Trucioli

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“Oltre l’immagine”.Il metarealismo di Roberto Vescovo stupisce l’estate albissolese


Sabato 25 luglio, presso il Centro Artistico e Culturale “Bludiprussiaad Albissola Marina, è stata inaugurata una mostra personale “Oltre l’immagine” dell’artista finalese Roberto Vescovo, che sarà visitabile fino a domenica 30 agosto 2015, negli orari indicati dalla locandina (vedi figura 6). Il percorso espositivo copre interamente le due attuali sedi della Galleria, diretta da Paola Grappiolo.

 

Figura 1 – da sx: Antonio Rossello e Roberto Vescovo

 

Dalla fondazione nel 1991, nel panorama delle Albisole, “Bludiprussia” rappresenta un crocevia per autori, collezionisti, appassionati o semplici curiosi, per incontri e confronti, realizzando mostre d’avanguardia di pittura e scultura d’artisti affermati ed esordienti, le cui attività si tengono prevalentemente al di fuori della realtà locale.

 


Figura 2 – da sx: il Vicesindaco di Albissola Marina Nicoletta Negro, la gallerista Paola Grappiolo, l’artista Roberto Vescovo e la Delegata alla Cultura Fivl Luisa Cevasco

Il calendario 2015, iniziato lo scorso giugno con l’esposizione del pittore milanese Filippo Soddu, prosegue con le opere di Roberto Vescovo, proiettando il pubblico nell’incontro con una particolare corrente artistica che usa la fotografia come sezione del mondo, per metterne a nudo le stratificazioni.

 

 

Figura 3 – Interno dell’esposizione: il ceramista Gianni Bacino osserva un’opera

In occasione dell’inaugurazione, amabilmente accolti con una breve introduzione dalla padrona di casa Paola Grappiolo (v. figura 9), erano presenti fra le autorità il Vicesindaco del Comune di Albissola Marina Arch. Nicoletta Negro e l’Assessore alla Cultura del Comune di Albisola Superiore Prof.ssa Giovanna Rolandi, la Delegata alla Cultura della locale Sezione della Federazione Italiana Volontari della Libertà (Fivl) Sig.ra Luisa Cevasco ed esponenti del mondo artistico fra i quali il critico Armando d’Amaro, che ha dedicato un apprezzabile commento all’autore (v. figura 8) , i ceramisti Ernesto Canepa (fornace Ernan di Albisola Superiore) e Gianni Bacino ed il grafico finalese Vincenzo Vinotti.

La tecnica d’avanguardia impiegata da Roberto Vescovo, basata sulla stampa fotografica montata su alluminio, comprende la ricerca sull’immagine, la sua elaborazione con supporto informatico, trovando motivi di sintesi tra ripresa e ricreazione della realtà.

Roberto è un figlio d’arte. La conferma arriva dal fatto che anche il padre Aldo sia stato fotografo e fotoreporter della “Gazzetta del Popolo” e la madre Anna una delle primissime fotografe del dopoguerra. I genitori, insieme, nei primi anni Cinquanta avviarono lo studio “Fotostampa“, destinato ben presto a divenire rinomato a Finale e non solo.

Occupati per un arco di oltre quarant’anni come reporter, i membri della famiglia Vescovo hanno immortalato anche il pubblico e specialmente i giovani, che, negli anni Sessanta e Settanta, frequentavano sale da ballo ,quali il prestigioso Dancing Boncardo (di cui per molto tempo furono fotografi ufficiali) e molti altri locali della Riviera, documentando così un periodo tra i più movimentati del recente passato, apportatore di grandi cambiamenti. Pagine di gloria come quelle che diedero adito alle analisi sospettose e alle riflessioni filosofiche del racconto di Calvino “L’avventura di un fotografo” (1970).

