UNO STRESS-TEST CHIAMATO UNIONE EUROPEA.
Mi è stato più volte chiesto, da consigliere politico, ma anche da appassionato di studi storici, qual’è il mio giudizio sull’Unione Europea e sulla moneta unica, specialmente da quando si è palesata in tutta la sua drammaticità la crisi politica e l’insolvenza economica della Grecia con un forte rischio di contagio anche per il Portogallo e l’Italia, quest’ultimo terzo paese con il debito pubblico più alto al mondo e, secondo i dati forniti oggi dall’Ocse, l’Organizzazione per lo Sviluppo Economico, con un rapporto tra debito lordo e prodotto interno lordo che è salito nel 2014 al 156%, rispetto al 142% del 2013 e al 110% del 2007.
Un fardello di debiti da 50.000 euro a testa.
L’Europa ha una storia millenaria e l’idea di unificarla gradualmente da un punto di vista economico-politico risale alla fine della seconda guerra mondiale, un sogno vagheggiato, in tutti i paesi europei, da un elite di utopici, come essi stessi si definivano: francesi, tedeschi ed italiani, come Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
L’Europa è sempre stata, negli ultimi mille anni, un’articolazione di Stati con costumi e lingue diverse, balbuzienti tra loro come avrebbero detto ad Atene, antica culla e scudo della democrazia occidentale.
L’avventurosa Unione Europea e soprattutto l’Eurozona appaiono quindi una forzatura storico-politica e le comparazioni che spesso vengono fatte con gli Stati Uniti d’America, dove prevale la stessa lingua anglosassone, esprimono tutta la confusione che esercita il mito federale di un’ Europa politica veramente coesa.
Per quanto riguarda l’euro non si hanno essenzialmente precedenti storici di un’unione monetaria tra stati sovrani con lingue e modelli di sviluppo diversi.
Basta attraversare il confine con l’Austria, perché la maggior parte degli italiani abbiano la possibilità di apprezzare quello che essi stessi definiscono “un altro mondo”, proprio perchè si entra a contatto con la “razza teutonica”, cristiana, ma non latina, per usare l’espressione dello storico inglese Herbert Albert Fischer, il quale scrisse una splendida e diffusissima Storia d’Europa nel 1935.
Non essendo tuttavia un veggente, intorno al destino dell’Unione Europea non ho risposte risolute o demagogiche, ma poiché non c’è futuro manifesto senza memoria, l’Europa, la quale attualmente ha 18 Stati nell’Eurozona, è suddivisa sostanzialmente in tre grandi blocchi: il cosiddetto blocco del nord che comprende tutti gli stati davvero europeans che sono stati colonizzati dalle tribù germaniche degli anglosassoni, dei franchi e dei bavaresi, solo per citare le più importanti; la cosiddetta area mediterranea, tra Gibilterra ed Atene, ed infine il variegato blocco dei paesi dell’est, i quali, crollato il comunismo dei soviet,stanno entrando o sono già entrati nell’Unione o nell’Eurozona.
La difficoltà enorme di tenere insieme questi blocchi attraverso il silicone dell’euro lo hanno già capito bene, nel loro pragmatismo, alcuni paesi del nordeuropa, come la Svezia e la Danimarca, i quali si sono opposti tramite referendum popolare alla moneta unica, con la possibile uscita dall’Unione anche della Gran Bretagna, secondo la quale, per colpa dei fantasisti dell’Unione Europea, stanno riemergendo stereotipi nazionali e linguaggi
ingiuriosi.
L’attuale stress-test che, a parte la grexit, stiamo vivendo ormai da un lustro è chiaramente dovuta al retaggio storico di cui sopra per sommi capi.
Mentre i paesi del nord sono fra i meno corrotti al mondo, evadono poco le tasse, hanno effettuato riforme strutturali in flessicurezza che allegano la libera concorrenza all’equità sociale ed hanno un profondo senso civico e di attaccamento alla propria comunità, pur essendo società aperte, l’area mediterranea rischia di subire il contagio della Grecia creando ulteriori frizioni nell’Unione.
Ancora: a differenza dei paesi continentali i paesi mediterranei non amano guardarsi troppo allo specchio.
Facciamo un confronto fra l’Italia e La Grecia. L’Italia è entrata nell’euro senza adeguarsi a regole chiare e stringenti, perchè già nel 1999, quando si presero decisioni che determinano in parte la situazione attuale, l’Italia non avrebbe dovuto entrare, poiché aveva già allora il 49% dei debiti di tutti i paesi che sarebbero entrati nell’Eurozona; la Grecia aveva addirittura falsificato la propria contabilità sovrana; entrambi i paesi hanno quindi debiti da bancarotta, entrambi hanno un’altissima evasione fiscale, sono statisticamente i due paesi più corrotti dell’Europa occidentale; entrambi non hanno sussidi interclassisti ma corporazioni estremamente aggressive con una classe politica pieghevole e consensuale; entrambi hanno amministrazioni pubbliche costosissime e con servizi perlopiù scadenti; entrambe hanno sul groppone della spesa pubblica le baby-pensioni, forti discriminazioni e conseguente conflittualità sociale.
Non è quindi questa situazione drammatica, quasi inestricabile, tra creditori e debitori un contrasto tra paesi ricchi e paesi poveri, ma, più esattamente, tra paesi che si comportano bene, con virtù e frugalità, e paesi inaffidabili, statalisti e corrotti.
L’euro pone l’accento sulle sperequazioni etiche dei vari paesi. Pensate soltanto che la divisa europea è duemila volte più potente della nostra vecchia e cara liretta.
Come ha giustamente detto, con grande chiarezza ed indipendenza di giudizio, l’europarlamentare Lara Comi, i paesi mediterranei sono troppo permalosi e, con animo vittimista e femmineo, cercano il capro espiatorio nella Germania, cuore continentale dell’Europa, e nel paziente cancelliere Angela Merkel.
Se l’Italia contribuirà con la Grecia al crollo dell’euro, purtroppo, si tratterà, per l’Italia, di un nuovo 8 settembre, non più militare, ma economico.
FAUSTO BENVENUTO
Consigliere comunale
Forza Italia – Savona