Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Furono 11 gli ebrei arrestati in provincia di Savona


 I tredici cittadini sono stati arrestati a: Alassio (6) – Savona (3) – Ferrania (1) – Finale Ligure (1) – Laigueglia (1) – Pietra Ligure (1). 70° anniversario della liberazione campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Da non dimenticare e tramandare ai giovani!


” Arbeit macht frei ”

“Il lavoro rende liberi”

La scritta posta all’ingresso del campo di concentramento.

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Bachi Pia, figlia di Emanuele Bachi e Teresa Richetti, è nata a Udine il 13 gennaio 1877, arrestata a Alassio. Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.

Colonna Palmira, figlia di Gabriele Colonna e Elena Jacchia, è nata a Torino il 17 novembre 1872, arrestata a Alassio. Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.

Dana Sara, figlia di Giuseppe Dana e Lea Rebecca Behar, è nata a Milano il 16 ottobre 1927, arrestata a Pietra Ligure. Deportata nel campo di sterminio Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.

Fubini Rosetta, figlia di Aronne Fubini e Enrichetta Nizza, è nata a Torino il 24 luglio 1866, arrestata a Alassio. Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.

Gonda Ladislaus, figlio di Giacomo Gonda e Ida Metz, è nato a Budapest il 2 aprile 1899, arrestato a Savona. Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.

Hans Ferdinand Bincer, figlio di e tecnico fotografico austriaco ebreo, arrestato (forse con la famiglia) a Ferrania (SV). Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.

Levi Elena, figlia di Alfredo Levi e Palmira Colonna, è nata a Torino il 9 settembre 1902, arrestata a Alassio. Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. E’ sopravvissuta alla Shoah.

Ottolenghi Aldo, figlio di Ciro Ottolenghi e Nella Osimo, è nato a Monticelli d’Ongina il 18 febbraio 1902, arrestato a Savona. Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.

Pavia Egidio, figlio di Abramo Pavia e Emilia Rocca, è nato a Gorizia il 24 aprile 1879, arrestato a Laigueglia. Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.

Reutlinger Albertina, figlia di Maurizio Reutlinger e Anna Munster, nata a Napoli il 24 agosto 1872, arrestata a Finale Ligure. Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.

Sacerdote Teodoro, figlio di Aronne Sacerdote e Rachele Nizza, è nato a Torino il 18 gennaio 1859. Coniugato con Rosetta Fubini. Arrestato a Alassio.

Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.

Valobra Sergio, figlio di Giuseppe Valobra e Annetta Ghiron, è nato a Genova il 15 giugno 1923, arrestato a Savona. Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.

Wollisch Roberto, figlio di Ermanno Wollisch e Cesarina Barbieri, è nato a Firenze il 20 maggio 1880. Coniugato con Carolina Silva. Arrestato a Alassio.

Deportato nel campo di sterminio di Buchenwald.. Non è sopravvissuto alla Shoah.

Fonte: Triangolo Viola – Le “vittime dimenticate” del regime nazista

“ Dal liceo ad Auschwitz”

Lettere di Louise Jacobson

E’ un libro che raccoglie le lettere inviate durante la prigionia a parenti e amici da Louise Jacobson, una studentessa liceale parigina di famiglia ebrea, uccisa nel febbraio 1943 nella camera a gas del campo di concentramento di Auschwitz. Sospettata di simpatie comuniste, era stata denunciata assieme alla madre Olga Golda-Riva Jacobson in maniera anonima da alcuni vicini di casa come simpatizzante comunista, ma il suo arresto al rientro a casa avvenne perché non indossava la stella gialla che identificava gli ebrei, nella Francia occupata dal regime nazista

Il libro – patrocinato dalla FEDJF, l’Associazione Figli e Figlie dei Deportati Ebrei di Francia fondata nel 1979 – è dedicato alla memoria delle allieve del liceo del Cours de Vincennes (poi Hélène Boucher) arrestate dalla polizia del governo di Vichy e dai nazisti, deportate e assassinate ad Auschwitz.

