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Liguria e Basso Piemonte

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Monesi: dopo il diluvio le ‘somme urgenze’
Le frustate di chi ha il coraggio di non tacere


Mentre scrivo sono trascorsi 195 giorni dalle piogge torrenziali che hanno riattivato la paleo frana a Monesi di Mendatica. Nei paesi del cosi detto “terzo mondo” in sei mesi costruiscono, chiavi in mano, un grattacielo o un ponte come quello sullo stretto di Messina.

Come si presentava ai primi ‘soccorritori’ l’abito di Monesi di Mendatica alluvionato

Il nostro che mondo è? E’ il mondo delle promesse? Degli annunciatori dilettanti ?

Il comma 2 dell’articolo 163 delle Somme Urgenze recita: “L’esecuzione dei lavori di somma urgenza può essere affidata in forma diretta ad uno o più operatori economici individuati dal responsabile del procedimento o dal tecnico dell’amministrazione competente”.

Il 17 dicembre, 22 giorni dopo la tragedia, il presidente della regione Liguria Toti e l’assessore Giampedrone, a Rezzo, hanno promesso il massimo impegno possibile. Dopo 6 mesi, a Monesi, si sono mosse solo alcune case pericolanti nel senso che sono crollate. L’acquedotto è a secco, la situazione della rete fognaria è ancora misteriosa malgrado le apparecchiature di video ispezione consentirebbero di verificare lo stato e quindi sapere se e dove intervenire. Dei carotaggi nessuna traccia anche se i loro esiti sono determinanti per pianificare gli interventi futuri. Ma il disagio che i proprietari delle case di Monesi non intendono subire oltre è il divieto di entrare non solo nelle loro abitazioni, ma anche in tutta la superficie della frazione e quindi neppure all’esterno delle abitazioni; anche di quelle che non hanno subito danni strutturali.

Credo di poter sostenere che se vi fosse un solo immobile agibile e raggiungibile a piedi, bene questo dovrebbe avere, a oltre sei mesi dal disastro, una deroga alla inevitabile ordinanza del 26/11/2016. Invece no. Prima la credibile attesa del disgelo, poi si è atteso che anche l’ultimo tenace fiocco di neve si fosse sciolto; ora che la stagione estiva è alle porte, l’abitato di Monesi è ancora transennato.

E’ facile per chiunque immaginare quanti interventi di urgente e straordinaria manutenzione vi siano da fare; cito solo le lesioni ai tetti. Oggi non è possibile programmare alcunché ed è facile immaginare che ulteriori ritardi causeranno altri danni. Dopo l’incuria, il diluvio e dopo il diluvio i timbri, le concertazioni, le competenze, le procedure e i regolamenti. Ho citato l’incuria in quanto nella nota relazione “Atlante dei Centri Abitati Instabili della Liguria IV. Provincia di Imperia del 2007” a pag. 149 si legge: Mendatica frazione di Monesi “All’atto del sopralluogo i corpi di frana, compreso quello nel quale è direttamente coinvolto il paese, si presentavano in uno stato di attività quiescente (omissis). Non è stato possibile individuare con precisione l’epoca di questi dissesti, tuttavia all’apparenza sembrerebbero, almeno in parte, abbastanza recenti e si ritiene utile suggerire un monitoraggio in via preventiva per questo centro”.

Nonostante ciò, nessun intervento è stato neppure progettato. La doverosa gestione delle acque meteoritiche , volta a mettere in sicurezza la frazione di Monesi di Mendatica, non è stata neppure presa in esame. La foto mostra come tutta la superficie della frazione di Monesi sia stata flagellata, durante le piogge torrenziali, da una cascata d’acqua. La mancanza di drenaggio delle acque meteoriche può essere stata una concausa del disastro? È evidente che sia stata, quanto meno, un’aggravante. I terreni che oggi sono incolti, un tempo erano coltivati e assorbivano l’acqua piovana. Oggi le erbacce che ricoprono quei terreni si piegano sotto la pioggia a formare una sorta di tetti di paglia. Quasi tutta l’acqua delle piogge corre verso valle, supera la portata dei corsi d’acqua e travolge tutto ciò che trova sul suo cammino. Quel fatidico 24 novembre piovvero 650 – 800 mm. Pari a 6,5 – 8 milioni di litri d’acqua per ogni ettaro di pendio alle spalle della frazione di Monesi. Credo sia ragionevole sostenere che se quella enorme massa d’acqua fosse defluita in un canale di difesa e da questo nel torrente sottostante, i danni sarebbero stati molto inferiori o pari a zero.

