Non dedicheremo molto spazio al resoconto dei funerali ( mercoledì mattina, nella chiesa parrocchiale di S. Maria Giuseppe Rossello, alla Villetta di Savona) al servitore dello Stato, Gennaro Avolio. Per 41 anni ha indossato la toga nelle aule di giustizia. Ai nostri giorni raccontare, descrivere, testimoniare di un giudice integerrimo, estraneo alle’ logiche correntizie’, ai salotti, alle lobby, alle amicizie che contano, alle passerelle, può apparire surreale. Pubblichiamo per dovere morale e professionale quanto ci lasciò in ‘eredità’. Tre pagine dattiloscritte, nella stessa forma in cui ce le consegnò dopo averci telefonato in redazione al Secolo XIX. “Questo è il mio ‘testamento’ vorrei fosse reso pubblico, ma preferirei aspettare quel giorno….”. Condoglianze alla moglie Carla, alle figlie Luisa, insegnante e Elena, avvocato.
Quell’ultima inappellabile cartolina è arrivata. Il dr. Avolio, tra i protagonisti di lustri di storia giudiziaria savonese, ha chiuso gli occhi a 86 anni, al termine di una dolorosa malattia e comunque sempre lucido. Amorevolmente assistito. Era un uomo tutto famiglia, lavoro e fede praticata. Durante le udienze pubbliche, i processi, nei rapporti, rari, con i giornalisti che bussavano al suo ufficio o lo incontravano nel corridoio, era burbero, persino scostante; mai una parola in più di quanto non risultasse dagli atti pubblici, mai un commento. Con gli imputati, con i difensori, anche con i testimoni, passava dalla innata gentilezza, alle buone maniere, alla grinta, al rimprovero e se era il caso alzava la voce. E come ! Il suo primo comandamento era “La giustizia è uguale per tutti“, anche se a volte gli avvocati ritenevano che usasse il pugno di ferro più con i deboli che con i colletti bianchi. Due pesi e due misure solo apparenti, perché nella sostanza, nelle sentenze, non guardava in faccia nessuno.
Sono centinaia i processi, anche di spessore, che Gennaro Avolio ha seguito da protagonista; ora giudice a latere, ora presidente del collegio. Fama di un ‘plotone’ di ferro ai tempi del presidente Guido Gatti, con i giudici a latere Fausto Meloni e Vincenzo Ferro. Ognuno con la sua peculiarità, la dote di competenza, preparazione giuridica, indipendenza, esperienza. Poi arriveranno gli anni del presidente Franco Becchino, del presidente Vittorio Frascherelli. Personalità ed umanità indimenticabili. Ferro e Frascherelli si distinsero successivamente alla Corte d’appello di Genova, il primo concluse la carriera, a Roma, in Cassazione. Ha scritto, da fine giurista, alcune interessanti sentenze in tema di diffamazione a mezzo stampa.
Gennaro Avolio, chiamato a presiedere il più imponente processo della storia giudiziaria di Savona. Noto come caso Teardo. Tra un mare di difficoltà giuridiche, pratiche, fuoco di sbarramento dialcuni difensori e novità logistiche per chi era abituato alle stanze del vecchio palazzo Santa Chiara. Avanguardia del primo maxi processo in Italia, con imputazioni di associazione a delinquere formata da un gruppo di pubblici ufficiali e poi la banda mafiosa che non resse solo per via di carenze di legge. Un dibattimento, altra novità italiana all’epoca, all’insegna della tecnologia con l’impegno dell’allora giudice istruttore Granero che andrà poi al ministero anche sulla base dell’informatizzazione raggiunta a Savona in quel processo penale .
