Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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‘ Viva l’Italia libera! ‘ Panevino giudice del tribunale di Savona fucilato per rappresaglia


Chi era Nicola Panevino, il partigiano “Silva” a cui nel 2013 soni stati dedicati alcuni giardini della città di Savona e una sezione della F.I.A.P. della Valbormida?

Era un giudice del Tribunale di Savona, fucilato a Cravasco nell’entroterra genovese, il 23 marzo 1945, insieme ad altri 17 italiani , operai, professionisti, militari,  per rappresaglia. Medaglia d’argento al Valore Militare. Forse molti non sanno neppure chi era… Dovevano essere 20,  ma due si salvarono scappando. Un altro Attilio Diodati (Franco) finse di essere morto sotto i corpi di altri compagni di sventura ammazzati. E’ mancato due anni fa. Diodati testimoniò sempre che i suoi compagni morirono gridando “Viva l’Italia libera”.

Sento l’obbligo morale di ricordare il sacrificio di Panevino specie ai colleghi più giovani anche in memoria di Raimondo Ricci. Con il sen. Raimondo Ricci già Presidente dell’ANPI e dell’Istituto della Resistenza, mancato nel 2013, e con l’avv Acquarone di Savona e il sen. Nanni Russo parlavamo spesso di Panevino e volevamo dedicare una giornata di ricordo ai lui e ai colleghi che sacrificarono la loro vita e quella dei loro cari per un Italia migliore in collaborazione dell ’Associazione nazionale magistrati.

Facemmo degli incontri cui partecipo anche Francesco Pinto all’epoca della Presidenza Ciampi. Non ci siamo (ancora) riusciti, sarebbe bello riuscirci in futuro non per noi, ma per i più giovani. I valori per cui si sacrifico Nicola Panevino sono gli stessi in nome dei quali ricordiamo in questi giorni il sacrificio e la figura di Guido Galli e di altri colleghi.

Scusate se aggiungo che mi spinge a disturbarvi il ricordo di mio padre, perché era conterraneo di Nicola Panevino, come lui militante del partito di azione nello stesso periodo e perché mi ha trasmesso questi stessi valori per i quali ho scelto questo mestiere. Leggendo la sua storia capirete perché non possiamo dimenticarci di persone come Nicola Panevino. Credo che la figlia Gabriella abbia fatto il medico e viva a Salerno.

NICOLA PANEVINO

Ovvero come potresti stare a casa con tua moglie a giocare con il cane, a cullare tua figlia e a suonare il pianoforte e invece finisce che vieni arrestato, torturato e ucciso in un bosco.

Nicola Panevino è stato un partigiano operante a Savona tra il settembre del 43’ il dicembre del ’44, successivamente arrestato, torturato e condannato alla pena capitale dai fascisti. Ma andiamo con ordine. Panevino non era savonese di origine, proveniva dalla Basilicata. Era nato a Carbone, provincia di Potenza il 13 luglio 1910. Suo padre Giambattista detto Titta, originario di Aliano, prima aveva svolto il ruolo di segretario comunale a Carbone poi si era trasferito a Napoli con la moglie Alfonsina Molfese e la famiglia, in qualità di giudice presso il tribunale minorile. Proprio all’Università del capoluogo campano Nicola iniziò a seguire le orme paterne, si laureò con il massimo dei voti in giurisprudenza e diventò magistrato. Giudice “figlio d’arte”, non ebbe certamente vantaggi dalla situazione e svolse il suo apprendistato con diligente professionalità. Dopo aver lavorato a Palermo e, come il padre, presso il tribunale minorile di Napoli, venne destinato nel 1942 al tribunale di Savona. La permanenza nella nostra città non fu delle più facili a causa del burrascoso momento storico: dopo l’8 settembre ’43 decise di iscriversi al clandestino Partito D’Azione e di entrare nella formazione partigiana Giustizia e Libertà con il nome di battaglia “Silva”….. Come attivista Panevino dapprima ricoprì il ruolo di rappresentante del PdA, dopo la fucilazione del suo predecessore Cristoforo Astengo, per poi divenire il referente principale e il presidente dello stesso CLN savonese. In stretto legame con i partigiani piemontesi e con il CLN di Genova aiutò, rifornì e agevolò le formazioni partigiane delle province vicine ….

