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Savona, Anna Giacobbe (Pd) e la povertà


La relazione dell’11 luglio alla Camera dei Deputati . La “questione povertà” è da sempre un tema rilevante, e mai trattato davvero in modo sistematico dalle politiche pubbliche nazionali, sino ad ora.

Anna Giacobbe, deputata del Pd, durante il suo intervento sulla poverta alla Camera dei Deputati

Oggi facciamo i conti anche con fatti nuovi: l’area della povertà è cresciuta negli anni della crisi, una crescita rilevante per la misura e per la qualità è passata dal 3,1% della popolazione totale nel 2007 al 6,8% nel 2014: come ha sottolineato l’Alleanza contro la Povertà, “La povertà non solo ha confermato il suo radicamento tra i segmenti della popolazione nei quali già in passato era più presente ma è anche cresciuta particolarmente in altri, prima ritenuti poco vulnerabili”. E i bambini sono tra i soggetti maggiormente colpiti dal boom della povertà.

Anche se la ripresa economica potrà ridurre, prossimamente, la diffusione dell’indigenza, una “sua presenza maggiore che in passato costituirà un elemento strutturale dell’Italia” nel prossimo futuro.

E dunque, la crisi ha aggravato vecchie situazioni di deprivazione ed esclusione sociale e ne ha generate di nuove.

Oltre alla crescita della povertà assoluta, abbiamo assistito, e assistiamo a fenomeni molto diffusi di impoverimento di fasce della popolazione che non avevano conosciuto in precedenza un riduzione di reddito, e di status, di queste dimensioni: nel lavoro subordinato, nelle aree di precarietà e di “lavoro grigio”, ed anche nel lavoro autonomo e professionale.

Non solo un fatto economico ma relativo alla percezione di sé e del proprio mondo, da parte delle persone e delle comunità.

Il fatto che una così rilevante quota della popolazione versi in condizione critica costituisce un costo sociale ed economico per la comunità: sottrae risorse umane alla creazione della ricchezza, riduce la popolazione attiva, fa ricadere sui servizi, sulle istituzioni locali e sulla società organizzata una forte pressione sociale e la manifestazione di un grande disagio umano.

Le risorse destinate al contrasto alla povertà assoluta e all’emarginazione sociale rappresentano quindi un investimento, soprattutto se impiegate non solo per erogare contributi economici, ma anche per accompagnare quei contributi con il sostegno dei servizi degli enti locali, con percorsi di inclusione lavorativa e sociale, di attivazione e di assunzione di responsabilità da parte dei soggetti coinvolti.

Con il provvedimento che arriva oggi in aula, dunque, si avvia davvero, e su basi più solide che in passato, la creazione di uno strumento di contrasto alla povertà assoluta, non più solo sperimentale o provvisorio, una misura fondata sia sui trasferimenti economici, sia sull’azione della rete dei servizi sociali di presa in carico e di sostegno alle persone e ai nuclei familiari.

Non una visione economicista, quindi, né tanto mano assistenzialistica, ma un approccio che ha come obiettivo la dignità delle persone.

Il disegno di legge che stiamo discutendo ha infatti la finalità dichiarata “di contribuire a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e contrastare la condizione di povertà delle persone e dei nuclei familiari, secondo quanto previsto dall’articolo 3 della Costituzione e nel rispetto dei principi della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea”; così è scritto ora nel comma 1, per effetto degli emendamenti approvati nelle Commissioni.

Il provvedimento può contare sullo stanziamento previsto nella Legge di Stabilità 2016 di un miliardo di euro a regime, che si aggiunge alle risorse già impiegate negli interventi sperimentali e solo parziali già avviati negli anni scorsi.

La dotazione economica del Fondo per il contrasto alla povertà non consente ancora di intervenire su tutte le situazioni di povertà assoluta.

Si tratta comunque di un passo rilevante, nella giusta direzione, che assicura un intervento immediato, e già significativo, per i nuclei familiari con minori.

Si tratta della prima forma strutturale di un reddito minimo per la popolazione in età lavorativa che non abbia mezzi “per condurre un livello di vita dignitoso”, non sperimentale o limitata a qualche zona; ha carattere universale ed è ovviamente sottoposta alla prova dei mezzi.

