Tu vuo’ fa’ ll’americano
Mericano, mericano … De Nolì
Tu vuo’ fa’ ll’americano
Mericano, mericano . . .
Sient’a mme chi t’ ‘o ffa fa’?
Tu vuoi vivere alla moda,
Ma se bevi “whisky and soda”
Po’ te siente ‘e disturba’
Tu abball’ o’ rocchenroll
Tu giochi a beseboll
Ma e solde p’ e’ Ccamel
Chi te li dà
La borsetta di mamma
Scorrendo i titoli del settimanale online “Trucioli – Blog della Liguria e del Basso Piemonte”, mi imbatto in un articolo, redatto da un autore che va per la maggiore, dal titolo: “Da Noli ‘povera Italia’! Lotta ai vu cumprà? Una presa in giro che dura ormai da decenni” e nell’articolo leggo anche “….Ecco che allora viene da domandarsi: chi è il primo e vero responsabile che alimenta il mercato basato sullo sfruttamento del lavoro e la tratta degli esseri umani? Perché non si vuol colpire senza tregua quei pochi magazzini organizzati a ricevere il diverso materiale commerciabile, spesso contraffatto, depositato per essere smistato ai ‘disperati’ – vittime di turno? E’ sempre stato tutto molto chiaro…questa è una scelta politica! E’ quella di non voler colpire, annientare quelle poche fonti e neutralizzare, di conseguenza, coloro che pagano, tra l’altro, il prezzo più alto in questa pseudo repressione. Tutto ciò protetto e governato da chi? E’ palese che si tratta di un’efficiente organizzazione criminale che, guarda caso, viene contrastata(?)… solo alla fine della catena, colpendo il pesce piccolissimo, non la fonte. Evidentemente chi tocca i fili “alti” … muore “politicamente” se non “fisicamente”. “
Risposta
Siamo noi, i popoli del vecchio continente italiani compresi.
Il fenomeno della diffusione del neologismo “vucumprà” può essere paragonato a quello del termine “sciuscià“, con cui alla fine della seconda guerra mondiale si iniziarono a chiamare i bambini napoletani che si offrivano di lucidare le scarpe ai soldati statunitensi, distorcendo la pronuncia dell’inglese shoe shine.
La parola “vucumprà” viene a volte usata con significato esteso, per esempio a indicare genericamente gli exstracomunitari immigrati, a prescindere dall’attività che svolgono. In altri casi la parola viene usata per alludere ad alcuni aspetti secondari del fenomeno dei venditori exstracomunitari immigrati, per esempio alle caratteristiche dei prodotti venduti dalla maggior parte di essi [prodotti di scarso valore, imitazioni illegali di oggetti di marca, copie illegali di opere protette da diritti d’autore, e così via].
Leggo sul quotidiano “La Stampa” – “Verbania – Ossola” di oggi 14 settembre 2016, la notizia: “Proponevano calzini con il marchio «Armani» che però non avevano nulla a che fare con la nota griffe. È questa la scoperta fatta dai finanzieri della tenenza di Omegna nell’ambito di un controllo a un ambulante nella zona dove tutte le settimanale si svolge il mercato.
L’ambulante opera nel settore della commercializzazione al dettaglio di capi di abbigliamento ed articoli tessili, con sede in Verbania. Le indagini delle fiamme gialle si sono estese anche alla ditta che lo rifornisce e così sono stati sequestrati 6.222 capi contraffatti, tutti col marchio contraffatto «Armani». I responsabili della truffa sono stati denunciati alla procura di Verbania.
Facciamo un salto all’indietro nel tempo, parlando inizialmente di vendite al dettaglio: ambulanti.
La sua origine si perde nella notte dei tempi in quanto anticamente nei borghi agricoli non esistevano negozi stabili e quindi per l’approvvigionamento era necessario andare alle fiere che si tenevano periodicamente. Per far fronte alle necessità della popolazione rurale esistevano le figure degli ambulanti, le cui origini sono forse da mettere in relazione alla relativa sicurezza degli spostamenti dopo l’anno Mille, pur senza escluderne l’esistenza in epoche più antiche. Spesso a dorso d’asino, magari con un carretto, giravano per le campagne portando ogni genere di prodotto che potesse servire.
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Alla fiera dell’est,
per due soldi
un topolino mio padre comprò.
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La nascita del mercato rappresentò un capitolo significativo nella storia del commercio. Le fiere nacquero dall’aggregazione di venditori ambulanti che, a scadenze prefissate del calendario civile o religioso, si riunivano per offrire i loro prodotti.