Gentile e laborioso di indole, gli amici e i colleghi, che in quel breve lasso di tempo lo hanno visto impegnarsi nel lavoro e nella lotta con la stessa dedizione, lo hanno sempre ricordato come un uomo intelligente e colto. Le fotografie poi ci restituiscono un uomo dall’aspetto curato, elegante e raffinato: più simile ad un frequentatore di salotti che ad un sovversivo. Ma le apparenze a volte ingannano e, come si dice, i monaci non sono tali per i loro abiti. Sarebbe stato facile per lui, di estrazione borghese e con un’ottima situazione professionale, proseguire la sua vita mantenendo i propri privilegi di uomo benestante e in carriera, chiudendo gli occhi di fronte alle ingiustizie per la propria tranquillità individuale. Panevino, come altri savonesi, nutrendo una profonda e radicata coscienza della natura incivile della dittatura, scelse un’altra via che assorbì gli ultimi mesi della sua esistenza, ne condizionò la qualità e la durata. Nicola naturalmente non si esauriva nella sua funzione lavorativa e nel suo ruolo politico, non era solo un giudice e un partigiano. Era un uomo come tanti, con le proprie passioni e i propri affetti, ai quali di norma sarebbe giusto dedicare l’esistenza. Sposato il 5 luglio 1942 con Elena Ciaburri. Una sola figlia, Gabriella, nata il 27 maggio 1944, che ebbe solo il tempo di vedere in fasce.

Le testimonianze epistolari del periodo dimostrano, oltre al grande amore per la moglie e per la bambina, una sincera e speranzosa fede in Dio. Fervido credente, vantava quindi, secondo le testimonianze, una vasta cultura, una spiccata intelligenza ma anche una profonda spiritualità. Aveva un cane, un pastore tedesco, amava la musica classica e suonava il pianoforte nel tempo libero. La sua esistenza tranquilla e agiata, divisa tra la famiglia, la professione e i suoi interessi avrebbe potuto proseguire nella serenità più assoluta se non avesse scelto di dedicarsi attivamente alla lotta al regime. Panevino nella sua posizione sociale e professionale aveva quindi tutto da perdere e nulla da guadagnare dalla lotta partigiana. E infatti perse tutto: libertà, affetti, agi e infine la vita. Non guadagnò nulla di materiale ma solo la fama postuma di uomo giusto, che ha accantonato la propria vita privata e il proprio interesse personale per difendere il bene comune minacciato dalla violenza della sopraffazione.

Tutto naufragò verso la fine del 1944 quando il giudice, oggetto di una delazione, venne denunciato ai fascisti per la sua attività clandestina. Come per Astengo (che addormentandosi in treno non scese alla stazione di Santuario e venne arrestato appena giunto a Savona) fu una disattenzione, sicuramente riconducibile alla stanchezza e alla tensione, ad essergli fatale. Nicola, di ritorno da una riunione, non vide il panno alla finestra, steso dalla moglie, come concordato segnale di pericolo: entrò nell’appartamento dove lo aspettavano i fascisti. Arrestato il 14 dicembre 1944 da quattro militi della GNR venne prima condotto al Sant’Agostino di Savona e poi ad inizio 1945 imprigionato a Marassi (nella 3ª sezione del penitenziario) dove subì, oltre a estenuanti interrogatori, terribili torture. Il 15 di febbraio trasferito temporaneamente alla Casa dello studente (allora sede del Comando delle SS), venne messo alle strette dalla testimonianza di una spia: ammise quindi il ruolo svolto nel CLN ma si rifiutò di fare i nomi dei propri colleghi e collaboratori.

Ecco quindi due elementi cardine della breve avventura di Panevino: da una parte i tradimenti e le delazioni delle spie, dall’altra la sua ostinazione nel tacere e nel non compromettere la vita dei propri compagni nemmeno sotto le torture più spietate. In carcere infatti risultava essere il prigioniero che più motivava e spronava i propri compagni e allo stesso tempo colui che con maggior fermezza invitava a non fare i nomi dei partigiani ancora in libertà. Il 23 marzo 1945, a poco meno di un mese dalla fine del secondo conflitto mondiale, venne fucilato verso le 4 di mattina nei pressi del cimitero di Cravasco, nell’entroterra di Genova. La sua esecuzione è da collocarsi nell’ambito di una rappresaglia nazista per un atto partigiano avvenuto in quella zona poco tempo prima, nel quale 9 tedeschi erano rimasti uccisi. Naturalmente non sussisteva nessuna correlazione tra l’azione partigiana in questione e l’operato di Panevino, che era da mesi in cella e conseguentemente lontano dalla lotta attiva.

