La Storia del Savona Fbc, non a caso con la “esse” maiuscola, è ricca di personaggi (dirigenti, tecnici, giocatori) capaci di dare dignità, prestigio, credibilità e senso di appartenenza al club biancoblù. Ma nessuno ha incarnato alla perfezione il ruolo di uomo-guida, di cardine e punto di riferimento come Stefano Del Buono, leader di un piccolo impero imprenditoriale che la sua famiglia costruì “sulla cera”, ovvero sulla cereria fondata nel 1860 da Francesco Del Buono sulla prima collina di via alla Rocca.
Fu lui con i fratelli Francesco, Vincenzo e Mariuccia a far ripartire l’azienda di famiglia ripartendo dai resti della cereria distrutta dai bombardamenti e a mettere il primo mattone dell’impresa di onoranze funebri lasciata ai figli Marino e Nico e ora gestita dai nipoti. Una saga familiare con un patriarca incontrastato e incontrastabile. Impegno massimo nel lavoro, ma anche passione totalizzante per il “suo” Savona Fbc, una passione trasmessa e condivisa con la moglie Maria e ai figli Nico e Marino.
Una figura importante e indelebile, a distanza di oltre cinquant’anni, quella di Stefano Del Buono (foto). Certo inconfondibile e inimitabile. Perché Del Buono ha rappresentato per molti anni l’essenza, il punto di riferimento, l’ancoraggio nella vita del Savona Fbc. Prima ancora che il Presidente, anzi “Il Presidentissimo”, è stato colui che attorno ai colori bianco blu ha saputo coagulare le energie migliori, più sane e attive della Città in anni come quelli del dopo guerra e del boom economico difficili da attraversare, soprattutto a causa della crisi dell’industria (non ricordiamo qui le imprese commerciali, il lavoro del Porto, l’ultima stagione delle grandi industrie dall‘Ilva, alla Scarpa e Magnano alla Servettaz) che ne ha accompagnato il percorso, ma entusiasmanti per la quantità e la qualità di iniziative che contrassegnavano la nostra vita cittadina in campo imprenditoriale, commerciale, culturale, artistico, editoriale, sportivo.
Tra la seconda metà degli anni ’40 e gli anni ’70 del secolo scorso si sono affacciati sulla scena savonese il Circolo Calamandrei con il suo factotum Mirko Bottero, il Filmstudio, le case editrici dei fratelli Sabatelli e le loro riviste, da Resine, a Liguria, a Riviera Notte Sport, i grandi giornali aprivano le loro redazioni, tutti gli sport fiorivano dall’atletica al ciclismo, dalla boxe all’hockey, dal basket alla pallavolo, mentre il calcio coinvolgeva nel profondo a tutti i livelli.
Stefano Del Buono riusciva a mettere assieme, le istituzioni, le banche, i commercianti, i giornali, le società sportive. Dialogava con sindaco e prefetto, faceva benedire la squadra dal vescovo, aveva una corsia preferenziale con il Coni romano grazie a Carlo Zanelli (passato da operaio dell’Ilva agli studi di medicina e alla carriera di medico e, poi, di sindaco, grazie al suo sostegno), aveva fatto di Savona la “capitale” dell’atletica pesante nella palestra di Monturbano. Il “suo” cerchio magico” era la Città stessa. Basta andarsi a rileggere i nomi delle persone che componevano il consiglio direttivo (commercianti, industriali, operatori portuali, liberi professionisti, dirigenti d’azienda, funzionari pubblici). Erano tempi nei quali Marietto Vagnola organizzava una colletta tra i lavoratori portuali raccogliendo un milione per acquistare la mezzala Merighetto dall’Andrea Doria e l’acquisto era annunciato nel corso di una assemblea cittadina svoltasi nell’affollatissima sala della Campanassa. Andiamo a vedere la Sala Rossa del Comune allorquando, scomparso improvvisamente Fausto Gadolla nel momento dell’ascesa in Serie B, l’avvocato Piermario Calabria annunciava l’avvento della presidenza Dapelo: era presente tutta la città, la gente si accalcava per le scale del Palazzo prolungando la fila fino a Piazza Sisto IV.