Sin dal II secolo a.C., con la fine delle guerre tra Cisalpini e Romani, si svolgono nella Pianura Padana importanti fiere mercantili che vedono il concorso di mercanti da tutta la penisola. Senza dubbio i ricchi mercati della regione dovevano essere particolarmente allettanti per i commercianti latini e romani, infatti le fonti antiche sono concordi nel descrivere la grande ricchezza agricola della Pianura Padana, il basso costo dei suoi prodotti ed in particolar modo i suoi apprezzati allevamenti di maiali, le cui carni salate ed affumicate costituivano una preziosa riserva alimentare anche per gli eserciti. In cambio di tali prodotti giungevano sui mercati della Cisalpina merci esotiche provenienti non solo dall’Italia peninsulare, ma anche dal Mediterraneo orientale (oli, profumi e vini esotici la cui presenza è attestata dal ritrovamento dei caratteristici contenitori). Tuttavia assieme alle merci viaggiavano, come ancor oggi viaggiano, le idee, gli usi e i costumi. Questo fatto, unito al ritorno in patria dei reduci cisalpini che avevano prestato servizio nell’esercito romano e che portavano con sé non solo notizie di paesi lontani, ma anche novità, nuove abitudini e usanze (e non possiamo escludere che al loro seguito non arrivassero mogli, servi e schiavi forestieri), favorì la completa integrazione nel mondo culturale romano anche degli abitanti dei centri minori.
Nella Roma antica il mercato era un vero e proprio specchio della potenza economica dell’Urbe.
Il mercato ha rappresentato una parte importante nella formazione della città: si è spesso identificata nella funzione commerciale la causa prima dell’agglomerazione urbana, e la sua crescita come processo di differenziazione graduale di un’economia basata inizialmente sull’attività di scambio.
Durante l’alto Medioevo, con l’economia feudale l’istituzione sembrò temporaneamente tramontare; era in atto il baratto tra le popolazioni. Ma con il rifiorire dei nuclei urbani intorno al XIII sec. i mercati rinacquero e si espansero.
Il mercato fu situato dapprima in terreni imperiali o arcivescovili, detti broli, accanto ai quali sorsero edifici destinati al commercio, chiamati broletti; successivamente, col consolidarsi della classe mercantile, si costruirono piazze di mercato in aree di proprietà del comune, luoghi centrali di incontro, spesso funzionalmente specializzati (piazza delle erbe, del pesce, ecc., nelle città del Veneto).
Nelle città del Rinascimento e fino all’inizio del XIX sec. il mercato svolse un ruolo significativo nell’affermarsi di costumi locali; si diffusero i mercati coperti (Genova, Firenze, Haarlem) e le logge dei mercanti (Padova, Bologna). Dal sec. XIX il mercato, sempre coperto, perdette definitivamente il carattere di centro di vita cittadina, conservando una specifica definizione funzionale (Halles Centrales di Parigi), mentre in corrispondenza al mercato centrale si costruivano mercati rionali o mercati specializzati per genere.
Dalla seconda metà del ‘500 e per tutto il ‘600 le scene di mercato si affacciarono con frequenza nelle opere pittoriche, dall’Italia alle Fiandre. Esse celebravano l’abbondanza derivata dalla crescente fiducia nel commercio, fonte primaria di ricchezza per le nuove classi emergenti.
Per varie ragioni, all’inizio del del XVII secolo gli inglesi stabilirono colonie in Nordamerica . In questo periodo, il proto-nazionalismo inglese e la capacità della nazione di affermarsi sulla scena internazionale si svilupparono e furono sostenuti anche da una certo grado di militarismo protestante e di adorazione verso la regina Elisabetta I. A quell’epoca, non vi fu alcun tentativo ufficiale, da parte del governo inglese, di creare un impero coloniale. Invece, le motivazioni che spinsero alla fondazione delle diverse colonie furono variabili e disparate. Tra esse ebbero influenza considerazioni pratiche come la volontà di sviluppare nuove attività imprenditoriali, la sovrappopolazione, il desiderio di libertà religiosa.
Ed è appunto che le nuove attività imprenditoriali svolte non tanto dal governo centrale ma bensì dalle varie cooperative private, portarono ad intuire che la coltivazione del tabacco poteva essere redditizia. I coloni la appresero dagli indiani, che la praticavano estesamente. Piccole quantità di tabacco venivano già esportate in Europa, e il fumo si stava diffondendo, accrescendone la domanda e il valore di mercato. L’esportazione di tabacco procurò un guadagno favoloso alle Compagnia. La scarsità di moneta circolante e la diffusione generalizzata del tabacco fece sì che esso fosse utilizzato come mezzo di pagamento fino al del XVIII secolo inoltrato.
La coltivazione del tabacco era un’attività ad alta intensità di lavoro, e in questa regione l’agricoltura di piantagione si sviluppò presto. Dapprima i proprietari impiegarono servi a contratto, che, per pagare il costo del viaggio verso l’America, si impegnavano a lavorare nelle piantagioni per alcuni anni.
Nel del XVII secolo la popolazione inglese ebbe una crescita considerevole, accompagnata da un grande sconvolgimento sociale. Molti proprietari terrieri si riappropriavano delle loro terre per sfruttarle direttamente, scacciandone i contadini che le lavoravano in base a un tipo di rapporto risalente al medioevo.
Siamo nel XVII secolo ma, oggi XXI secolo, le analogie sono impressionanti ! Servi a contratto, schiavi ieri e vù cumprà oggi.