Savona il nipote Nicola e Gariella Panevino, figlia del giudice partigiano torturato e fucilato

I nazisti avevano prelevato quindi per pura ritorsione 20 detenuti dissidenti dalle carceri di Marassi e li avevano condannati a morte con processi farsa: due di essi però riuscirono a scappare durante il trasferimento saltando dalla camionetta e un altro, rimasto solo ferito alla fucilazione, si finse morto e riuscì a scampare ad una sorte che sembrava segnata. I prigionieri dovettero raggiungere il posto dell’esecuzione salendo il costone più impervio del Monte Carlo, passando per i boschi su sentieri ripidi, ammanettati a coppie e dovendo aiutare due loro commilitoni menomati: uno privo di un braccio e un altro di una gamba. Panevino venne giustiziato per decimo e dovette quindi assistere alla spietata uccisione di 9 dei suoi compagni di lotta. Nel luogo dove avvenne l’esecuzione è stata apposta una lapide in onore di Nicola e delle altre sedici vittime. Per la sua instancabile attività antifascista Panevino è stato insignito “alla memoria” della medaglia d’argento al valor militare. Ma cosa ben più importante e significativa di un riconoscimento ufficiale postumo, di lapidi e medaglie, la formazione partigiana Brigata GL Savona, che aveva contribuito a creare, prese alla sua morte il suo nome divenendo Brigata Nicola Panevino, a testimonianza di quanto fosse viva la riconoscenza verso uno dei più attivi e importanti partigiani del savonese. Nel dopoguerra però la memoria di Nicola si fece sempre più flebile e rare furono le occasioni in cui rendere onore degnamente alla sua figura a Savona. Situazione completamente diversa si è verificata nella sua regione di origine dove al partigiano Silva è sempre stato tributato il giusto riconoscimento fin dai primi anni del dopoguerra. Il 3 settembre 1964 a Carbone venne dedicata la nuova scuola a Panevino, mentre l’epigrafe in suo onore apposta sulla facciata della dimora di famiglia ad Aliano è stata concepita da Benedetto Croce in persona. Infine proprio ad Aliano nacque dieci anni dopo, nel 1974, un circolo culturale a lui dedicato che ricorda, come speriamo di fare noi, il suo nome e la sua storia alle nuove generazioni.

I FUCILATI CON PANEVINO

1) Oscar Antibo (Lauri), 37 anni, nato a Savona, intendente della Divisione Garibaldina “Bevilacqua”, operaio della “Ferrania”, militante comunista. Catturato in un’imboscata dei militi della Divisione fascista San Marco il 24 settembre 1944 (ferito al braccio, gli verrà amputato in ospedale).

2)  Giovanni Bellegrandi (Annibale), 25 anni, nato a Brescia, ingegnere, ex sottotenente della 131ª Divisione corazzata “Centauro” del Regio esercito, istruttore militare dell’organizzazione “OTTO”. Arrestato il 19 gennaio 1945 dalle SS.

3) Pietro Bernardi, 35 anni, di Rivarolo, nato a Dürrmenz nel Baden-Wurttemberg (Germania), appartenente alla Brigata SAP “Jori”.

4) Orlando Bianchi (Orlandini), 44 anni, nato a Genova, ex capitano di complemento del 15º reggimento del Genio militare di stanza a Chiavari, membro del CLN di Uscio dopo l’8 settembre e del CMRL (Comando militare regione ligure), comandante delle SAP “Matteotti” a Voltri. Arrestato il 6 dicembre 1944.

5) Virginio Bignotti (Franchi), 56 anni, nato a Biella, ex maggiore dell’esercito, consulente militare all’interno del comando delle brigate SAP garibaldine genovesi con il ruolo di capo di stato maggiore. Arrestato a dicembre del 1944.