Nel testo è stato inserito, con un emendamento approvato dalle Commissioni, la previsione che il Fondo sarà alimentato, oltre che dal riordino delle prestazioni già destinate al contrasto alla povertà, anche con successivi provvedimenti legislativi, cioè con risorse il cui reperimento dovrà essere assicurato da provvedimenti successivi, che dovranno consentire di raggiungere con la misura definita in questo ddl, progressivamente, le persone in condizione di povertà assoluta.

Si rende così più chiara la direzione di marcia, è cioè la scelta di realizzare la graduale estensione della platea delle persone interessate e di incremento del valore del contributo economico, nei limiti delle risorse, appunto, di cui potrà disporre il Fondo; si parte dalle famiglie con figli minori o con gravi disabilità, mettendo al centro il contratto alla povertà infantile, come dramma nel dramma, e dai nuclei in cui ci siano disoccupati con oltre 55 anni di età, la cui attivazione e ricollocazione lavorativa è obiettivamente più difficile.

Come si diceva, il disegno di legge è stato discusso ed emendato delle Commissioni XI e XII, con un confronto costante con il Governo, e con un clima di collaborazione tra i gruppi, sia di maggioranza che di opposizione, pur con diverse opzioni di fondo, e differenze su singole questioni.

E’ stato confermato l’impianto del disegno di legge, ma è stato migliorato e reso più efficace chiarendo alcune questioni controverse.

Mi soffermo soltanto su alcune delle modifiche, oltre quelle già citate, frutto del lavoro delle Commissioni, senza ripercorrere l’insieme dei contenuti su cui siamo chiamati a discutere e votare.

A – è stato chiarito che l’ambito cui ci si rivolge è la povertà assoluta, intesa come “impossibilità di disporre dell’insieme dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso”.

Esiste più in generale la necessità di intervenire per evitare l’impoverimento di rilevanti fasce di popolazione, soprattutto per la perdita del lavoro, ma questo attiene ad altri ambiti: quello dell’efficacia degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro, o dell’avvicinamento alla pensione per lavoratori anziani senza lavoro, o le politiche abitative, ecc. Sono terreni su cui dovremo intervenire, sono i contenuti di quel “cantiere sociale” di cui ha parlato anche il presidente del consiglio, al quale dedicare attenzione, carattere di priorità, risorse.

B – A proposito di uno dei temi su cui si è accesa la discussione all’indomani dell’approvazione del ddl in consiglio dei ministri, distogliendo l’attenzione rispetto al cuore del provvedimento, a proposito del riordino delle prestazioni in essere:

con gli emendamenti approvati nelle Commissioni è stato definito l’ambito in cui avverrà il riordino delle prestazioni, e cioè quelle di natura assistenziale finalizzate al contrasto della povertà, realizzando, innanzitutto, un importante chiarimento sulla distinzione tra previdenza e assistenza.

Si è posto da subito il problema di rendere chiaro che le prestazioni previdenziali sono escluse dal riordino, e lo ha fatto anche il Governo con un proprio emendamento, oltre che diversi gruppi in Commissione: le prestazioni previdenziali e quelle assistenziali appartengono ad ambiti diversi: la separazione tra previdenza e assistenza è uno dei cardini di un sistema sostenibile.

La separazione chiara tra l’ambito della previdenza e quello dell’assistenza è necessaria non perché siano “intangibili” le prestazioni previdenziali, ma perché le esigenze di intervento sulla previdenza, soprattutto per prefigurare un sistema sostenibile per i più giovani, richiedono che l’eventuale frutto dei riordini rimanga all’interno del suo perimetro, dal quel sono state tratte ingenti risorse per affrontare le condizioni drammatiche del debito pubblico “per cassa e non equità”, se così posso dire.

La solidarietà tra generazioni ci dovrà spingere a valutare come sia possibile intervenire, con meccanismi di solidarietà interna al sistema, e anche della fiscalità generale, per evitare che le pensioni di chi ora è giovane comportino “per definizione” un futuro pensionato povero.

Nel definire il perimetro del riordino delle prestazioni assistenziali, oltre a confermare l’esclusione di quelle relative a disabilità, è stato precisato che esso non riguarderà le prestazioni a sostegno della genitorialità e della famiglia: il riordino di questa materia è utile, anche urgente, ma è giusto tenerlo fuori da questo provvedimento, avendo tra l’altro anche rilevanti implicazioni di natura fiscale.