Nel 2011 è franato un tratto di muro di sostegno, verso valle, della carreggiata della s. p. 100 esattamente al centro della grande frana del 25/11/2016. Si è trattato di un evidente quanto ignorato preavviso? Alla base della ricostruzione di quel muro di sostegno, sono stati realizzati alcuni simbolici e insufficienti micropali su porzione del fronte di quella frana. Come se non bastasse, ignorando sia la relazione geologica, sia la frana del 2011, nel 2014 è stato eseguito uno scavo di circa 3 m. di profondità per altrettanto di larghezza allo scopo di posare il tubo di alimentazione della centrale idroelettrica

“Tanarello” spazzata via dalla furia delle acque. Detto tubo corre sotto la sede della s.p. 100 fino al lato a monte delle due frane, per scendere in direzione obliqua verso la sottostante fu centrale idroelettrica. Ovviamente lo scavo ha comportato il taglio e lo sradicamento degli alberi di alto fusto per una larghezza di circa tre metri. Mi chiedo se, visti i citati antefatti, siano state rispettate le norme di sicurezza e la prudenza “del buon padre di famiglia” . D’accordo che la frana del novembre scorso sia stata provocata o favorita dalla impetuosa massa d’acqua che scorse verso valle nel torrente sottostante, e ciò erose il terreno alla base del pendio coinvolto dalla frana. A questo punto le domande sono: -se le acque meteoriche fossero state condotte direttamente nel torrente; se a seguito della mini frana del 2011 il consolidamento fosse stato adeguato e se allo scavo della trincea per la posa del tubo di alimentazione della centrale idroelettrica fossero seguiti idonei lavori di consolidamento e prevenzione, la tragedia sarebbe stata meno grave? Non vi sarebbero state conseguenze?

Pare che quella notte, nel torrente Tanarello, a monte del tratto franato, numerosi rami e tronchi d’alberi abbiano formato una diga e che quando il volume d’acqua è diventato incontenibile, la diga sia esplosa liberando migliaia di m3 d’acqua. Si è detto che quella sia stata la imprevedibile causa “a monte”. Se quella è stata la causa, è evidente che vi siano delle responsabilità. E’ infatti difficile pensare che i tronchi d’alberi, nel torrente o nelle sue vicinanze, si siano materializzati la notte dell’alluvione.

Occorre ricordare alle competenti autorità che la già tanto provata situazione economica della zona ha la urgente necessità che Monesi rinasca al più presto. Residenti e turisti non chiedono agli enti preposti un miracolo; si aspettano solo buon senso e interventi rapidi nei fatti non solo nelle promesse. Ancora un esempio. La strada che da San Bernardo di Mendatica conduce al colle del Garezzo è chiusa poco dopo San Bernardo a causa di una micro frana. I turisti che transiterebbero verso il Garezzo contribuirebbero in modo determinante alla sopravvivenza del solo superstite e noto albergo ristorante Settimia. Walter Il noto titolare, fa notare che la riapertura di quella strada a fine estate potrebbe causare il fallimento dello storico ristorante. Sarebbe un danno economicamente insopportabile per tutto il comprensorio oltre che la fine di un simbolo; sarebbe come ammainàre una bandiera. Se le autorità dessero qualche segnale concreto, ciò sarebbe l’antidoto più efficace per scongiurare il diffondersi della devastante sindrome di Tafazzi e per contagiare tutti con la sola forza disponibile e indispensabile: l’atteggiamento mentale positivo. Uno stato d’animo che non è in vendita ma è capace di favorire i miracoli. E per il rinascimento di Monesi qualche miracolo aiuterebbe.

                                 Rinaldo Sartore



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