6) Cesare Bo (Emilio), 21 anni, nato a Sampierdarena, impiegato allo stabilimento “Ansaldo Elettrotecnico” di Campi, apparteneva alla Brigata SAP “Buranello”. Arrestato il 15 dicembre 1944.

7) Pietro Boido (Pierin), 30 anni, di Sestri Ponente, nato a Nizza Monferrato, operaio montatore ai Cantieri Navali di Sestri, gappista e militante comunista, appartenente alla Brigata SAP “Alpron”. Arrestato, in casa, dalle brigate nere, l’8 gennaio 1945.

8) Giulio Campi (Cesare), 53 anni, di Rivarolo, nato a La Spezia, capo reparto nello stabilimento “Ansaldo Vittoria”, militante comunista, membro del CMRL con il ruolo di condirettore dell’Ufficio aviolanci. Arrestato nel dicembre del 1944.

9) Gustavo Capitò (Fermo), 48 anni, nato a La Spezia, ex tenente colonnello dell’esercito, vicino al Partito d’Azione, consulente del comando militare del CLN di Savona, quindi responsabile del servizio informativo del Comando militare regionale ligure. Arrestato il 16 dicembre 1944.

10) Giovanni Carù, 32 anni, nato a Ferno in provincia di Varese, operava nelle brigate SAP del centro città.

11) Cesare Dattilo (Oscar), 23 anni, nato a Cogoleto, operaio meccanico aggiustatore allo stabilimento “Ansaldo San Giorgio” di Sestri Ponente, militante sindacale sfuggito alla retata del 16 giugno 1944, comandante di un distaccamento partigiano all’Acquabianca di Tiglieto, comandante della brigata “Buranello” della divisione garibaldina “Mingo”. Catturato da una pattuglia di fanti della San Marco il 9 dicembre 1944 a San Pietro d’Olba.

12) Giacomo Goso, 49 anni, nato a Bardineto, giudice del Tribunale di Savona, vicino agli ambienti del movimento di “Giustizia e Libertà” e alla brigata “Savona”. Arrestato il 13 dicembre 1944.

13) Giuseppe Maliverni (Otto), 19 anni, di Rivarolo, gappista a Sampierdarena, partigiano della 3ª Brigata Liguria nella zona della Benedicta, riesce a tornare in città dopo l’eccidio e diventa vice comandante della brigata SAP “Buranello”. Arrestato nel gennaio del 1945 dalle brigate nere.

14) Renato Quartini (Tino), 21 anni, di Certosa, nato a Ronco Scrivia, disegnatore allo stabilimento “Ansaldo Elettrotecnico”, membro dei GAP, comandante delle Squadre d’azione del Fronte della Gioventù. Catturato nella notte fra il 23 e il 24 agosto 1944 durante l’azione, da lui diretta, tesa a liberare Riccardo Masnata, gappista ferito e piantonato all’ospedale “San Martino” di Genova: il gruppo di sapisti della Brigata SAP “Jori” fu intercettato nei pressi della caserma della Xª Mas di San Fruttuoso dai militi del sottocapo di marina Bottéro. Quartini, ferito a sua volta, subì l’amputazione di una gamba. Insignito di Medaglia d’oro al valor militare.

15) Bruno Riberti, 18 anni, di Certosa, nato a Migliarino in provincia di Ferrara, operaio allo stabilimento “Ansaldo Artiglieria”, apparteneva alla brigata SAP “Jori”. Catturato nella notte fra il 23 e il 24 agosto 1944 nel corso del tentativo di liberare Masnata (rimasto gravemente ferito, fu ricoverato al San Martino prima di essere trasferito alle carceri di Marassi).

16) Ernesto Salvestrini (Amilcare), 22 anni, nato a Marina di Massa, studente, radiotelegrafista. Arrestato durante una missione speciale a Nervi.

Sopravvisse alla fucilazione Arrigo Diodati (Franco), nato a La Spezia il 25 maggio 1926 da genitori antifascisti, che con la famiglia si era trasferito a Parigi nel 1937. Scampato all’eccidio, trova ricovero presso la brigata “Pio”, divisione “Mingo“, con la quale partecipa alla liberazione di Genova.

Francesco Cozzi


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