Louise Jacobson, iscritta all’ultimo anno del liceo Cours de Vincernes, arrestata assieme alla madre lunedì 31 agosto 1942 soprattutto a causa delle pubblicazioni rinvenute nella cantina di casa che testimoniavano delle simpatie politiche orientate alla sinistra dei fratelli Jacobson (i cui genitori vivevano da qualche tempo separati), scrisse ai parenti (padre, due sorelle e un fratello), amici e compagni di scuola ventisette lettere in tutto, nel periodo compreso fra il 1° settembre 1942 e il 13 febbraio 1943. La maggior parte delle missive (ventuno) vennero spedite dalla prigione di Fresnes (un luogo di detenzione e tortura soprattutto per esponenti comunisti aderenti alla Resistenza francese).

Le restanti sei (le più dolenti, quando i mesi di detenzione erano ormai sei e la fine era ormai prossima) furono inviate dal campo di concentramento di Drancy, dove la studentessa venne trasferita a ottobre 1942 prima della definitiva deportazione ad Auschwitz. L’epistolario è stato raccolto dalla sorella di Louise, Nadia Kaluski-Jacobson, che nel 1989, sull’onda del montante revisionismo storiografico tendente se non a smentire quanto meno a ridurre di portata i crimini del nazismo, ha deciso di pubblicarle – su insistenza di Seerge Klarsfeld, avvocato di professione e presidente dell’Associazione dei figli e delle figlie degli ebrei deportati di Francia che negli anni settanta si è battuta perché si svolgesse a Colonia un processo contro i criminali di guerra nazisti che fino ad allora scampati a procedimenti penali – per le E’ditionbs Robert Laffont, con il titolo Les lettres de Louise Jacobson et de ses proches: Fresnes, Drancy, 1942-1943. Nel gennaio 1989 scrive Nadia Kaluski-Jacobson, nell’introduzione <alle lettere di mia sorella>:” Mi sono stupita io stessa di non aver assunto quest’iniziativa fin dal giorno della liberazione (nota: si riferisce alla possibilità di una pubblicazione dell’epistolario) […]. Lo stesso fenomeno si verificò fra i pochi scampati dai campi di concentramento, che soltanto 45 anni dopo la loro liberazione hanno avuto la forza di raccontare la propria esperienza […]. Dopo qualche decennio prudente silenzio, gli assassini e i loro compagni, presi dalla nostalgia di quel tempo maledetto, hanno osato negare la realtà dei crimini commessi. […]”. Di qui la decisione della pubblicazione delle lettere, perché “la memoria sopravviva”, mantenendo vivo “un ricordo del passato che possa proiettare validamente nel futuro”.

Il volume riporta, nell’edizione italiana data alle stampe nel 1996, i numeri concernenti la deportazione degli ebrei di Francia durante la seconda guerra mondiale, ovvero nel periodo che va dal 1942 al 1944.

In totale furono deportati 75.721 ebrei, di cui il 2,7% bambini di età inferiore ai sei anni e l’11,6% bambini adolescenti dai sei ai 17 anni (in totale circa 11.000 unità. Oltre 9.700 furono i deportati con età superiore ai 60 anni. Circa 43 mila deportati su 73.853 furono uccisi con il gas all’arrivo nel campo di concentramento mentre al 1945 risultarono sopravvissuti allo sterminio 2.558 deportati (il 3% del totale dei reclusi). Secondo Serge Klarsfeld, presidente dell’associazione Figli e Figlie dei Deporetati Ebrei di Francia, con i 3.000 deportati nei campi di internamento – come quello di Drancy da cui transitò Louise Jascobson – in attesa della deportazione ad Auschwitz e le migliaia di ebrei uccisi durante la persecuzione razziale, il totale delle vittime della soluzione finale in Francia raggiunge le 80.000 unità.

