Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Bella notizia o bufala? Candidati alle comunali: si a nuovi ristoranti e negozi ma è obbligatorio vendere prodotti agricoli locali


E la notizia o bufala ha fatto in un baleno il ‘giro’ del ponente ligure dove in una ventina di comuni si vota per il nuovo sindaco ed il rinnovo del parlamentino locale, con un fiorire di liste e l’abbandono della lista unica soprattutto nei paese dell’entroterra spesso con poche decine di elettori. Il proposito – idea è straordinaria. Nuovi ristoranti e negozi di alimentari si, ma è obbligatorio vendere per il 70 per cento prodotti del territorio ligure.

Il mercatino agricolo, al coperto di Loano, tra i più attivi e frequentati della Riviera

Una proposta, anzi un proposito geniale. La ‘manna’ dal cielo per una morente agricoltura locale, messa in ginocchio ed in grave crisi, come da tempo denunciano le tre maggiori associazioni di categoria. Ormai è storia quando proprio il ponente ligure poteva fregiarsi ed avere un ruolo importante per le sue primizie che raggiungevano i mercati  generali del Nord Italia e di mezza Europa, a cominciare dalla Germania, dalla Svezia. L’agricoltura nel ponente della provincia, l’industria nel centro ed in Val Bormida erano pilastri  per l’occupazione, il benessere delle comunità. Il turismo, a sua volta, feceva passi da gigante.

Nella più importante piana della Liguria (orticoltura e frutta) e nel ponente imperiese (fiori recisi). E’ in queste zone che negli anni ’60 e ’70 ci fu la corsa a realizzare e coprire molti terreni con serre, in gran parte rese  moderne e tecnologiche. Poi sono arrivati gli anni dell’avanzare del ‘cemento amico’. Delle aree agricole vicino al mare o non lontano pagate a peso d’oro. Il graduale abbandono delle terra da parte delle nuove generazioni. La carenza di un’organizzazione efficace per far fronte alla concorrenza del mercato ed a prezzi adeguati ai costi di produzione.

Oggi nel terzo secolo dopo Cristo, in piena campagna elettorale, con inflazioni di liste nei grandi e nei piccoli comuni, ecco la provocazione. Tutti uniti – i candidati savonesi ed imperiesi . ad una proposta rivoluzionaria. Non importa se di sapore pesce d’aprile o da scherzi di carnevale. C’è chi ha fatto sul serio. Come il Comune di Firenze, con un sindaco renziano di ferro. Dalle parole ai fatti ripete spesso il giovane e determinato presidente del consiglio. La notizia si può leggere sull’Espresso in edicola dalla prima settimana di maggio. Eccola in breve: “Per aprire un ristorante o una qualsiasi attività alimentare in città d’ora in poi sarà obbligatorio vendere per il 70 per cento prodotti toscani. Lo stabilisce il nuovo regolamento del Comune di Firenze che punta a penalizzare i venditori di kebab e i minimarket stranieri. Viene così ascoltato il richiamo dell’Unesco che aveva chiesto di tutelare meglio il decoro e l’identità dei centri storici”.

La Riviera savonese per decenni esportava pesche, albicocche, pomodori, zucchine, carciofi, asparagi violetti, verdure e insalate, solo per citare alcune eccellenze. Oggi neppure l’immediato retroterra può esibire diffuse produzioni. In qualche casa i produttori sono mosche bianche. Purtroppo non sempre i mercatini di frutta e verdura sono sottoposti a controlli.  In qualche caso i comuni hanno dovuto rivedere i regolamenti (non basta essere iscritti ai coltivatori diretti) se si scopre che chi vende tutto l’anno possiede solo un fazzoletto di terra. Così hanno fissato un lotto minimo.

Si potrebbe aggiungere che gli archivi stampa possono testimoniare campagne ‘promozionali’ in cui si annunciava che i negozi che vendevano ‘ frutta e verdura ‘ della pianura o di produzione locale sarebbero stati ‘privilegiati’ con un marchio, dunque un attestato di garanzia. Se qualcuno riesce a trovarne traccia è utile farlo sapere. Sta di fatto che c’è inflazione di annunci e poi ci si dimenticare di dire come è andata a finire. Cosa è rimasto o non è rimasto.

Non da ultimo si aggiunga che alcune località della costa (Loano forse è un caso limite) sono invase da negozi di frutta e verdura gestiti da extracomunitari, per lo più paesi asiatici, con orari di apertura no stop, feste incluse. In estate c’è chi tiene aperto fino a mezzanotte.  Insomma, stranamente i cinesi tengono banco nella ristorazione e magazzini di merce varia, altri vanno a caccia di locali per vendere prodotti della terra. Sarà un caso fortuito o sinonimo di un mercato inconfessabile. Ci troviamo di fronte ad alimenti, ba bene, anzi va male che nonostante la legge lo vieti si continua a vendere frutta e verdura esposte sulle strada di grande traffico, come l’Aurelia. Con l’aria ricca di piccolissime nano particelle, deleterie per i polmoni ed il sistema sanguigno, certificano gli esperti, dopo studi e ricerche a livello nazionale ed internazionale.  Alle prese con l’inquinamento da biossido di azoto che, a loro volta creano problemi alla salute per la presenza di particelle tossiche. Bisognerebbe imitare le legislazione della Norvegia a fregiarsi  del titolo della città più vivibile al mondo, Vienna.

C’è chi fa cultura dell’ambiente a cominciare dalle scuole secondarie. In Italia i Verdi sono ‘scomparsi’ non solo per colpa degli elettori. Sulle tv nazionali ascoltiamo spesso autorevoli esponenti ripetere che “il futuro del Bel Paese, oltre ai musei e ai tesori storici, è produrre qualità pulita, valorizzando terreni abbandonati nonostante sia ricchi di proprietà ed i più adatti alla coltivazione, a cominciare dalle primizie. Bisogna puntare tutto sulla qualità”. Sarà pur vero, resta l’a bisso tra il dire ed il fare. Basterebbe fare una giretto lungo la litoranea Ceriale – Albenga e scoprire che molti appezzamenti sono abbandonati, invasi dalle erbacce e dai rovi. Accade nella più qualificata piana della Liguria. Peccato che i riflettori televisvi e programmi di grande ascolto ignorino questa realtà- testimonianza per la serie come siamo ridotti.


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