Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Presidenti di calcio per passione
Viaggio nella storia del Vado, Nolese, Cairese, Albenga e Spotornese


Il mondo del calcio è ormai invaso da una molteplicità di personaggi che, nelle diverse società, svolgono i più svariati incarichi tecnici e organizzativi mentre il “vertice” assume sempre di più le sembianze della “proprietà” piuttosto di quella antica della “presidenza”: di una persona cioè che viene posto a capo di una comunità.

“Comunità” concetto che, per quel che riguarda le società sportive, sembra essersi ormai pressoché definitivamente smarrito se non in dimensioni molto ridotte (anche a quel livello, di piccole società di quartiere o di paese, il concetto di “proprietà” sembra comunque destinato ad imporsi).

Cerchiamo di rievocare allora, come ci capita molto di frequente, di rievocare figure del passato allo scopo proprio di ricostruire un diverso scenario di relazioni umane e sociali: sicuramente all’interno delle società calcistiche, ma assumendo il riferimento quale vera e propria metafora di organizzazioni diverse dal concetto di essere “padrone”.

Il nostro riferimento, prima di tutto, è rivolto alla relazione un tempo esistente tra chi mandava avanti una squadra di calcio di città, di paese, di quartiere e –appunto come abbiamo già indicato –la sua comunità di riferimento.

E’ facile affermare che i tempi erano diversi, non c’era la televisione (o almeno il calcio in tv non era così assolutamente dominante) e, alla domenica, la partita della squadra “di casa” era “la partita”, interessava tutti e di conseguenza il confronto non avveniva soltanto con un ristretto numero di tifosi ma con l’insieme degli esponenti economici, dell’aggregazione sociale di ogni località perché in gioco non c’erano soltanto valori sportivi e il posto in classifica ma anche identità ed orgoglio forse dal sapore “localistico” e “di parte” ma certo espressione di sentimenti forti, condivisi, capaci di suscitare passione.

Sicuramente c’erano, come vedremo, figure dominanti per carisma e capacità di imporsi: ma lo erano proprio in quel contesto di appartenenza al collettivo di una comunità.

Restiamo dalle nostre parti senza svolazzare troppo e restiamo anche nel periodo storico che conosciamo meglio, quello dei decenni centrali del ‘900.

Vado Ligure è un perfetto esempio di simbiosi tra la città e la sua squadra. Il Vado per i vadesi ha sempre rappresentato il fulcro dell’interesse di una cittadina completamente industriale ed operaia. Una squadra di calcio dal passato immaginifico, irripetibile per ciascun altra località consimile. La vittoria nella prima Coppa Italia (vittoria 1-0, gol di Felice Levratto, una leggenda del calcio), giocatori lanciati in Serie A, addirittura vadesi ad allenare in Sud America oppure a importare ed esportare calcio percorrendo l’Atlantico, il “River Plate” alla Traversine, la definizione accettata unanimemente nel mondo calcistico italiano di “Università del Calcio”.

Ebbene, tutta quell’epopea (con i 5.000 spettatori assiepati attorno alla vecchia tribuna di legno nel campo che sorgeva accanto all’Aurelia all’ingresso del paese) era stata gestita per decenni da tre figure di riferimento: Ferrando, Morixe, Lazzaretti. Tre personaggi molto diversi tra loro, uniti nell’intento di far capire che il Vado era il massimo possibile, il vertice che si poteva raggiungere e che indossare la maglia rossoblu era,per un vadese, insieme un onore e un obbligo morale.

Tutta la cittadina seguiva questo vero e proprio “credo” e quando i tre leoni si videro costretti dalla legge inesorabile della vita ad abbassare bandiera, chi li seguì, penso soprattutto all’ingegner Ciarlo, anche lui presidente per decenni della compagine rossoblu, pur nella necessaria modernità dei tempi da aggiornare avesse in mente quel modello di vero e proprio “trascinamento” in una situazione dove il calcio voleva dire molto nella vita sociale e le discussioni in piazza davanti al Bar Negro sulle sorti della squadra avevano lo stesso valore delle accese discussioni politiche che pure in quei tempi tenevano banco (poi a Vado circolava la forte rivalità del Savona e d’estate si indossava il vestito scuro invernale per “gufare” l’odiata rivale: sentimento ricambiato del resto).

Da Vado a Cairo Montenotte per ricordare un’altra gestione molto simile, anche perché negli anni al centro del secolo, si trovava un presidente di scuola vadese come il geom. Negro che in rossoblu aveva militato proprio negli anni ruggenti della Coppa Italia e di Felice Levratto.

La presidenza Negro segnò un lungo tratto della vita della Cairese nel corso della quale la squadra gialloblu lottò in varie occasioni per il salto di categoria: di mezzo si erano però sempre frapposte squadre molto forti, per un livello tecnico di assoluto rilievo.

A Negro, come a molti altri presidenti dell’epoca, piacevano i giocatori “fatti”, esperti, generosi: la Cairese non era squadra da esperimenti (anche perché affidata a tecnici come Natale Zamboni che avevano già frequentato le “scuole alte” dell’apprendimento calcistico: Coverciano e quant’altro) ma di battaglia in modo da corrispondere ai desiderata di un pubblico anche in quel caso molto numeroso: sempre però con grande attenzione al portafogli.