Sorte di Anna Frank francese, Louise Jacobson scrisse le sue lettere usando la scrittura tipica del diario, compilando cioè gli eventi del giorno, registrando le (poche) novità che la reclusione consentiva, e le aspettative per una liberazione che sperava prossima ma che sentiva improbabile. In esse e con esse, rivolgendosi essenzialmente alla sorella maggiore Nadia (al padre, che poteva vederla due volte la settimana, al giovedì e alla domenica nel carcere di Fresnes, ne furono inviate in minore misura), la giovane lascia trasparire serenità e speranza e cerca più e più volte di rassicurare i propri cari cercando di trasmettere loro un senso di serenità che non è rassegnazione.

Solo in quelli inviate alle amiche traspare lo scoramento e la preoccupazione per il futuro. La meticolosità con cui dà conto ai familiari della quotidianità (in particolare degli orari dei pasti, dell’attività ginnica e del lavoro di rammendo e ricamo, ma anche la descrizione della vita a stretto contatto con detenute di ogni tipo – da quelle politiche a quelle comuni, fra cui donne arrestate per semplici furti e donne di malaffare – e delle lunghe ore in attesa dei pacchi inviati dalla famiglia o semplicemente della consegna della corrispondenza, il surrogato di lezioni scolastiche tenute da insegnanti anch’essi detenuti) restituisce appieno il senso di costrizione in cui si era venuta a trovare l’autrice, che avrebbe compiuto i suoi diciotto anni il 29 dicembre 1942 nel campo di concentramento di Drancy. Di lì a un paio di mesi avrebbe poi intrapreso il viaggio senza ritorno verso Auschwitz. Scrive Louise in una delle ultime lettere al padre (la lettera è datata Drancy, giovedì 28 gennaio 1943, una ventina di giorni prima della sua morte ad Auschwitz): < […] A due giorni di distanza l’una dall’altra, ho avuto due lettere di Nadia (nota: la sorella maggiore) così traboccanti di tenerezza che nei avrei pianto. Leggo e rileggo quei fogli, ormai conosco tutti i vostri scritti a memoria, uno per uno. Sono così commossa da tante attenzioni. Ho ricevuto ieri un pacco di Nadia. Senti cosa ho trovato dentro: pasticceria secca, cioccolata, salame, fette biscottate e un grande dolce, tutto intero, cosa credi?, e buono, buono!!!. E’ semplice, mi sto ingozzando come un porcellino. Quel pacco lo aspettavo da due giorni con una impazienza incontenibile. Morivo dalla voglia di vedere le fotografie. Non vedevo Nadia da sei mesi, tremavo guardandole. Charlot e Paulette (ota: gli altri fratelli) sono eleganti come sempre: mi fa molto piacere che siano così in forma […] >. E ancora, senza perdere il desiderio di provare a scherzare e per cercare di infondere ottimismo, scrive in una lettera indirizzata ‘collettivamente’ ai congiunti da Drancy l’8 febbraio 1943 (è la penultima prima del trasferimento ad Auschwitz): “Che fortuna miei adorati, danzerei di gioia! […] Ho ricevuto il vostro pacco e non faccio che mangiucchiare tutti i dolciumi. Nadia adorata, la torta era formidabile, ti annuncio che se il ripieno era una bontà, la pasta mi è sembrata ancora migliore. […] Seguo con molta assiduità le lezioni (nota: corsi di studio e conferenze erano tenuti nel campo di concentramento da alcuni docenti anch’essi deportati). […] Siamo una banda di compagni molto affiatati. Danile, Philippe, Roland, Emmanuel e poi Monique, Claire, Ruth e io. Noi quattro ragazze formiamo il “quadrilatero”o “il triunvirato” o “i tre moschettieri”: siamo le più intelligenti. […] La vita che conduco mi tempra il carattere e mi obbliga ad arrangiarmi da sola. Nonostante qualche “inconveniente” non sarà tutto perduto e io qualcosa l’avrò imparata. Vengo a contatto con molta gente sempre diversa mi capita di sentire storie così dense di emozioni che potrei intrattenervi mille e una notte a raccontarvi tutto […] Mia cara Nadia, io sono molto coraggiosa, ma non credo di avere tutta la filosofia di Gilbert (nota: è il cognato, marito della sorella Nadia), anzi sono all’opposto. Sono molto attaccata alle vanità terrene, sono piena di civetterie […]”.

