Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Quel prete che non aveva una doppia vita
L’insegnamento e l’eredità di don Damonte


Non è più farina nel sacco dei giovani cronisti. Così può passare, quasi come un evento comune, l’addio alla vita terrena di Mons. Damonte, ‘sono don Domenico’ preferiva dire. A 94 anni era il vice decano della diocesi di Albenga – Imperia, superato da don Ferdinando Giuseppe Fragola che di primavere ne ha superate 97 e vive a Chiusavecchia. La classifica vede ora al secondo posto don Francesco Drago, 93 anni, da ultimo pastore di anime a Vasia e Pantasina. Non è però l’agenda dei longevi a ricordarci che ‘nella diocesi più chiacchierata d’Italia’ – ed eravamo i primi a divulgarlo – c’era un semplice prete, non l’unico, non l’eccezione, che avrebbe meritato la prima pagina. Un posto d’onore nella comunità diocesana.

Il cantico latino del De Prufundis l’ha accompagnato nella dimora eterna. Don Domenico che da prete in questa terra di peccati e di peccatori, ma anche di tanti santi conosciuti e sconosciuti, era un uomo, un sacerdote senza una doppia vita.  E non è poco. Fedele al Vangelo e al suo ministero pastorale. “Non era un parroco di iniziative rumorose – ha ricordato tracciando la biografia, don Ivo Raimondo, vicario diocesano – , ma sempre presente. Sapeva ascoltare, ci teneva alla crescita  della comunità.” Don Ivo ha parlato delle tante iniziative di don Damonte, il Bollettino parrocchiale che sapeva scrivere bene. Era persona colta, competente, ma umile, mai arrogante, borioso, irascibile.  Un pastore che conosceva bene il suo gregge, che conosceva tutti della ‘famiglia albenganese‘. Che ha vissuto  una lunga e serena vecchiaia. Ancora parole di don Ivo: “ Qualche giorno prima che il Signore lo chiamasse a se sono andato a trovarlo in clinica, gli ho accennato al sacramento dell’unzione dei malati, la grazia…Era sereno, cosciente, ha pregato”.  Un cenno doveroso l’ha rivolto a Massimiliano Revello il parrocchiano che l’ha assistito fino all’ultimo giorno e ai nipoti che “gli sono rimasti vicino nei momenti di maggiore fragilità della vecchiaia”.

Meno noto è che i tre nipoti (Caterina, Giovanni e Antonio) di Alassio non hanno certo beneficiato della parentela. Sono rimasti cittadini qualunque, con un dignitoso e umile lavoro nella loro città natale e dello zio. Uno zio che è morto senza lasciare ricchezze. Era stato ordinato sacerdote il 26 maggio 1945  dal vescovo monsignor Angelo Cambiaso, genovese, rigoroso e coerente. L’ordinazione alle 7 del mattino nella cappella del Palazzo Vescovile. Per 18 anni don Damonte ha ricoperto il ruolo di ‘padre spirituale’ nel Seminario di Albenga.  Occupava l’ultima camera degli insegnanti,al secondo piano,  vicino alla cappella. E’ nel suo studio che riceveva i seminaristi, confessava, consigliava, ascoltava. E’ lui che ogni mattina alle 7,30 celebrava messa per i seminaristi.

Anni in cui era rettore don Giacomo Contestabile di Pornassio. Un periodo che ricorda la presenza in Seminario e nella diocesi di sacerdoti eccellenti, chiamiamoli integerrimi, fedeli ai doveri e ai voti del ministero sacerdotale. C’era don Contestabile appunto, don Palmarini, don Chiappe, don Volpe (il più estroverso),  don Caviglia e don Gerini (entrambi di Vessalico e in vita, il primo ospite di un centro anziani a Diano Castello, il secondo vive a Ceriale e salute permettendo celebra la Messa nel Santuario di Peagna della Madonna delle Grazie). E ancora due figure che avrebbero meritato l’onore degli altari, don Ferrari e don Gandolfo: due vite votate al sacrificio, rinunce, povertà, benefattori di missionari, severi con gli altri e con se stessi, fedeli fino all’ultimo istante alla loro missione. Poco importa se quel periodo, diciamo gli anni ’50-’60, vedeva in Seminario quasi sessanta seminaristi e se la stragrande maggioranza se n’è andata prima dell’ordinazione sacerdotale e se un discreto drappello ha lasciato anche da sacerdote. In Seminario non c’era spazio e non c’era posto per ciò che poi emergerà alla stregua di una piaga che ha ferito profondamente e travagliato l’episcopato di monsignor  Mario Oliveri. Con il cronista ed ex seminarista il vescovo si è ‘difeso’ sostenendo che nessuno dei più stretti collaboratori: don Damonte, don Gerini, don Brancaleone da ultimo gli ha mai riferito della esistenza in diocesi di parroci molto chiacchierati per lo stile di vita. La presenza in Seminario e in diocesi di preti comunemente chiamati ‘gay’, solidali tra di loro, influenti nelle scelte dell’amministrazione episcopale, alcuni pure praticanti della chiesa cosiddetta anticonciliare. Hanno fatto danni in molti casi a loro stessi, al loro vescovo ed hanno riproposto nel piccolo lo ‘scandalo’ che libri ed articoli di vaticanisti hanno denominato ‘la lobby gay e cardinalizia in Vaticano’.