Aldo, e in seguito Roberto, poterono quindi ritrarre pure molteplici personalità del mondo dello spettacolo, fra le quali Renato Rascel, Giorgio Gaber, Fred Buongusto, Delia Scala, Ornella Vanoni e Mike Bongiorno. Un repertorio di fotografie inedite, immerse nel vapore sonoro che inebria come l’incenso, identificazione fra gli eroi del suono e quelli della luce, nel quale spiccano memorabili complessi musicali: i Rokes di Shel Shapiro, The Trip e, infine, i tedeschi “The Rattles“, amici dei Beatles, che nel 1967 si esibirono a Finale innanzi a migliaia di fan giunti da tutta la Germania, nel corso di una festa rock della durata 15 di giorni. Ecco, fu proprio qui il segreto dell’incontro magico tra l’occhio e l’orecchio. La musica in fotografia è una gigantesca metonimia, ovvero mostra una cosa per suggerirne un’altra. Nell’occasione fu realizzato il disco live dal titolo “Remember Finale Ligure“, in cui il gruppo teutonico simpaticamente citò in musica proprio lo studio “Fotostampa”. La fotografia è muta, la musica è cieca: ma che spettacolo, che fuochi d’artificio quando queste due arti diversamente abili s’incontrano.  Numerosi furono pertanto gli eventi e le circostanze che incrociarono sulla strada della fotografia Roberto, che scrive, graffia e incide direttamente sul lato sensibile della pellicola.

Si venne dunque a formare, con immortali fotogrammi, un archivio, sofisticato, concettuale e divertente,  in cui accanto alle celebrità, si individuano soggetti comuni ma sconosciuti, che comunque, meglio di qualsiasi altro documento, rappresentano un’epoca con i suoi clichè, i suoi ritmi ed i suoi riti. Immagini in cui l’attenzione viene imprigionata nella scena in svolgimento, qualunque essa sia. Una liturgia che affascina, distinguendo tra ciò che tra autentico e inautentico, tra sublime e prosaico, in cui la ripresa fotografica riesce a evitare ogni contrapposizione troppo netta e schematica. Quale sia la natura di un simile approccio, non è difficile indovinarlo: qui abbiamo a che fare con un’allegoria vivente. Nel flusso informe dell’ovvio e del quotidiano, è la figura che incontra l’obiettivo. Una visione per lo più improvvisa, o inattesa, che va a risvegliare l’attenzione del fotoreporter, con tratti che riecheggiano le apparizioni, nella fiumana variopinta, dei Tableaux parisiens, la seconda sezione dei “Les Fleurs du mal” di Baudelaire. Siccome l’animo inquieto cambia la prospettiva, quando si scatta una foto il movimento della macchina deve essere rapido, come se si osservasse con gli occhi attraverso una lente d’ingrandimento, nella frenetica ricerca di un’apparizione. Una palestra per le percezioni: in certe situazioni, l’attenzione risulta più legata, in altre più libera, più capace di vedere la vita in una prospettiva più ampia. Nonostante la similitudine nelle premesse, c’è però quasi un paradosso che proviene dall’idea baudelairiana di modernità. Quando fu inventata nel corso del XIX secolo, la fotografia ebbe un enorme impatto sulla società, suscitando reazioni controverse, anche qui il primo problema umano: la paura dell’incerto. La mente ama le cose che già conosce. Non appena cade su qualcosa di differente, di sconosciuto, la mente lo rifiuta. La paura è quella del futuro. Tra i critici più aspri dell’epoca, ci fu proprio Charles Baudelaire, il quale nel suo “Il Pubblico Moderno e la Fotografia” del 1859, definì i fotografi “pittori falliti”, divenuti famosi grazie alla “follia” di una “società immonda”, volta a procurarsi quel sospirato ritratto, prima privilegio solo di un’elitè ristretta. Nonostante il suo disprezzo per la fotografia, lo stesso Baudelaire si farà immortalare da Daguerre e Nadar, maggiori fotografi della sua epoca, restando così anch’egli narcisisticamente catturato dalla capacità immediata della fotografia di fermare il tempo e di lasciare un’immutabile traccia di se stessi nel futuro, fine ultimo di ogni artista. Era tuttavia una fotografia appannaggio di pochi eletti, che potevano permettersi l’attrezzatura e la possibilità di viaggiare, cosa al tempo non certo facile come oggi. Una fotografia la quale, come visto con l’esempio di Baudelaire, fortemente colpì i circoli intellettuali, suscitando entusiasmo e inquietudine; di qui la presenza di molte fotografie in libri di memorie, saggi, romanzi, ma anche in molte poesie (Apollinaire, Larkin, Atwood, Rilke, Andrade, solo per richiamarne alcuni).   Venne, poi, l’era di macchine sempre più “compatte” ed “economiche”, fino alla rivoluzione Polaroid: rimanendo ancora nel campo di chi poteva permettersi il materiale (non solo la macchina, quanto pure pellicole e sviluppo), la fotografia non era comunque più soltanto retaggio dei professionisti, ma si apriva al più ampio mercato della popolazione, seppure entro confini per così dire prestabiliti. La fotografia poteva ancora essere considerata un’arte, anche per il modo con il quale le sue opere venivano offerte, sempre all’interno di contesti “artistici”.