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Nel 1994, il 25 aprile, il Ministro degli Anziani combattenti e delle Vittime della guerra ha fatto affiggere una targa sull’edificio in cui Louise e la madre abitavano, in rue des Boulers, a Parigi: < In questo immobile furono arrestate Louise Jacobson di 17 anni e sua madre Olga Jacobson. Esse furono deportate e assassinate ad Auschwitz nel 1943 perché ebree. Le <Lettere di Louise Jacobson restano per la storia una testimonianza inestimabile.> In Italia il testo è stato pubblicato nel febbraio 1996 sotto il titolo <Dal liceo ad Auschwitz – Lettere di Louise Jacobson> e con traduzione di Mirella Caveggia, da l’Arca Società Editrice dell’Unità, che lo ha distribuito in abbinata al giornale quotidiano l’Unità. In questa versione il libro riporta una presentazione di Elio Toaff e un’introduzione di Francesca Sanvitale. E’ integrato con una sezione “Documenti” che riporta il testo delle leggi anti ebraiche francesi in vigore durante la seconda guerra mondiale e gli atti relativi all’operazione di polizia contro la comunità ebraica parigina del luglio 1943 conosciuta come la grande retata parigina detta del Velodromo d’Inverno (parte del materiale era rimasto sconosciuto ed è stato pubblicato per la prima volta solo nel 1958 da La Tribune Sioniste de France). Su questo argomento viene riportato uno scritto di Serege Klarsfeld e il resoconto di Sarah Lichtsztejn, un’alunna che frequentava anch’essa lo stesso Liceo Cours de Vincennes a cui era iscritta Louise, scampata dapprima alla retata ma poi nuovamente catturata e deportata nel maggio 1944 in campo di concentramento assieme alla madre Maria, già vittima anni prima ai pogrom russi. Sarah e sua madre vennero arrestate durante la retata del Velodromo d’Inverno il 16 luglio 1942. Riuscite a fuggire, godono di un paio di anni di semilibertà, ovvero fino a quando vengono denunciate sulla base di una delazione e deportate ad Auschwitz. Il racconto di Sarah si riferisce appunto alla condizione di deportata in campo di concentramento, esperienza che la giovane restituisce nella pagina scritta con la sorpresa e lo smarrimento di una giovane poco più che adolescente.

Nella sua introduzione, Sanvitale riprende le parole conclusive di Nadia Kaluski Jacobson a commento della pubblicazione delle lettere della sorella Louise, quarantacinque anni dopo la sua morte nel lager di Auschwitz: < E’ assolutamente necessario lasciare tracce concrete e tangibili.>

Poiché – parole di Sanvitale – “ogni traccia è una persona, un carattere, una storia che insegnano qualche cosa alla collettività. E’ una presenza permanente” che non va rimossa né dimenticata.

Fonte: it.Wikipedia.org/Wiki – L’enciclopedia libera

 

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Documenti

 

Legge del 3 ottobre 1940 relativa allo statuto degli Ebrei

 

Noi, Maresciallo di Francia, Capo dello Stato francese, d’intesa con il Consiglio dei Ministri, Decretiamo: Art. 1 – Ai fini dell’applicazione della presente legge, si considera ebreo chiunque discenda da tre nonni paterni o materni di razza ebraica o due soltanto nel caso in cui il coniuge sia ebreo.

