiani; il 7,20%, per gli stranieri. Gli arrivi sono ammontati a 1.152.000 totali.
Di fronte a queste cifre consistenti, non possono sussistere dubbi sulla fondatezza di quanto sostenuto da noi liguri di ponente: la Liguria, rispetto alle altre regioni italiane, costituisce un caso a sé stante, che deve essere trattato e considerato per la sua peculiarità: quella di una regione che basando la sua economia sul turismo, é assoggettata a movimenti notevoli di individui che, in determinati periodi, diventano veri e propri “esodi” di persone che, da fuori Regione si spostano nella nostra e, oltre a costituire, con la loro presenza, la struttura portante dell’economia regionale, rappresentano, pure, sommati ai liguri residenti, il bacino degli utenti del servizio sanitario ospedaliero della Liguria.
In questa Regione, dalla strana, stretta conformazione territoriale e geografica, fatta prevalentemente di montagne e colline, con una ancor piú stretta lingua di terra costiera densissimamente popolata, in special modo nel nostro ponente, le conseguenze, in termini di errori strategici della gestione e nella dislocazione delle risorse disponibili, si farebbero sentire gravemente.
Infatti, mentre per un cittadino ligure, residente a Sarzana o Levanto o Deiva Marina è agevole, ma soprattutto “possibile”, in casi di emergenze sanitarie, optare per le strutture ospedaliere della confinante Toscana, invece, per un ligure di Bordighera, di Ospedaletti, di Bajardo, di Triora questa stessa possibilità non c’é, non esiste: noi liguri di ponente, gli “ultimi” d’Italia, non possiamo optare per le opportunità che abbiamo “a fianco”, perché al nostro “fianco” siamo già “all’estero” (magari potessimo “optare “…!).
Quindi, come ha detto l’assessore Viale (per cui siamo contenti di averla un giorno difesa), cui va riconosciuto di essersi assunta la responsabilità delle scelte, prima di tutto, bisogna usare “il buon senso”. A lei, forse, rimproveriamo, come abbiamo evidenziato più sopra, di non essere intervenuta SUBITO, facendo valere la sua autorevolezza, più che la sua autorità, che le compete dal ruolo ricoperto; se ciò fosse avvenuto, la lacerante spaccatura tra le diverse realtà del territorio, non avrebbe potuto prodursi.
E in questa vicenda, per tanti versi “squallida”, dove per la prima volta territori apparentemente “fratelli” si sono contrapposti ad altri, dove gli interessi di “campanile”, espressi anche in atti formali di esclusiva convenienza propria a danno sfacciato dell’interesse generale, conclamato di molti, hanno cercato di prevalere senza riuscirci. Il “buon senso”, per una volta, invece, ha prevalso ed il bene prezioso, irrinunciabile ed incomprimibile della salute, è stato tutelato e difeso.
16 Novembre 2016. Mario Carrara