La disoccupazione e il vagabondaggio aumentarono in modo consistente. Molti contadini, senza più casa né mezzi di sostentamento, emigrarono in America. Anche la guerra civile inglese spinse un gran numero di persone, sia poveri che ricchi, ad emigrare.
Nel corso del del XVII secolo la disponibilità di terre e manodopera si concentrò progressivamente nelle mani dei piantatori più ricchi, e questo, insieme all’instabilità dei prezzi del tabacco e alle tasse crescenti, rese più difficile ai meno ricchi acquistare abbastanza terra per essere autosufficienti. In mancanza di alternative, molti servi dovettero rinnovare il loro contratto per periodi sempre più lunghi; di conseguenza si formò un’ampia classe di poveri scontenti.
Nel 1676 scoppiò una rivolta detta “Bacon’s Rebellion“, dal nome del suo capo Nathaniel Bacon. Le cause erano molteplici, ma la rabbia delle classi inferiori era una delle più importanti. I ribelli assunsero il controllo della colonia e lo tennero per diversi mesi, fino a quando furono sconfitti da una forza navale inviata dall’Inghilterra. Dopo la Ribellione di Bacon l’impiego di schiavi africani aumentò considerevolmente, in parte per il timore dei proprietari per un’altra rivolta, ma anche per la maggiore disponibilità di schiavi che si verificò verso la fine del secolo. In precedenza, gli schiavi africani erano venduti in prevalenza nei Caraibi, dove erano molto utilizzati nelle piantagioni di canna da zucchero, mentre in Virginia erano rari e costosi. Ma dopo le guerre anglo-olandesi l’Inghilterra ottenne il controllo della tratta degli schiavi e ne aumentò il volume. Alla fine del XVII secolo gli schiavi africani stavano rapidamente sostituendo i servi a contratto inglesi come principale forma di manodopera.
Oltre all’agricoltura, assunsero grande importanza anche il commercio e le costruzioni navali.
Un altro punto su cui le colonie si trovarono più simili che differenti, fu l’esplosione delle importazioni di beni britannici. L’economia britannica aveva iniziato a crescere rapidamente alla fine del XVII secolo, e alla metà del XVIII le piccole fabbriche britanniche producevano più di quanto la nazione potesse consumare, pertanto i britannici incrementarono le proprie esportazioni del 360% tra il 1740 e il 1770. Siccome i mercanti britannici offrivano un generoso credito ai loro clienti, gli americani iniziarono a comperare quantità sbalorditive di beni inglesi. Dal New England alla Georgia, tutti i sudditi britannici compravano prodotti simili, creando e inglesizzando una sorta di identità comune.
Anche i mercanti europei si servivano dei beni provenienti dalle colonie del nuovo mondo; negli ultimi decenni dell’800, arrivò diffusamente l’innovazione della formula del mercato coperto, che venne evidenziata artisticamente con la presenza delle insegne commerciali, poste sull’esterno degli edifici per catturare l’attenzione dei compratori; vedi i grandi magazzini di Londra e l’art nouveau a Parigi
Torniamo ora al “mercato” dopo la seconda guerra mondiale. Le antiche colonie inglesi non esistevano più, si erano trasformate negli Stati Uniti d’America, e la bilancia commerciale dopo la crisi del ’29 era andata, via via, ad aumentare. Calavano sui mercati europei i Grandi Marchi, le innovazioni tecnologiche, e con il piano Marshall, anche i quattrini.
I grandi proprietari terreni pur esistendo ancora, stavano cedendo il passo alla classe sociale imprenditoriale di piccole e medie imprese che operavano all’ombra dei Grandi Marchi e la produzione aumentava a dismisura. I novelli “Pescicani” si espandevano, ma, dopo un ventennio, il popolo operaio non era più in grado di acquistare i loro prodotti anche in virtù del loro costo eccessivo.
Nel 1970 valori espressi in lire:
Stipendi: impiegato ca. £ 60.000, insegnante scuola media £. 95.000, operaio ca. 47.000, contadino 20.000, Costo giornale £ 30. Biglietto del Tram £ 35. Tazzina Caffè £ 50, Pane £ 140 al kg., Latte £ 90. Vino al litro £ 130, Pasta al kg. £. 200, Riso al kg £ 175, Carne di Manzo al kg. £ 1400, Zucchero al kg £ 245. Benzina £ 120, 1 grammo di Oro £ 835, Auto utilitaria £. 625.000, Maglietta La Coste £. 50.000
Uno dei settori più esposto è quello dell’abbigliamento; mentre a noi studenti liceali faceva gola le magliette del coccodrillo indossate dagli studenti che frequentavano, con i soldi di papà, i licei legalmente riconosciuti, oggi l’oggetto del desiderio di allora, è alla portata di tutti. Oggi anche le classi sociali meno ambiènti possono possedere questo capo d’abbigliamento.
Coniugare costo eccessivo ed oggetto del desiderio, ci pensano, come sopra detto, piccole e medie imprese che operano all’ombra dei Grandi Marchi, e che per la catena di distribuzione si affidano a cooperative che sfruttano, come nel XVII secolo, i nuovi schiavi non solo africani come principale forma di commercio.
Alesben B.