Quella stagione in Serie B terminò con la tragedia della “fatal Catania” e ancora abbiamo il rimpianto di una squadra stravolta nell’impianto con il quale aveva ottenuto la promozione. Una ferita ancora aperta, soprattuto per chi ha vissuto da vicino quegli anni, e che ha una genesi:, la questione del portiere, che merita di essere ricordata.
La nuova formazione fu presentata dal direttore sportivo Gigione Costa, ex Samp (un vero “borghese del baretto”, presuntuoso e anche un po’ arrogante) nello spiazzo retrostante la tribunetta d’onore del Bacigalupo. Non erano tempi di presentazioni in piazza, non c’era la televisione. Eravamo presenti in quattro giornalisti: Enrico Fabbri, Ivo Pastorino e noi due. Gigione presentò Ercole Rabitti, nuovo allenatore, che già conoscevamo perché tante volte aveva portato a Savona la juniores della Juve per il Trofeo Boggio. Poi tentò di snocciolare i nomi dei nuovi acquisti, ma lo fermammo subito al n.1, al portiere quando annunciò “Ferrero”. Chiedemmo subito “quale Ferrero?”, magari sperando nel recupero del vecchio Bruno in quel momento tornato alla Veloce.
Costa rispose “Luigi” e noi, presuntuosi come lui ma che la sapevamo molto lunga e conoscevamo tutti gli anfratti del calcio italiano, contestammo vivacemente: Luigi Ferrero non è all’altezza della Serie B (lo avevamo visto a Savona con il Casale incassare cinque reti in maniera barbina e lo conoscevamo bene). Seguì un vivace alterco e con “Gigione” non ci fu mai feeling. I fatti ci diedero, purtroppo e clamorosamente ragione”. Si pensi che Del Buono (che di calcio ne capiva tanto e poteva contare sull’esperienza del fido Rinaldo Roggero, ala azzurra alle Olimpiadi di Anversa, silenzioso consigliere dall’inconfondibile farfallino) aveva consigliato a Gadolla (che, invece, non era proprio un fior di competente anche se di carattere molto autoritario) di non toccare l’organico rafforzandolo in due punti: il portiere e all’attacco e aveva proposto lo juventino Mattrel e il sampdoriano Salvi. Due garanzie, come si vedrà nelle loro carriere ai massimi livelli.
Del Buono aveva cominciato la sua carriera di dirigente calcistico durante il “regno” dell’ingegner Noceti, anni ’40, con il Savona proteso verso la Serie A (mancata, forse, per un inghippo rimasto poco chiaro e consumato nel buio del cinema Reposi il sabato precedente del decisivo Savona-Modena). Poi nell’immediato dopoguerra si era investito dell’incarico di vice presidente tecnico lasciando la presidenza a industriali come Isidoro Bonini e l’ingegner Andrea Dotta (il partigiano comandante Bacchetta). Con il colonnello Salvi e il tenente Madini del Distretto Militare organizzava le trasferte della squadra utilizzando un camion militare sul quale erano legate le sedie del Bar Splendid, prestate dallo sportivissimo Maxin Sguerso e sulle quali prendevano posto giocatori e dirigenti. Capitava che la neve bloccasse il mezzo sulle colline dell’entroterra e tutti scendessero a spingere, compreso naturalmente il vice presidente. Poi un lungo periodo di presidenza: sfiorata la Serie B (1948- 49: “Per un punto Martin perse la cappa”, titolò un settimanale sportivo), infilata una brutta serie in discesa fino alla promozione regionale, poi la risalita fino alla Serie C non più al vecchio campo di Corso Ricci ma nel nuovo stadio di Legino, intitolato a Valerio Bacigalupo.
La squadra del campionato ’48-49 merita di essere ricordata per intero, così come quella del ’58- 59, l’ultima stagione in Corso Ricci. Forse le due formazioni che meglio hanno incarnato lo spirito che Del Buono voleva infondere alla squadra.
1948-49: Castagno, Vignolo, Melandri, Ighina, Molinari, Longoni, Zilli, Cappelli, Re Dionigi (un centravanti terribile), Semoli, Dreossi. Allenatore Bertolotto.