 

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Legge del 2 giugno 1941 sostitutiva della legge 3 ottobre 1940 relativa allo statuto degli Ebrei

 

Noi, Maresciallo di Francia, Capo dello Stato francese, d’intesa con il Consiglio dei Ministri, Decretiamo: 1° l’uomo o la donna, che siano o non siano appartenenti ad una confessione religiosa qualsiasi, che discendano da almeno tre nonni ebrei o due soltanto se anche il coniuge ha in famiglia due nonni di razza ebraica. E’ considerato di razza ebraica l’avo paterno o materno di religione ebraica. 2° L’uomo o la donna che appartenga alla religione ebraica, o vi apparteneva in data 25 giugno 1940 e che discenda da due nonni di razza ebraica.

 

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Ottava ordinanza del 29 maggio 1942, relativa alle misure anti ebraiche

 

In virtù dei pieni poteri che mi sono stati conferiti dal Fuhrer e dal Comandante Supremo della Wehrmacht, ordino quanto segue: Segno distintivo per gli ebrei: I – E’ proibito agli ebrei, a partire dal compimento del sesto anno di età, di apparire in pubblico senza portare la stella ebraica.

 

II – La stella ebraica è una stella a sei punte, dalle dimensioni del palmo di una mano e con i contorni neri. E’ in tessuto giallo e reca la scritta “Ebreo”, impressa a caratteri neri. Dovrà essere portata in maniera visibile sul lato destro del petto, saldamente cucita sull’abito.

 

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Il 16 luglio 1942 – Prefettura di Polizia – Gabinetto del Prefetto – Segretariato di Permanenza, alle ore 8 lo Stato maggiore telefona: “L’operazione contro gli Ebrei è cominciata questa mattina alle ore 4. Numerose circostanze hanno provocato rallentamenti. Molti uomini ieri si sono allontanati dal loro domicilio. Rimangono alcune donne con uno o più bambini piccoli. Altre si rifiutano di aprire le porte; bisogna ricorrere all’intervento di un fabbro. Nel 20° e nell’11° arrondissement dove si trovano molte migliaia di Ebrei l’operazione procede lentamente. Alle ore 7,30 la Polizia Municipale segnala l’arrivo al Velodromo d’Iver di 10 corriere. Alle ore 9, 4044 arresti.

 

16-17 luglio 1942 – Svolgimento della grande retata parigina detta del Velodromo d’Inverno. Ai fini di un’operazione che si prefigge 22.000 arresti sono estratte 28.000 schede dall’archivio ebraico della Prefettura di Polizia. 4.500 poliziotti vengono mobilitati. I limiti d’età fissati preliminarmente dalla Gestapo sono da 15 a 55 anni per le donne e 60 anni per gli uomini. I bambini in età compresa fra i 2 e i 15 anni devono essere consegnati alla Pubblica Assistenza e in seguito all’U.G.I.F., l’Unione Generale degli Israeliti di Francia. Gli Ebrei destinatari dei provvedimenti sono apolidi, vale a dire ex-polacchi, tedeschi, austriaci, cecoslovacchi, russi. Il 15 luglio, Bousquet, Segretario generale della Polizia di Vichy, rilascia al Prefetto di Polizia l’autorizzazione alla retata. In capo a due giorni il bilancio totale raggiunge le 12.884 unità.

 

Il terzo giorno si contano 13.152 arresti, 3.118 uomini, 5.119 donne, 4.115 bambini. La superiorità numerica delle donne è dovuta principalmente al fatto che si tratta di mogli di Ebrei già arrestati nel maggio e nell’agosto del 1941.

 

Per sei giorni genitori e figli – in totale 8.160 (1.129 uomini, 2.916 donne e 4.115 bambini) – sono internati in condizioni deplorevoli al Velodromo d’Inverno, in attesa di essere diretti verso i campi di Pithiviers e Beane-la-Rolande, che nel mese di giugno erano rimasti quasi vuoti dopo la partenza di quattro convogli che avevano deportato gli uomini. 4.992 persone non sposate o coppie senza figli sono internate a Drancy (1.989 uomini e 3.003 donne).

