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Liguria e Basso Piemonte

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Vangelo e Costituzione (7ª): Le tentazioni


Le tentazioni – Gesù su questo era irremovibile. Che ragione c’era per fumare e bere liquori? Quando Francesco portò il fumo per la prima volta la compagnia aderì compatta: voleva provare la nuova esperienza. Con la bottiglia di vodka fu la stessa cosa. Gesù non provò neppure a dissuadere gli amici, anche quando Emilio vomitò ed Espedito si accasciò mezzo addormentato. La messa ad hascisc e alcolici si ripeteva ogni sabato sera con una ritualità spontanea ma articolata nei dettagli.

All’inizio Gesù era tollerato, poi cominciarono le insistenze per coinvolgerlo nel banchetto. Allora si confidò con i genitori:

– Hanno un’unica motivazione, darsi importanza, poter raccontare di averlo fatto, vantarsi di essere coraggiosi.

Ma Gesù non aveva bisogno di pavoneggiarsi, aveva una personalità solida, osservava i suoi doveri e pretendeva il rispetto dei suoi diritti. Se necessario non disdegnava lo scontro verbale e anche fisico. Bere e fumare gli sembravano un atto di debolezza, verso se stessi e

verso gli altri. Una sera pose l’ultimatum:

– Io non vi giudico se lo fate, ma voi non dovete pretendere che lo faccia anch’io, altrimenti la chiudiamo qui!

Gli amici rincularono, qualcuno continuò, qualcuno smise: la comitiva si salvò.

Anzi una volta lo… salvò.

Il colore della sua pelle non era simpatico a tutti e, soprattutto quando fuori casa stracciava le squadre avversarie con i suoi dribbling, veroniche e trivele, suscitava parolacce intolleranti e discriminatorie. Gli stessi, che impazzivano per il top player di colore del Chelsea e del Barcellona, non sopportavano che quello sporco negretto potesse vincere.

A Fuorigrotta ne avevano segnati quattro e preso nessuno: tripletta di Gesù Esposito. Contenti e scherzosi s’incamminarono verso la metropolitana, quando la squadraccia sconfitta accerchiò il nero col pantaloncino bianco e lo isolò dal gruppo. Ma, prima che partisse il linciaggio razzista, la comitiva confermò la vittoria anche a botte: la punta sfilò l’agnello sacrificale e lo infilò nel treno, la coda intralciò gli avversari e si aggrappò all’ultima carrozza. I denti vibrarono fino alle Vele e le facce sbollirono solo nel terreno abbandonato, complice dei loro giochi. Si giurarono amicizia eterna fra le erbacce che non rinnegarono mai.

Niki tirò fuori dal nascondiglio, dietro un vecchio pollaio, la bottiglia di whisky, unica sopravvissuta dopo l’ultima discussione:

– Brindiamo a Cotica Abbruciata!

– Uéh , frate’, ma la bottiglia ti si è azzeccata in mano! – Lo fermò preoccupato Genny.

Niki si bloccò nell’ansia che lo annichiliva quando vedeva la cacca di gallina. Era la merdaccia di quelle maledette che gli appiccicava la mano alla bottiglia. La mollò di colpo e vide il superalcolico rimbalzare fra i cocci di vetro in un misto di rimpianto e contentezza. Ma la mano era… tremendamente… pulita… Di sterco bipede neanche l’ombra! Si scagliò allora come un ghepardo imbestialito addosso a Genny:

– Bastardo, sei un bastardo!

– Fermo, fermo! – S’intromise Francesco.

– Lasciami, Pitbul, hai fatto la faccia come il tuo cane! – Niki si divincolò.

– E tu hai un panzone peggio di Ollio. – Lo riacciuffò Francesco.

– Basta, basta! Almeno sta’ volta si è dimenticato di chiamarmi gay. – Lo abbracciò Genny assieme a tutti gli altri.

Erano già tranquilli quando entrarono nel teatrino fatiscente.

Le sceneggiate napoletane tratteggiano sempre iss, ess, u malament, u scem e altri personaggi fissi o aggiunti secondo le esigenze della trama. Nella tipica espressione di arte popolare lo spettatore si identifica coi personaggi in maniera quasi maniacale, tanto che lui e lei, gli innamorati, vengono costantemente osannati, mentre il cattivo spesso si becca le percosse e lo scemo già si aspetta gli sfottò.

Nella realtà, soprattutto in quella vesuviana, troppo frequentemente è il cattivo a trionfare su chi opta per l’amore, troppo sensibile per imporre usura ed estorsioni. Quindi la platea può dare sfogo alla sua ribellione almeno a teatro.

L’unico ruolo che rimane uguale è quello dello scemo, dello sciancato, del disabile. Addirittura in passato il subnormale veniva chiamato u scign, perché simile ad una scimmia dai movimenti inconsulti.

A Scampia lo scemo era Anselmo, figlio di una coppia del nord, trasferitasi temporaneamente a Napoli e rimasta definitivamente al cimitero di Secondigliano. Il piccolo di appena sei anni scampò al massacro dei genitori, colpevoli di essersi opposti al pizzo. Vagò per anni fra bastonate, insulti e vessazioni di ogni tipo, che bloccarono il suo sviluppo mentale fino a decretarne lo stato di oligofrenico di grado severo. Nonostante qualche umano assistente sociale saltuariamente tentasse, Anselmo non si inserì mai, preferendo la solitudine dei suoi pensieri abnormi a ordini farmacologici e verbali senza cuore, che ovviamente non entravano nel suo.

A volte girava attorno alla comitiva e scappava appena subodorava qualche trappola. Solo Gesù lo trattava alla pari, accarezzandogli il barbone e i capelli lunghi come le gambe, che sbucavano inconsuete sotto il torso piccolo e stretto. Gli parlava e lo ascoltava.

Una zia una volta raccontò che Anselmo era fra studenti e operai fuori al basso di via Forcella quando nacque Gesù.

Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato… il diavolo… gli mostrò tutti i regni del mondo… e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se… mi adorerai»… Gesù gli rispose: «Vattene, Satana!». Allora il diavolo lo lasciò… (Matteo, 4:1 e 8:11).

Michele Del Gaudio


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