1958-59: Ferrero (Giacomelli), Galindo (Ballauco), Persenda, Mariani, Ciglieri, Nadali, Brocchi, Contin, Teneggi (Trubia), Merighetto I, Ratto (Merighetto II). Allenatore Pelizzari.
Una società messa in carreggiata verso la Serie B: Del Buono, fresco di nomina a commendatore, onorificenza di cui andava fiero (all’epoca commendatori e cavalieri del lavoro non erano titoli inflazionati), intanto aveva assunto l’incarico di presidente provinciale del Coni trasformandosi nel centro motore dell’intero sport savonese (uno sport savonese che tornava ad essere presente anche alle Olimpiadi) e inventando i Giochi della Gioventù. Nel suo tessere la tela però rimaneva indissolubilmente legato alla vita del Savona Fbc: con il ministro Carlo Russo fu lui il principale artefice dell’avvento di Dapelo, la campagna acquisti- vendite passava sempre per le sue iniziative di grande competente (nella periferia italiana c’erano grandi competenti alla guida di piccole squadre: Mazza a Ferrara, Mocchetti a Legnano, Marmo a Novara, Carlino Berretta a Brescia), la spinta economica non mancava mai, i suoi figli Nico e Marino assumevano ruoli dirigenziali: Marino fino alla presidenza negli anni ’80.
Erano tempi avventurosi: tempi di “cambialone” rinnovate di anno in anno dalla Cassa di Risparmio; di cessioni-record come quella di Valerio Bacigalupo avvenuta nella saletta del Bar Splendid trattando con Novo, Erbstein e Pozzo con il segretario Tarabella pronto ad adocchiare quattro preziosi palloni adagiati sul sedile posteriore della macchina del presidente granata, di dirigenti munifici come Falco e “Ninni” Marchese, diviso tra l’amore per i colori biancoblù e la passione per le auto sportive e le bionde da rimorchiare, di medici sociali trascinatori in panchina come Gegè Scarpa, di un Bar Splendid dove sotto l’egida di Giovanni Delle Piane, affermato dentista, si riunivano i dirigenti dal ragionier Casella a Saglio, da Galleano ad Anselmo, da Tonini a Cirio, autorevoli figure di spicco della Città. La sede, a un certo punto si trasferì in un mezzanino di via Paleocapa (sopra al “Moscerino di mezzo”, successivamente in Piazza Diaz): il regno del sempiterno segretario Gaetano Chiarenza, depositario inattaccabile di tutti i segreti della società, autentico pilastro della società per conoscenza delle carte federali, autorevolezza e credibilità.
Ma Del Buono era il Savona. Il Savona era Del Buono. Il suo “scagno” all’ombra della Cattedrale era un punto di riferimento per dirigenti, giocatori, allenatori, procuratori e, ovviamente, tifosi. Tutto passava da lì. Da certi passaggi di tecnici in cerca di panchina si poteva tastare lo “stato di salute” dell’allenatore in carica; dall’arrivo di capitan Persenda si poteva capire se c’era qualche novità in arrivo. Ma nulla filtrava, se non a cose fatte. In quegli anni la Città si riconosceva nella sua squadra. E gli “striscioni” lottavano a testa altissima con il fior fiore del calcio italiano. Un’epopea. Basta andarsi a rileggere la composizione di quei gironi di Serie C. Al “Bacigalupo” scesero Pro Patria e Treviso, Udinese e Parma, Triestina e Modena, Novara e Pro Vercelli, Biellese e Piacenza, Pordenone e Marzotto, Mestrina e Venezia, Crda Monfalcone e Vittorio Veneto, Entella e Spezia, Sanremese e Como, Saronno e Varese. Citando alla rinfusa, con tante omissioni.