 

Nel 1983 per la prima volta siamo riusciti a provare che le tre fotografie sempre presentate come quelle degli Ebrei del Velodromo d’Inverno in verità ritraggono i collaborazionisti internati nello stesso stadio dal 28 agosto 1944. In realtà della retata non esiste alcuna documentazione fotografica.

 

La tragica sorte dei bambini Ebrei catturati nella retata

 

Il 17 luglio, nel corso di una riunione fra membri della Gestapo e responsabili della polizia francese, si esercitarono forti pressioni da parte di questi ultimi affinché fossero deportati anche i bambini dai 2 ai 15 anni. La ragione di queste insistenze era probabilmente dovuta agli scarsi risultati della retata: 9.037 adulti invece dei 20-22.000 previsti. Era più facile portare via i figli degli arrestati che avviare una nuova serie di arresti; inoltre la deportazione dei bambini avrebbe evitato le molte complicazioni che potevano derivare dal loro sostentamento. Quelle infelici creature non saranno neppure portate via insieme alle loro madri, perché Berlino non ne ha ancora autorizzato la deportazione. Poiché i treni devono essere riempiti, dal 31 luglio le madri partiranno per prime; nel campo di Loiret gli agenti di polizia le separeranno dai loro figli a colpi di calci di fucile fra scene strazianti. Poi, dopo il 17 agosto, sarà il turno dei loro figli che partiranno da Drancy mescolati con gli adulti provenienti dalla zona libera per dare l’impressione che si tratti dei loro genitori.

 

Genesi della retata del Velodromo d’Inverno

 

La prima deportazione degli Ebrei in Francia avviene il 27 marzo 1942.

 

I deportati sono 1.112 uomini, la metà è composta da Ebrei francesi internati a Compiègne, per il resto si tratta di Ebrei apolidi rinchiusi a Drancy. Nel mese di giugno del 1942 viene insediato a Parigi un nuovo distaccamento direttivo della polizia tedesca e delle SS. Al suo vertice è posto il Generale SS Oberg, suo assistente è il Colonello SS Knochen, Comandante della Polizia di Sicurezza e dei Servizi di Sicurezza, la Sipo-SD, al cui interno opera la Gestapo. Da parte francese, Laval, nominato primo ministro per la seconda volta in seguito alle pressioni delle forze di occupazione, e il suo capo Bousquet, ottengono rinforzi dall’autorità di Vichy nella zona occupata in cambio di una collaborazione più incisiva da parte della polizia nei confronti dei nemici comuni del Reich e di Vichy: gli Ebrei, i comunisti, i gollisti, i terroristi.

 

Le misure antiebraiche in zona occupata si intensificano: le ordinanze tedesche relegano gli Ebrei al rango di paria, in particolare in virtù dell’ottava ordinanza del 29 maggio 1942, che prescrive agli Ebrei che hanno compiuto il sesto anno di età di portare in pubblico la stella gialla con la scritta “Ebreo”. Vichy rifiuta di appoggiare questa delibera, la cui applicazione è tuttavia assicurata dalla polizia francese, mentre a questa umiliazione imposta agli Ebrei la popolazione oppone una reazione ostile. Nel giugno del 1942 inoltre si intrecciano a livello di polizia negoziati franco-tedeschi: questa volta riguardano l’arresto in massa delle famiglie ebraiche, conseguente alla decisione adottata …

 

(continua nel prossimo numero di Trucioli.it)

 

Fonte: dal libro “Dal liceo ad Auschwitz – Lettere di Louise Jacobson” – L’Arca Società Editrice dell’Unità spa.

 

Gilberto Costanza

e-mail: gilberto.costanza@alice.it


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