Inoltre, l’impostazione di tutto il provvedimento, che fa perno sull’attivazione delle persone, motiva l’esclusione della popolazione anziana, per cui esiste già e va valorizzata, una misura di contrasto alla povertà, l’assegno sociale, che ha regole rigorose, il cui utilizzo è davvero limitato a fasce di reddito molto basse, e che comunque attribuisce già alla lotta alla povertà oltre 4,5 miliardi di euro.

Nella nota consegnata in occasione dell’audizione del Capo Servizio Struttura economica della Banca d’Italia, Paolo Sestio, è riportata una tabella che, per fasce di età, mette a confronto la quota di popolazione a rischio di povertà prima dei trasferimenti (comprese pensioni), e la riduzione di tale quota per effetto dei trasferimenti.

Sono stime, ma se ne possono trarre alcune indicazioni, almeno in termini di tendenze.

– Il delta che individua la popolazione che rimane a rischio di povertà anche dopo i trasferimenti, nella media generale è del 19,4.

– per la fascia di età 0-18 del 25,1%, a conferma di quanto sia giusto individuare nella povertà infantile una priorità;

– per gli ultra sessantacinquenni il delta è del 14,2. Tra una quota potenzialmente a rischio del 84,9 e una riduzione a seguito dei trasferimenti del 70,7.

La popolazione anziana dispone dunque di strumenti abbastanza efficaci di contrasto alla povertà, in una condizione che sarebbe grandemente esposta in assenza di interventi.

Ha un ruolo importante il sistema di previdenza sociale ed i suoi strumenti di solidarietà interna; e tuttavia, anche gli interventi assistenziali danno una copertura, di carattere universale nella fascia di età, a chi è sprovvisto di mezzi e di un reddito pensionistico.

C – Terza questione che voglio mettere in evidenza.

Con il lavoro delle Commissioni è stato precisato che la “misura” individuata come livello essenziale delle prestazioni, da garantire uniformemente in tutto il territorio nazionale, è costituita sia da un contributo economico, sia dal lavoro dei servizi per la presa in carico delle persone e dei nuclei familiari. Per quanto riguarda l’assistenza, abbiamo vissuto una stagione, lunga, nella quale lo Stato ha esercitato la propria funzione prevalentemente attraverso trasferimenti monetari, destinati a categorie definite di persone, e l’intervento del volontariato e privato sociale ha spesso sostituito lo Stato nel rapporto, nella presa in carico delle persone. (nonostante molte esperienze positive in diverse regioni e comuni).

Rispetto a questo quadro, negli anni, si sono prodotte evoluzioni:

In questo cammino, che ha mostrato tante contraddizioni e cambiamenti, si inserisce come una vera novità l’iniziativa legislativa sul contrasto alla povertà di cui ci stiamo occupando. Una vera novità, solo se saremo in grado di rendere efficace il lavoro dei sistema dei servizi. Le risorse del Fondo sono destinate interamente al sostegno economico alle persone; il rafforzamento dei servizi è indicato come un fatto necessario, cui indirizzare le risorse dei fondi strutturali comunitari.

Ma l’innovazione del sistema non ci sarà se tutto sarà caricato sui “servizi sociali”, e non si darà sostanza ed efficacia alla politiche attive per il lavoro, ai servizi per il lavoro. Gli interventi di riforma delle politiche per l‘impiego attendono ancora che sia realizzato l’investimento, finanziario e politico, di cui c’è urgenza.

Infine, mi preme sottolineare che con il lavoro delle Commissioni sul testo sono stati rafforzati anche gli strumenti di monitoraggio, controllo, promozione dell’efficienza del sistema informativo delle prestazioni sociali e dello scambio tra le diverse amministrazioni, della fruibilità dei dati a disposizione: non sono dettagli o elementi di contorno.

Il Parlamento, con la scelta della procedura rafforzata per l’espressione dei pareri sui decreti legislativi che daranno attuazione alla legge delega, intende assumersi una responsabilità forte nel cammino che stiamo intraprendendo, in uno spirito di piena collaborazione con il Governo, di coinvolgimento del Parlamento ed una relazione costante, proficua come lo è stata in questa fase, con le rappresentanze sociali e del mondo che lavoro per sostener le persone nel loro cammino per uscire dalla povertà e dalla deprivazione.

Anna Giacobbe


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