A Del Buono piacevano i giocatori “fatti”, era poco incline agli esordi avventati: nel ’57-58 al ritorno nei campionati interregionali si affidò a due anziani di grandissima classe come Gennari e Mantero rivolgendosi poi alle categorie superiori per rafforzare la squadra. Dal Verona arrivò Corrado Teneggi, dal Messina lo statuario Ilvo Nadali. Rilanciò Bruno Ferrero tra i pali, dopo il brutto infortunio a Giacomelli. Un Ferrero sul quale nessuno avrebbe scommesso, ma che lo ripagò con grandi prestazioni. In fila nella memoria i nomi di Farinelli, Bertolaccini, Caffaratti, Bianco, Negri, Ballauco, Contin, Ciglieri, il portiere Franci, Milly Giordano, Pucci Gittone, Piero Natta, Mino Persenda, Nino Parodi, Umberto Ratti, Osvaldo Verdi, Carletto Pietrantoni. Taccola, Corucci, Rosin, Maurizio Bruno, invece erano uomini portati direttamente da Fausto Gadolla. Ma i suoi preferiti, i suoi pupilli erano, fuori di ogni dubbio, fossero due “enfants du pays”, due mostri per impegno, abnegazione, attaccamento alla maglia: Valentino Persenda e Giulio Mariani. Piacevano a Del Buono anche i cavalli di ritorno, quei giocatori che da giovani avevano spiccato il volo e che, maturi, potevano tornare a dare ancora una mano a quella che lui definiva “la navicella bianco blu”: capitò a Ciccio Varicelli, un mito del nostro Savona, Duilio Zilli, Mario Ventimiglia.
Era decisionista per eccellenza e riusciva a convincere i suoi (fedelissimi) dirigenti, citiamo Falco, un piccolo impero dei tessuti all’angolo tra via Giuria e via Guidobono, a fare scelte che lui aveva già deciso. Per tutti la vicenda del centravanti Duvina. Stagione 1963-64: Del Buono era convinto che al Savona mancasse un attaccante e pur contando su due punte, Albino Cella e Berto, decise di portare il varesino Duvina sulla rive del Letimbro. Una spesa in più. Bisognava convincere i consiglieri che il Savona ne aveva bisogno. Li lavorò ai fianchi con una tattica di lento logoramento. E quando il fido Falco si lasciò sfuggire un “sai Stefano, forse ci vorrebbe un’altra punta”, il presidente tirò fuori il coniglio dal cilindro: “Ho preso Duvina“. Ma portarlo a Savona non fu facile. La moglie non voleva lasciare Varese. Toccò allo stesso Falco, che per il Savona firmò più cambiali di tutto il resto della vita, e Gagliano addolcirla, regalandole una pelliccia di visione. Duvina quell’anno segnò tre gol in tutto. Ma nessuno glielo rimproverò.
Abbiamo in mente anche i suoi allenatori preferiti, pensiamo di non sbagliarci: Felice Levratto, che impersonificava quell’autorevolezza “savonese” che tanto piaceva al presidentissimo, e Felicino Pelizzari, grande tecnico, gentleman di razza, tattico consumato.
Il settore giovanile era ben organizzato, diretto dal sagace Petitti (indimenticabile il suo grido di battaglia: “Con Petitti non si torna mai sconfitti“) e dagli entusiasti Giordanello, un grande esperto di calcio, e Marietto Lenzuni. Lo stesso Levratto allenò a lungo la seconda squadra e, alla guida dei baby bianco blu, si alternano tecnici di vaglia anche destinati a luminose carriere come Ezio Volpi, bravo e sfortunato, e poi Pino Marte, Sergio Sguerso, Agostino Macciò.
Era però difficile che dal settore giovanile si arrivasse in prima squadra, in quel periodo toccò a pochi: il portiere Piero Jannicelli per necessità, Ghiara e Prina per poche partite, Victor Panucci e Piero Pittofrati, lo sfortunato “Poppo” Vannini. Sardo, Lagustena, Bordegari che avevano qualità da titolari non arrivarono mai ad esserlo (non c’era la panchina, le rose erano molto ristrette). Dubourgel giocò una partita, però alla fine della gestione Gadolla , così come poche gare videro in campo un bel difensore come Carlo Tosello.
Del Buono voleva una squadra esperta, scafata, astuta, con i difensori senza paura e i tacchetti roventi: forse era un suo limite, ma era un Savona a sua immagine e somiglianza in un periodo in cui lui era il Savona. E non va dimenticato.
di LUCIANO ANGELINI E FRANCO ASTENGO
(Dal Blog Luoghi e memorie del calcio savonese)