Il Monte Fronté, la statua della Madonna, il 60° anniversario. Un angolo di cielo, devozione, meditazione, ringraziamento per migliaia di persone. Fedeli e atei. Imperiesi, savonesi, genovesi, cuneesi. Italiani soprattutto, ma anche turisti d’oltralpe. Affascinati dalla maestà che si sprigiona dalla marmorea figura della Vergine sulle Alpi Marittime: 3 m. di altezza, 17 quintali. Nel giorno della ricorrenza si sono ritrovati per pregare oltre 300 ‘pellegrini’, in prevalenza giovani e un piccolo gruppo di mendaighini per rendere omaggio ai compianti e benemeriti concittadini che contribuirono ad erigere il manufatto intriso di ricordi, richieste di grazia. La cerimonia, dopo la S. Messa, si è conclusa con la posa di una targa ricordo dell’Agesci al grande don Rinaldo Bertonasco e Angela per ‘aver servito l’associazione’.
Era stata annunciata la presenza del vescovo coadiutore Guglielmo Borghetti, ha disdetto per motivi di salute; il cardiologo l’avrebbe sconsigliato. Ne ha risentito l’organizzazione complessiva: ritardo di mezzora nell’inizio della S. Messa, in attesa dell’arrivo del delegato del vescovo il can Ettore Barbieri, neo rettore del Seminario Vescovile, direttore dell’Ufficio Diocesano Pastorale, Assistente Ecclesiastico dell’Azione Cattolica. Ci ha messo lo zampino un po’ di distrazione. Ha dimenticato di ricordare l’opera infaticabile svolta nel corso dei decenni dai parroci di Mendatica don Ricci, don Tassara e da ultimo don Giovanni Brunengo che sulla soglia dei 90 anni non ha mai mancato di presenziare alla messa della Madonna del Monte Frontè. E con loro riproporre la cronaca di sei decenni fa; con un autocarro dell’artiglieria del Primo Reggimento Contraerea di Albenga, i volontari di Mendatica organizzarono il trasporto montano con carro trainato da muli e con la slitta nel tratto finale. Il giorno dell’inaugurazione fu festa grande, la montagna in quegli anni ospitava greggi e pastori. Si ricoprì di fedeli, con inni e canti sacri. Devozione partecipata e sentita. Oltre al vescovo Raffaele De Giuli, furono ringraziati, per il loro ruolo, Etienne De Michelis, originario di Mendatica, padre di Luciano ex presidente della Provincia di Imperia e di Ivo, ex vice presidente della Fondazione Carige. Tra i presenti , sempre quel giorno di 60 anni fa, l’indimenticato (per i più anziani) don Antonio Ricci che ha concluso la sua lunga ed esemplare missione, di apostolo coerente, nella cittadella ospedaliera del Santa Corona di Pietra Ligure. Infine la preziosa collaborazione del sindaco allora in carica, Giovanni Paolo Sciandini, e altri sette sette mendaighini. L’ultimo ‘chiamato’ in cielo cinque anni fa.
E’ utile, corretto che le nuove generazioni sappiano, che nelle cerimonie ufficiali (almeno nel 60°) si indichi quanti hanno faticato, partecipato ad un’impresa storica, scolpita nelle Alpi Marittime, tramandata alle generazioni future. A completezza, di fronte ad una rimostranza di un umile ‘mendaighino’, don Ettore ha risposto leggermente sopra le righe e fuori luogo: ” Qualsiasi cosa faccia non va mai bene, sono 20 anni che è così….”. L’ha ripetuto due, tre volte. Cosa abbia voluto dire ad un cittadino che non conosce, ha visto per la prima volta, lo sa soltanto lui. Può spiegarlo se lo ritiene. Non è per spirito di polemica, ma di cultura della memoria, dei meritevoli e per non dimenticare chi si è distinto, ha meritato e merita un pubblico grazie anche per la storia, il buon esempio da tramandare.
Don Barbieri ha fatto presente che “tutti sono legati a questo luogo, tutta la diocesi e non solo l’azione cattolica alla quale si deva l’iniziativa originaria. Tante persone hanno faticato per portare quassù questa statua e molti fedeli sono legati a questo monumento…”. Il vice sindaco di Mendatica, prof. Emidia Lantrua, ha ringraziato la diocesi, l’Azione Cattolica con tanti giovani presenti, la loro cantoria, i sacerdoti che anno dopo anno ci hanno accompagnato….i mendaighini che hanno realizzato la struttura, e i tanti volontari che si sono alternati nell’opera di restauro, quando un fulmine spezzò in tre la statua e proiettò la testa della Madonna a 700 metri, lungo un burrone a piombo. Statua restaurata gratuitamente dall’azienda Papone.…. Si racconta che fu proprio l’allora sindaco (Emidia Lantrua) ad impegnarsi per giorni e giorni, con volontari e compaesani, nella ricerca di frammenti della statua e fu lei a rinvenire il capo tranciato della Madonna.
Tra i presenti, una folta rappresentanza della parrocchia San Pio X di Loano, con il parroco don Luciano Pizzo, 67 anni, originario di Balestrino. Tra i primi a salire e sedersi ai piedi della statua si è distinto don Fabio Bonifazio, già vice parroco del Cristo Re di Imperia, poi a Loano dove il 24 febbraio 2012 si trovò coinvolto in un oscuro episodio che fece clamore più del dovuto, anche per gli interrogativi che ne scaturivano, ma che accaddeva in anni in cui la diocesi e alcuni suoi parroci collezionavano scandali e scandaletti a sfondo sessuale o da love story. Don Carot, come amava definirsi per il colore dei suoi capelli, pagò un prezzo umanamente e moralmente salato. Dopo un asserito palpeggiamento di una ventenne conoscente di Loano, don Fabio fu ospitato da don Fabrizio Fabbris, parroco di Laigueglia (scomparso nel 2013), successivamente si trasferì in Sud America per un periodo di meditazione e volontariato su decisione, si disse, del vescovo Oliveri. Rimase nella diocesi di Carabayllo (Lima) dove è vescovo Lino Panizza Richero, origini a Balestrino. A conclusione dell’iter processuale, il 19 febbraio 2013, don Fabio ha patteggiato la condanna ad un anno di carcere, pena sospesa. Continua ad esercitare il suo ministero con una ferita, ma apprezzato da tanti giovani, dal loro entusiasmo. Il perdono prima di tutto, ci ricorda spesso papa Francesco.
Al processo, Giulia C. , di Loano, ha riconfermato quanto era scritto nella sua denuncia querela, compresa la circostanza di non aver mai conosciuto prima di allora il giovane sacerdote. La sua ordinazione sacerdotale fece rumore perchè tra i cinque (neo sacerdoti) c’era don Julio Abalsamo, 45 anni, italo argentino, un ex modello che aveva sfilato per molte griffe internazionali, tra cui Prada. Don Fabio era trentenne. Gli altri erano don Ivan Cattaneo, 39 anni, milanese; don Thomas Jocmerczyk, 34 anni, polacco di Katowice e don Marco Veghini, classe 1983, veronese.
Nell’occasione della cerimonia alla Madonna del Frontè don Fabio indossava indumenti colorati, con bandana, abbigliamento casual scargiante come documentano le foto. Non è l’abito che fa il monaco. Non l’ha ordinato il medico, diceva un ex insegnante del seminario, indossare abiti poco consoni al decoro sacerdotale, al ruolo pubblico ricoperto. Nella ricorrenza religiosa con centinaia di persone. I tempi cambiano ? In peggio, si direbbe, di fronte a certi ‘spettacoli’.
L.C.
L.C.