Il presidente Avolio sottoposto a prove difficili, messo sotto accusa (ricusato) da un difensore con l’obiettivo di far saltare il dibattimento. In quella occasione fu giudice relatore Vincenzo Ferro – la sorte ha voluto che le esequie siano stati officiate nella stessa chiesa che ospitò l’addio ai genitori del dr. Ferro -; faceva parte del collegio Caterina Fiumanò, oggi presidente della sezione penale. Ora come allora ci sono magistrati che, lontano dai riflettori della cronaca, in silenzio, arrivano a macinare 14 ore al giorno di lavoro. La vita a palazzo di giustizia nell’anno 2014, a leggere le statistiche, resta assediata dai fascicoli, da un’amministrazione giudiziaria da decenni in attesa di riforme da paese civile. Un paese soffocato dal garantismo, dall’incertezza della pena, dalla ragnatela dei gradi di giudizio, dalle lobby che spadroneggiano in Parlamento e fuori. Da un degrado che, come raccontano spesso fatti di cronaca, non ha risparmiato neppure le toghe, la loro indipendenza, i peccati di protagonismo. Da parte sua il berlusconismo continua a mettere alla berlina la giustizia, qualche volta a ragione, ma in 20 anni di potere si è ben guardato dal varare riforme e risorse affinché l’Italia non fosse fanalino di coda in Europa (e tra i pochi paesi civili al mondo) anche nella giustizia penale e civile. Aggiungiamo pure amministrativa (TAR). Un’altra anomalia esiste e pare silenziata: ai giudici, garanti della legge e dell’equità in senso lato, non dovrebbero essere consentiti incarichi remunerati extra le loro funzioni. Ma anche su questo fronte il rinnovamento della giustizia di ispirazione berlusconiana non sembra interessato. Meglio tenersi buono chi può vantare stipendi che non hanno pari in altri Paesi.
Gennaro Avolio faceva parte della vecchia guardia ‘integralista’, il cui unico interesse era per il luogo di lavoro. Non c’è da meravigliarsi se, nell’ultimo viaggio terreno, non ha avuto gli onori della folla; assente il Comune di Savona, la Provincia, le autorità civili e militari, sulle dita di un mano gli avvocati. Ormai era cittadino qualunque, senza potere, nonostante il suo glorioso e limpido passato. Consoliamoci, non è il numero delle presenze che conta, ma assai più la qualità, la sensibilità delle persone; tenendo pure conto delle assenze causa forza maggiore. E poi, non tutti, alla stregua della vedova e delle due figlie, possono andare fiere di quell’ umile servitore della Patria che in vita ha fatto scuola di coerenza e per la giustizia pare abbia sacrificato la salute. Fu colto da grave malore mentre si trovava in udienza, una mattina di ottobre del 1986. Non si perse d’animo. La sua forte fibra, seppure indebolita, lo riportò nelle aule di giustizia, nella nuova cittadella giudiziaria. E in quei locali ci affidò forse l’ultimo ‘discorso’ pubblico della sua meravigliosa esistenza terrena. E lasciando la toga volle ricordare ” un’amico carissimo, il giudice Antonio Petrella “.
LA LETTERA DATTILOSCRITTA DAL GIUDICE GENNARO AVOLIO (ANNI ’90)
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LE FIGLIE ELENA E LUISA IN CHIESA PER RICORDARE PAPA’ . PRESENTE ANNA ROSA GAMBINO GIA’ SEGRETARIO GENERALE DELLA CAMERA DI COMMERCIO
NELLA FOTO SOPRA SI INTRAVVEDONO IL GIUDICI FRASCHERELLI, ACQUARONE, IL CANCELLEIRE DANILO DIGHERO E IL COLLEGA MORINI IN PENSIONE
IN PRIMO PIANO IL CANCELLIERE FRANCESCO DI MAMBRO, IN SECONDA FILA I GIUDICI FERRO E FRASCHERELLI, A DS IL PRESIDENTE CATERINA FIUMANO’ E L’AVVOCATO NANNI RUSSO, GIA’ SENATORE DELLA REPUBBLICA. PRESENTE ANCHE L”AVV. ANTONIO CHIRO’ E CONTE
IN PIEDI IL GIUDICE FRANCESCO MELONI E LA CANCELLIERA MARIA GRAZIE PERRONE