Su questa scorta, Roberto Vescovo debutta soltanto nel 1971 come fotografo d’arte. La circostanza è l’esposizione di sue fotografie accanto ad opere pittoriche di artisti contemporanei, tra cui Emilio Scanavino, a Finale Ligure. Qui nel linguaggio fotografico, come nella pittura, la tecnica, la forma e il contenuto sono componenti, che operano insieme per produrre il risultato espressivo desiderato.

E’ in seguito membro di giuria in vari concorsi fotografici, fra cui:

  • “Rievocazione storica del passato finalese”, indetto dall’Associazione Commercio e Turismo di Finale Ligure (1979),
  • “Il nostro entroterra, riscoperta e…”, indetto dal Rotary Club di Savona (1982).

Dal 1989 ha inizio la sua poliennale collaborazione con l’Associazione Amici del Teatro Sivori, in occasione di manifestazioni e iniziative culturali, in particolare l’allestimento della parte iconografica della mostra “I Teatri di Finale” (1991).

Nelle edizioni 1994 e 1995 della rassegna musicale “Jazz italiano” del Comune di Finale Ligure, svolge la funzione di fotografo ufficiale.

Il suo studio nel 2007 ottiene il riconoscimento di “Negozio storico” di Finale.

Nell’estate 2008, presso l’Oratorio dei Disciplinanti di Finalborgo (SV), si tiene una sua mostra personale, con fotografie tratte dal suo archivio professionale, intitolata: “I favolosi anni 60”. Poi, alcune di queste foto formano la cornice allo spettacolo “Sarà una bella società” di Shel Shapiro, su testi di Edmondo Berselli, presentato al Teatro Chiabrera di Savona e al Teatro Politeama Genovese (novembre – dicembre 2008).

Una nuova fase attende ora Roberto. Sono ormai giorni in cui, con l’introduzione del digitale nell’ambito delle attrezzature e del virtuale con internet, la fotografia è stata massificata, mercificata, messa a disposizione di tutti. Ogni scatto, nel giro di pochi secondi, può essere mostrato a milioni di utenti, che a loro volta possono condividere l’elemento, originando in pochi istanti un circuito virtuoso che non conosce limiti. C’è una grande differenza tra lo scattare una foto e fare una fotografia. In tutto ciò, l’artigiano che “scrive con la luce” (etimologicamente il termine fotografia discente dalle parole greche fotos “luce” e grafos “scrittura”) non è più il fotografo, ma chiunque abbia in mano un qualcosa in grado di registrare un’immagine presa dalla realtà. E’ il turno della crisi. Si verifica uno stato nell’esperienza del vero fotografo che troviamo descritto da un professore dell’università americana di Princeton, Eduardo Cadava, nel suo libro intitolato “Words of Light. Theses on the Photography of History” (1997), in cui dichiara che la fotografia è «il cadavere di un’esperienza», aggiungendo poi che «la morte, sia la parola che l’evento, è una fotografia che fotografa se stessa — una fotografia che si pone nel punto di sospensione fra la realtà e il suo referente». La prima reazione che dunque anima Roberto, non è cambiare tecnica, ma lasciar dietro a se stesso le vecchie modalità. E diventare capace di cambiare le immagini. Non sono le condizioni esterne che lo devono cambiare, ma il suo modo di percepire la realtà, la vita. Ossia andare a scoprire cosa si nasconde “Oltre l’immagine”, inventandosi utilizzatore creativo degli strumenti più evoluti resi accessibili dalla moderna tecnica fotografica. Un contesto dai contorni sfumati: fotografia come tecnica ed arte, che può essere solo tecnica, ma difficilmente solo arte, laddove la ricerca visuale si evince come unione di prassi e teoria, affermando sistematicamente un nuovo carattere gnoseologico ed ermeneutico. Infatti, come un’arte non è solo capacità di muovere le emozioni, ma anche capacità di farlo nel modo giusto, nella fotografia d’arte c’è l’estro particolare di chi sa dosare ad arte gli effetti dei filtri, gli abbinamenti di luminosità/contrasto, tonalità/colore, attraverso la manipolazione via software.