Ebbene don Damonte che è stato ‘padre spirituale’ , che ha insegnato nel collegio delle Orsoline di San Fedele che allora ospitava fino ad un centinaio di allieve, interne ed esterne, italiane e straniere, che è stato delegato per le religiose della diocesi, per due anni parroco di Borghetto S. Spirito,  canonico, arciprete della cattedrale San Michele, vicario della diocesi dopo monsignor Palmarini e vicario foraneo, non si è mai fatto coinvolgere nelle ‘guerre intestine’ che dilaniavano la diocesi prima dell’arrivo di monsignor Guglielmo Borghetti.  E il vescovo, dall’altare durante le esequie funebri, ha parlato del saluto ad una ” figura prestigiosa del clero diocesano”. Ha ‘portato’ i sentimenti di “partecipazione del vescovo emerito Oliveri che si unisce a noi, non è presente per una lieve indisposizione che lo costringe a casa; il vescovo Oliveri che ha trascorso con don Damonte  una lunga esperienza sacerdotale, di buon pastore. “L’ho incontrato il giorno prima  della sua morte – ha detto Borghetti – , già dal primo momento che l’ho conosciuto ho colto in lui  la sete del Dio vivente, che ama il Dio vivente e in sintonia. Il clero italiano  è fatto di pastori  vicino alla gente, non di estranei. Tra pochi giorni don Damonte avrebbe raggiunto i 72 anni di vita sacerdotale.  Mi sono commosso quando ho letto il suo testamento spirituale. Le sue parole: sento di aver fatto troppo poco per le anime che mi sono state affidate nella mia vita sacerdotale…e affido all’anima del signore  tutti coloro che mi hanno ostacolato”. Un perdono totale  per un uomo che ha meritato e merita riconoscenza, gratitudine, affetto. (L.Cor).

TUTTI I SACERDOTI DOVREBBERO ESSERE DEI DON DAMONTE NEL DARE PER PRIMI IL BUON ESEMPIO

Bellissime e meritate parole quelle pronunciate oggi, 8 maggio, nella Cattedrale San Michele di Albenga da parte del vescovo nostro Guglielmo e dal parroco Don Ivo durante il funerale di Mons. Domenico Damonte tracciandone la figura.

Uomo tutto di un pezzo, affascinato da Dio, fede e amore, credo e misericordia verso tutti. Ecco cosa penso e stimo di lui. Una festa ogni volta che l’incontravo, ultimamente molto poco in verità, ma sempre desideroso di sapere della famigli a, dei cari e aggiungendo sempre parole buone e sante.

Ma durante i discorsi meditavo: non dovremmo stupirci della santa missione e dei buoni gesti dell'”arsiprève”Damonte, ma per tutti, tutti i sacerdoti dovrebbe essere così, la regola!!! Buona condotta, obbedienza, entusiasmo, vivere in parrocchia e tra la gente con Dio amico accanto in ogni momento, essere per gli altri e correggere immediatamente i propri sbagli ed i propri errori, essere il padre, il fratello, il consigliere, la pietra ferma, la pietra d’angolo.

Dare esempio , è questo il vero compito del sacerdote, essere in prima fila e fare in modo che tutti possano imitarlo, perfezionandoci.

Scorrevo con gli occhi tutte le panche dove erano i sacerdoti concelebranti e presenti, quanti volti conosciuti nei miei tantissimi anni alla libreria vescovile, quanti volti invecchiati con me, quanti visi commossi e mi sembrava di scorgere su alcuni un alito, una luce ferma, impressionante, quasi ad indicare che lì stava la grazia, la fede e la carità.

Gerry Delfino

 


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