IL TESTO UNICO sulla rappresentanza sindacale: quale efficacia? cui prodest? come si è mossa la deputata savonese Anna Giacobbe ? E la Camera del Lavoro della provincia di Savona? E gli oligarchi presenti nel sindacato pensionati liguri della Cgil ? E la stessa ‘confraternita’ delle brillanti carriere nella politica e nelle istituzioni, sempre ben retribuite da stipendi ed annessi ? E’ anche da questo tessuto cancerogeno che prende benzina il populismo, l’antieuropa, l’estremismo ? Lontani dalla dottrina dei Padri costituenti, da chi ha dato la vita per la Patria unita, dagli insegnamenti del savonese più illustre, Sandro Pertini, dall’imperiese Alessandro Natta e da Enrico Berlinguer.
Dopo anni di dibattito da parte di chi dice voler rappresentare i diritti della classe lavoratrice, il 10 gennaio 2014, a parziale conclusione di un patto già condiviso tra CGIL CISL UIL e Confindustria, stipulato nel 28 giugno 2011, i vertici di queste associazioni, quali interlocutori maggioritari rispetto alla totalità dei soggetti esistenti nel panorama nazionale, hanno stabilito alcune regole tese all’inquadrare il modus operandi delle relazioni industriali in questo Paese.
Dal punto di vista sindacale, l’impressione invece è che quel testo, oltre a servire per regolare i rapporti tra la triade mediante la certificazione degli iscritti (dunque un’ammissione di consapevolezza che il dato fino ad ora non fosse del tutto autentico), introduca, un pò come nelle leggi elettorali degli ultimi anni (e la conseguente gestione dei partiti politici e dei loro gruppi dirigenti), qualche elemento antidemocratico.
Fermo restando il giusto arginare quel fenomeno dei sindacati gialli filo padronali e/o le derive comportamentali illegali che in ipotesi potrebbero essere assunte anche dai sindacati più noti, in primis occorrerebbe capire se la recente norma nell’articolato relativo alla costituzione delle R.S.U.non contenga qualche passaggio finalizzato ad imbrigliare l’agire sindacale aziendale in un sistema chiuso e predeterminato.
La Corte Costituzionale con sentenza n.231/2013 ha già messo in guardia contro l’illegittimità dai patti impliciti o espliciti di esclusione degli altri sindacati, si rileva come il testo unico comporta implicitamente un patto di esclusione preventiva dei non firmatari di tale accordo, fatto salvo che essi non si pieghino ad aderire al medesimo.
Il testo unico inoltre, inserisce nuove previsioni dirette contro le minoranze sindacali interne e non si esprime sulla possibilità di un referendum tra i lavoratori. Pare, in sintesi, premiare gli accordi separati punendo il sindacato rimasto in minoranza esponendolo a rischi repressivi e risarcitori della controparte datoriale, condizione che rievoca alla memoria il caso Fiom/Fiat e, verosimilmente, la spiegazione di tale norma in forma pattizzia la si può trovare nel fatto che i lavori di preparazione del testo unico siano avvenuti in mancanza di condivisione ed in segretezza pure in CGIL.
Considerando i fatti, l’operazione testo unico si potrebbe anche leggere come una mediazione tra l’esigenza di palesare la reale situazione dei rapporti di forza tra la triplice(dato utile anche alla controparte datoriale) e la necessità di omologare gli addetti ai lavori ad un pensiero unico, magari ispirati dalle vicende politiche governative.
Dopo l’introduzione del fiscal compact, può darsi che si intenda pure confutare, seppur non apertamente, quei concetti richiamati in Costituzione finalizzati al promuovere l’emancipazione della classe lavoratrice consentendogli di rivendicare le proprie istanze anche mediante il diritto allo sciopero, un diritto alla lotta che i lavoratori possono esprimere individualmente, associandosi e coordinandosi mediante un sindacato al quale aderiscono; rispetto a questo si rileva che la linea politica di CGIL, CISL e UIL non sia del tutto aderente allo spirito dei Padri Costituenti, piuttosto pare più vicina a chi ha votato l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione.
In attesa che una legge sulla rappresentanza in stile “Italicum”sposti l’oggetto del dibattito (già debole e pregiudicato) in corso, potrebbe risultare utile e parzialmente riparatorio alla mancata trasparenza, coinvolgere la classe lavoratrice a qualche discussione mediante un referendum per farla esprimere sulla validità di tali accordi, emanazioni a cui risultano già da oggi sottoposti i lavoratori dipendenti e che determineranno ricadute concrete sui luoghi di lavoro.
Molto probabilmente invece accadrà che alla fase referendaria verranno coinvolte le categorie dei pensionati (presenti massicciamente nella triplice tanto da totalizzare quasi circa il 50% dei loro iscritti) tentando di fare passare poi nei luoghi di lavori i concetti contenuti nel testo unico con la solita logica della tifoseria di appartenenza, il che determinerà un voto di approvazione agli accordi già stipulati, concretizzando ulteriormente la linea fallimentare che ha condotto questo Paese al disastro socio-economico.
Le sorti del testo unico sembrano già segnate poi dalle possibili impugnazioni che ne conseguiranno da quelle categorie sindacali che subiranno il tentativo di soffocamento da parte di quel sistema chiuso e predeterminato, e ciò in attesa che la Corte Costituzionale si (ri)pronunci sul punto.
D’altra parte questi fatti non sono mica svincolati dalle brillanti carriere di sindacalisti che diventano poi leader politici e/o ricoprono cariche istituzionali.
L’avanzamento del processo (economico) europeo fà il resto; dal punto di vista invece della costituzione di un Europa politica, visti i leader che prensenziano anche al parlamento di Bruxelles c’è poco da stare allegri. Della serie: bevne ncura n-got