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Esclusivo / Perché il vescovo di Savona fa causa a Carige e Carisa. Processo 18 giugno


E’ fissata il 18 giugno davanti al tribunale di Genova (per Carige) e di Savona (per Carisa) la prima udienza del processo civile in cui sono stati citati Luciano Pasquale  presidente della Cassa di Risparmio di Savona e la capogruppo  Banca Carige con il presidente Cesare Albani. E ancora: Industrie Rebora s.r.l. con Roberto Spinelli e Gruppo Imprese Savonesi (G.I.S. Spa) col presidente Silvio Accinelli. Le conclusioni dell’avv. Carmine Stingone di Roma per conto dell’Istituto per il Sostentamento  del clero della Diocesi di Savona – Noli chiedono di accertare e dichiarare la nullità o l’inefficacia giuridica delle fideissioni a favore delle due banche per 14 milioni di euro e per 3 milioni 55 mila (poi ridotte alla somma di 7, 140 milioni e 1. 558.050,00). Atti sottoscritti dal sac. Pietro Tartarotti nell’ambito dell’operazione immobiliare Punta dell’Olmo Spa. Dichiarare l’Istituto del Clero ‘liberato sia nei confronti di Carige, Carisa che degli altri convenuti da qualsiasi obbligo e responsabilità, con vittoria delle spese”. Il sacerdote avrebbe agito senza delega ad hoc richiesta per l’investimento a Celle Ligure, sottoscrivendo fideiussioni bancarie.   

La Carisa il 23 settembre 2009, Direzione Crediti, con il Gruppo Banca Carige hanno cofinanziato l’operazione immobiliare della società Punta dell’Olmo Spa per l’acquisizione, la riqualificazione e la commercializzazione immobiliare del complesso delle Colonie Bergamasche, di Celle Ligure, per un ammontare complessivo di 30 milioni 350 mila euro. Di cui 28 milioni mediante due distinti contratti di anticipazione sul credito fondiario dell’importo di 14 milioni perfezionati dalla Punta dell’Olmo con la stessa Carisa e Carige; 2 milioni 350 mila con apertura di credito della Carisa alla Punta dell’Olmo per l’utilizzo condizionato quale ‘fido di cantiere‘ dell’iniziativa immobiliare Opera Bergamasca.

In particolare, si legge nella citazione giudiziaria, il 30 settembre 2009, con atto del notaio Flavio Brundu di Savona, la Carisa diede a titolo di anticipazione alla Punta dell’Olmo ” la somma di 14 milioni al tasso dell’1,50 semestrale, pari al 3%….durata di 60 mesi fra la data del primo utilizzo ed il 30 giugno o 31 dicembre, salvo proroga su richiesta da parte della debitrice che dovrà corrispondere, con decorrenza odierna,  mediante rate semestrali posticipate interessi ed accessori…Al fine di garantire il puntuale pagamento del capitale e l’adempimento delle obbligazioni, derivanti dal contratto stipulato, la Punta dell’Olmo concesse ipoteca di primo grado a favore Carige, in dipendenza di altro atto a mio rogito (notaio Brundu) immediatamente successivo al presente, sugli  immobili nel complesso denominato Colonie Bergamasche”.

Come ulteriore garanzia del finanziamento dei contratti di anticipazione fondiaria e apertura credito ad utilizzo condizionato, la Carisa si è munta di due fidejuissioni. La prima di 14 milioni sottoscritta il 29 settembre 2009 dal sacerdote Pietro Tartarotti all’epoca presidente dell’Istituto per il Sostentamento del Clero, pure sottoscritta da Roberto Spinelli quale presidente delle Industrie Rebora Srl e da Giorgio Sacchi, amministratore delegato della società  G.I.S. Spa. Breve inciso, c’è chi sostiene che Sacchi, l’unico a rilasciare sulla controversia dichiarazioni stampa, sia in buoni rapporti con il cardinale Calcagno, già presule a Savona e l’abbia ospitato nella sua villa, ma poco importa ai fini della controversia civile. Sta di fatto che con lettera  del 29 settembre Tartarotti,  Sacchi e Spinelli precisarono alla  Carisa che la garanzia deve intendersi agli effetti della responsabilità dei fideiussori nelle seguenti quote: Istituo Diocesano 51%, Industrie Rebora 30%, GIS 19%.

E’ stata inoltre concessa una seconda fidejussione omnibus per 3 milioni e 55 mila euro sottoscritta il 12 giugno 2009 sempre da don Tartarotti, Spinelli e Sacchi con identica forma di parziale deroga come nella prima fideiussione.

ESORDIO DELLA CAUSA – Tutto ha inizio il 24 febbraio 2009, l’Istituto Diocesano del Clero, insieme a GIS Spa e Industrie Rebora costituiscono dal notaio Brundu la società Punta dell’Olmo per “L’esercizio di attività immobiliare, acquisto, vendita, lottizzazione, costruzione, ristrutturazione, risanamento, appalto, gestione di immobili urbani, industriali e rurali anche per conto terzi”. All’atto costitutivo  il capitale è di un milione di euro, suddiviso  in mille azioni del valore nominale di mille euro cosi ripartito: Istituto Diocesano 510 quote,  GIS 190, Industrie Rebora 300.

