Dall’esito del referendum contro le trivelle del 17 aprile, oltre al blocco delle concessioni petrolifere in mare, dipendono due grandi blocchi di interessi nascosti, di rilevanza strategica nazionale per i prossimi decenni.
In realtà i cittadini hanno il potere di decidere, da un lato se il governo debba dopo oltre un ventennio, applicare un Piano Energetico Nazionale, in coerenza con gli impegni sottoscritti al Cop 21 di Parigi, per l’abbandono effettivo dei combustibili fossili, e fermare il dissesto idrogeologico globale.
Dall’altro, votando Si al quesito, gli italiani possono bloccare anche la metodologia vigente relativa alla gestione delle grandi infrastrutture di interesse strategico nazionale.
Di fatto questo referendum assume tali rilevanti significati, se si analizzano la criticità del problema energetico italiano, una vicenda che ha raggiunto un rilievo giuridico, economico ed ecologico, tanto controverso quanto inaccettabile in un normale paese democratico.
Proprio la mancanza di un Piano Energetico del Futuro, è la causa di una situazione confusa che consente iniziative contraddittorie rispetto agli impegni internazionali sottoscritti dal Governo a nome della Nazione. L’esecutivo invece ignora che, anche giuridicamente è iniziata la transizione dall’era dei combustibili fossili verso quella dell’energia ad inquinamento Zero.
Tuttavia, comunque insiste l’obbligo di attuare un nuovo modello energetico, definito a grandi linee, in primis dall’azzeramento di ogni ulteriore investimento su tecnologie fossili e nucleari di fissione, inquinanti e pericolose per l’ambiente, che viceversa persistono illegalmente per un valore di circa tredici miliardi l’anno e che gravano sulle accise degli automobilisti e sulle bollette dell’energia degli italiani.
Le altre prescrizioni del piano tanto doverose quanto coerenti con l’obiettivo virtuoso stabilito, per consentire un futuro possibile ai nostri giovani, riguardano anche l’esclusione di ulteriori impianti termovalorizzatori e delle discariche dei rifiuti.
Al contrario vanno definiti e promossi programmi di “rifiuti zero”, di traffico urbano con mezzi elettrici e a idrogeno, di riqualificazione edilizia a dispersione termica minimale. Per il trasporto merci occorre mirare al sistema ferroviario sottoutilizzato, ma più economico e ecologico, mentre quello su gomma effettuerà lo smistamento locale di breve distanza. Inoltre per le centrali termoelettriche, nel periodo di transizione deve essere previsto solo il funzionamento a gas, in vista delle centrali solari termodinamiche, e di quelle a energia nucleare di fusione a inquinamento nullo, oggi ancora in fase sperimentale.Tutto ciò non è mai rientrato nelle priorità dei governi che si sono succeduti negli ultimi decenni, compreso l’attuale ed è ormai divenuto inderogabile.
La necessità di smontare il Modello di Gestione del Sistema Petrolifero è esplosa con l’inchiesta giudiziaria in corso, relativa al sito petrolifero Tempa Rossa, in Basilicata. Vi sono coinvolti Ministri dimissionari e non, accanto a Sindaci, Governatori, imprenditori e lobbysti. Persino il Primo Ministro si è assunto la responsabilità politica del caso, con la precisa motivazione della creazione di alcune migliaia di posti di lavoro e di sbloccare l’Italia.
Dai fatti acclarati appare, secondo gli inquirenti, una rete di affari di sottogoverno, concessi a ditte di vario tipo, connesse ad alcuni enti petrolieri, tramite l’azione dei lobbysti, la cui presenza è ritenuta normale e giustificata dal governo.
Basti ricordare che si tratta di quella lobby tanto potente da condizionare negativamente l’andamento finanziario delle borse mondiali, tutte le volte che il prezzo del petrolio scende.Ma il governo dovrebbe quanto meno mediare anche rispetto alla lobby di riferimento più importante, costituita dai Cittadini Italiani i cui interessi sono certamente da tutelare.
Tuttavia in realtà la filiera operativa inizia dal governo, con l’ approvazione di una norma la quale ha trasformato i siti e gli impianti, le pipe -line, i centri di stoccaggio del caso, in Infrastrutture di Interesse Strategico Nazionale (Sblocca Italia) e che ha consentito il reinserimento dell’emendamento prima bocciato, che serve a by-passare la posizione contraria degli Enti Locali e delle popolazioni (Legge di Stabilità). Così l’affare del più grande sito petrolifero italiano è assegnato ai petrolieri stranieri, mentre agli italiani saranno riservati gli oneri del futuro smantellamento delle strutture e il ripristino ambientale, sperando che gli inquinamenti eventuali non siano gravi.
Dunque il vero quesito che di fatto si pone il 17 aprile accanto a quello referendario è:
“ritenete voi che l’intreccio tra politica ed economia, insieme con la rete che accosta politici potenti, manager e imprenditori del Caso Tempa Rossa e del porto di Augusta, debba essere smantellato?”
Credo esista una sola risposta ragionevole: SI.
Giovanni Maina