Con questo spirito Roberto si accosta alle sue più recenti iniziative che, prima di giungere all’ultima fatica con “Bludiprussia”, sono le seguenti:

  • nel 2010, a Calice Ligure, una mostra personale presso il Museo d’Arte Contemporanea “Casa del Console” e l’invito alla esposizione di apertura della nuova galleria Punto Due “Futurismo e ’68, arte in movimento”. Quindi, a Milano, espone con D’ARS nella “Galleria 9 Colonne”.
  • nel 2011, prende parte con la Galleria Punto Due alle collettive intitolate:”Egredior modum” e “Diciotto per ventiquattro” e nel 2012, ancora al Punto Due, a “Magnifica Ossessione”
  • nel 2012, la collettiva presso l’Atelier Du Prè “Flâneur” a Cannes.

Figura 4 – Roberto Vescovo illustra le sue opere al pubblico nel primo spazio espositivo

Nel panorama della fotografia italiana contemporanea, le opere di trasfigurazione di Roberto Vescovo, da cui nascono immagini intrise di evocazioni ed espressioni libere, in qualche misura sono ascrivibili alla proposta del “metarealismo”, in un nuovo modo di concepire la realtà, con la quale intende superare le frontiere tra spirito e materia nel linguaggio visuale. Pensiero e sensazione che lavorano insieme, dando vita a due centri tra loro intimamente integrati. Con il digitale la fotografia è diventata un linguaggio più pervasivo e duttile di quanto sia mai stato. Non più attingendo da ciò che accade, ma tenendo l’attenzione sulla mano che abilmente manovra il mezzo tecnico. Poi arriva l’emozione, e comincia a partecipare al processo che conduce oltre l’immagine. E’ l’attimo in cui comincia il ricordo della visione originale. Questo ricordo permea molti strati, come una cipolla. Uno strato fa dimenticare l’altro. E quando si riesce a staccare o addirittura a strappar via qualche strato, si è sorpresi di quante cose stanno dentro di noi. Quante cose che il tempo non ha eliminato ci portiamo dentro. Cominciando dallo strato più superficiale, muovendo lo sguardo si coglie una nuova prospettiva, essendo coscienti di vedere le cose, in una visione diversa, nella radicalità dell’essenza. E così non solo con la vista ma anche col gusto, o l’udito. Tutte le facoltà sono nel presente. Allora si ha il piacere di quel ricordarsi di sé, che può essere molto profondo e portare fino a Dio. Oltre l’immagine c’è un’altra immagine.

Antonio Rossello

Figura 5 – da sx: Antonio Rossello, il ceramista Ernesto Canepa di Ernan Ceramiche, Paola Grappiolo, Roberto Vescovo e l’Assessora alla Cultura di Albisola Superiore Giovanna Rolandi


Figura 6 – La locandina dell’evento


Figura 7 – La biografia ed un’opera di Roberto Vescovo

Figura 8 – Un commento del critico Armando d’Amaro


Figura 9 – Il commento della gallerista Paola Grappiolo

Figura 10 – Il secondo spazio espositivo di Blu di Prussia



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A. Rossello

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