L’ACQUISTO – Il 30 settembre 2009, dal notaio Brundu, la società Punta dell’Olmo acquista dalla Fondazione Azzanelli Cedrelli Celati e per la Salute dei Fanciulli, con sede a Bergamo,  l’intera proprietà del complesso conosciuto col nome Colonie Bergamasche. Vendita effettuata a corpo e non a misura per un ammontare di 14 milioni 260 mila euro, pagato con 1 milione 426 mila euro a mezzo di 8 assegni circolari emessi dalla Carisa e 5 milioni 704 mila con 29 assegni circolari sempre della Carisa, il saldo finale è stato di  7 milioni 130 mila  tramite bonifico Carisa.

IL SECONDO ATTO –  Il 30 settembre dello stesso anno la Punta dell’Olmo acquista da Italcementi Fabbriche Riunite Cemento Spa di Bergamo la residua parte delle Colonie Bergamasche.  Operazione, come accennato,  sostenuta dal Gruppo Banca Carige con finanziamento di 30 milioni 350 mila euro.

MOTIVI DELLA CITAZIONE – Lo studio legale romano, assai quotato nella capitale in  materia di controversie societarie, osserva che il rev. Pietro Tartarotti quale presidente e legale rappresentante dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero ha “posto in essere una palese violazione dei controlli canonici”. E più precisamente: ” Nella tradizione distinzione tra potere di deliberazione…  e potere di rappresentanza gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti… a differenza delle persone giuridiche private, agiscono mediante un processo di formazione interna della volontà più complesso, che unisce alle deliberazioni degli organi titolari del potere d’amministrazione, gli atti autorizzativi e di controllo dell’autorità ecclesiastica gerarchicamente superiore…in ordine ai requisiti della normativa  civile e canonica”. Vengono indicati: un articolo del codice civile (L. 222/1985), tre canoni del codice canonico, un decreto della Conferenza Episcopale italiana. Di conseguenza  l’articolo 18  “traduce in ambito civilistico la rilevanza dei controlli previsti dalla normativa canonica, sanzionando di invalidità tutti gli atti posti in essere in violazione al codice di diritto canonico…”. E ancora “…è necessaria l’autorizzazione del Vescovo diocesano, con il parere favorevole del Consiglio diocesano per gli affari economici e il Collegio dei consultori….nell’ipotesi si tratti di atto negoziale  superiore ad un milione di euro (somma massima stabilita dalla CEI) occorre anche l’autorizzazione della Santa Sede. Infine se l’atto supera di almeno tre volte la somma massima (ossia superiore ai 3 milioni) occorre il parere favorevole della CEI (Conferenza Episcopale) ai fini della prescritta autorizzazione della Santa Sede”.

Quando don Tartarotti sottoscrisse,  quale presidente dell’Istituto Diocesano, le fideiussioni rientrava in questo quadro normativo. Non solo, in base allo statuto dell’ente, modificato con decreto del vescovo Dante Lanfranconi il primo marzo 2000…si  prescrive “l’obbligo di ottenere licenze o autorizzazioni nell’ambito della normativa canonica e civile vigente”.

CONCLUSIONI – Ad avviso  del legale del vescovo di Savona – Noli, Vittorio Lupi,  il presidente Tartarotti ha agito “in assenza di tutti i controlli canonici previsti….in danno del patrimonio dell’Istituto (con le fideiussioni) senza il parere della Conferenza Episcopale Italiana e senza  prescritta autorizzazione della Santa Sede e del codice canonico“.  Dunque totalmente sprovvisto – è la tesi del vescovo –  “di potere di rappresentanza“. Tra l’altro, emerge che ” Il Consiglio di amministrazione dell’Istituto Diocesano non è mai stato formalmente convocato, mai ha deliberato il rilascio di fideiussioni a favore della Carisa – Carige e nell’interesse della Punta dell’Olmo, infine “ non ha mai autorizzato don Tartarotti a spendere il nome  dell’ente negli atti sottoscritti il 29 settembre e 12 giugno 2009″.

Insomma, pare di capire che dopo tutte le burrasche giudiziarie sulla diocesi retta da un vescovo considerato “incolpevole e galantuomo” dalla maggioranza dei fedeli;  per altri troppo influenzabile, ben visto dal cardinale Calcagno, nominato grazie ai buoni uffici di Claudio Scajola (allora ministro). La Chiesa  vuole uscire da una mega operazione immobiliare chiacchierata per tutti i contorni che l’hanno preceduta e seguita, per certi suoi protagonisti.

La parola spetterà ai giudici, ad una possibile composizione extragiudiziale, ma anche al Vaticano  che seguirebbe la vicenda  con Monsignor Giovanni Solivo, al vertice  dell’Istituto del Clero. C’è chi aggiunge che sia rimasto molto contrariato ed abbia espresso, in privato, severi giudizi di incredulità, il presidente Luciano Pasquale, alessandrino, 65 anni il prossimo 22 febbraio.  La curia savonese finora non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali sulla vicenda, riportata anche dal Secolo XIX, dopo la pubblicazione su trucioli.it il 18 dicembre (vedi) e da Marco Preve su la Repubblica il 20 dicembre scorso. Invano i giornalisti hanno contattato don Camillo Podda, commissario straordinario  e legale rappresentante,  60 anni,  originario di Uras (OR), designato con decreto di commissariamento  da monsignor Lupi il 18 giugno 2014 e registrato in prefettura il giorno seguente. A Savona il legale romano è rappresentato dal collega  Giacomo Buscaglia, a Genova da Davide Magnolia. Non è un problema di clamore, di scoop, la chiesa di papa Francesco non è quella degli affari, né degli scandali sessuali impuniti o taciuti. E’ accaduto nelle diocesi di Savona, di Albenga, con un incomprensibile silenzio del primate di Genova.

Luciano Corrado



L.Corrado

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