Minore attenzione a questo dettaglio per l’epigono di Negro, il farmacista Cesare Brin protagonista della grande scalata che portò la Cairese a ballare per una sola stagione tra i professionisti (C2, campionato 1985 – 86).

Brin, successivamente vittima di uno dei delitti più clamorosi del secolo (quello della “mantide” Gigliola Guerinoni), uomo evidentemente dagli impulsi sanguigni, aveva sì interpretato la parte del “Presidente – padrone” e, sinceramente a chi scrive, il giudizio sul suo operato calcistico, a distanza di tanti anni, non può che essere valutato come fortemente opinabile: ma sicuramente non rappresenta un personaggio da trascurare in questa nostro breve tentativo di ricostruzione storica.

Ancora un passaggio molto particolare per rievocare quella che per oltre un decennio è stata una rivalità storica tra due cittadine della Riviera: una rivalità impersonificata proprio nella figura dei due presidenti.

Si tratta della rivalità tra Nolese e Spotornese e dei due presidenti “Rissetto” Bruzzone e Luigi Bagnarino. Due presidenti da ricordare, molto diversi tra di loro, al punto da impostare secondo il loro carattere l’intera vita delle due società.

“Rissetto” (dai riccioli perduti della gioventù) si accostava di più al modello del “padre-Padrone” (anche se in paese doveva fare i conti con una tifoseria esigentissima e con molta fronda interna): grandi acquisti, allenatori presi e cacciati alla Zamparini, esibizioni negli allenamenti per mostrare a Levratto (sic) come intendeva si tirassero i calci d’angolo, intere rose dei titolari licenziate e stagioni terminate con i ragazzi del paese.

Anche grandi iniziative, se pensiamo al campo di Voze realizzato grazie alla generosità del costruttore Truccato e posto al centro di un’attività molto intensa: faceva impressione all’epoca la vera e propria processione dei nolesi che risalivano la collina per recarsi ad assistere alla partita. Da citare due record di pubblico, a dicembre 1965, il primo derby giocato a Voze avversaria la Spotornese e terminato 2-2, e nel gennaio successivo il giorno più lungo della Noli sportiva, davanti ad oltre 3.000 spettatori, sconfitta la grande Sestrese, 1-0 goal di Caracciolo.

Lasciata la Nolese (diventò presidente un personaggio affatto diverso, dal tratto pacato e signorile: il farmacista Mazzucco cui oggi è intitolato il campo sportivo), anche perché trasferito a Ceriale, Bruzzone non abbandonò il calcio e il suo ultimo atto, prima di morire, fu quello di assumere la presidenza dell’Albenga. Citare la presidenza dell’Albenga permette però di ricordare un altro grande appassionato, persona di grande affabilità e competenza come l’altro presidente – ingauno simbolo dell’epoca come l’ingegner Delminio.

Torniamo però alla rivalità Noli -Spotorno per ricordare l’altra sponda del derby , quella dai colori biancocelesti e il presidentissimo Luigi Bagnarino.

Bagnarino era un vero manager, nella professione e nel calcio: sistemò la Spotornese come un club d’avanguardia, con un grande settore giovanile affidato a Mario Vadone che aveva compiuto meraviglie nel settore con la Libertà e Lavoro Speranza, puntava sui giovani (i migliori del vivaio del Savona, scartati da Gigione Costa al momento dell’ascesa in Serie B, finirono a Spotorno) .

Per gli allenatori però preferiva la scuola vadese: Caviglia, Ansaldo, Armella avvalendosi sempre dei consigli del suo grande amico Pelizzari.

Soprattutto Bagnarino non era un presidente faso-tuto-mi (anche se un po di fronda in paese si trovava: ma non si può sempre accontentare tutti) e disponeva di un solido consiglio direttivo composto da commercianti e imprenditori cittadini primo fra tutti il suo vice: Giuse Cerruti, proprietario dei bagni Copacabana, allora molto in voga, persona di una umanità e di uno spirito incredibili. Personaggio davvero da ricordare.

Ancora una citazione, prima di concludere per un “Presidente davvero per Passione” in diverse società. Mario Briano, già giocatore di Savona, Libertà e Lavoro, Albisola, Sestrese, Carcarese, e presidente degli stessi “ceramisti”, del Savona rilevato dal gruppo Dapelo (la prima stagione delle gestione Briano davvero di grande spessore tecnico: lanciato Ezio Volpi come trainer e squadra in lotta per la Serie B fino alla fine del campionato con la perla della vittoria sull’Alessandria: 2-1 con goal di Panucci in extremis). Una citazione doverosa.

Abbiamo ricordato alcuni personaggi tralasciandone tanti altri. Sovviene alla mente Leter Tavanti ad Altare, giocatore, allenatore, presidente; il possente Vallarino alla Stella Rossa capace a 40 anni e oltre di scendere addirittura in campo; il gruppo dirigenziale della Villetta, con i fratelli Marino, Bertone, Alberto Sacchi, Renato Borzone con la squadra addirittura in Promozione e l’organizzazione del Trofeo Boggio con squadre giovanili di Serie A, e ancora la Libertà e Lavoro di Cacciabue e Tito Rebagliati. 

Altri tempi, altri uomini. Era il calcio in cui c’erano passione, senso di appartenenza, volontà di rappresentare una realtà concreta e non soltanto di imitare vaghi modelli televisivi.

Franco Astengo

 


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