Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Alla ricerca dei vecchi sentieri in Valbormida


Non me ne ero mai reso conto, ma ero alla ricerca delle orme di San Pietro. Da sessant’anni, da quando frequentavo la seconda classe elementare nella ex Villa Maledetta di Rocchetta Cairo. Però la mia ricerca antropologica e storica e immateriale non ha nulla a che fare con la scuola, né con la maestra Angela Thea che mi impartì i primi rudimenti della scrittura.

 

L’ingresso a Rocchetta Cairo

La mia maestra non intenzionale, fu la nonna Maria Carle che veniva dalla Funga e discendeva dai Carle di quel luogo appartato tra i boschi di Cairo Montenotte.

La nonna era bassa di statura e molto simpatica, piena di buone maniere e di grande generosità. Una vecchietta vigile e disponibile che non si perdeva mai d’animo nonostante non godesse di nessuna pensione né sua né del marito. Come facessero a tirare avanti, due figli maturi in casa: Elda immobilizzata su di una sedia per la poliomielite giovanile e Mario, l’ultimo dei carrettieri e dei contadini poveri…

Le sue minestre erano un po’ slavate perché non schiacciava le patate nel brodo, ma piene di sapori inimitabili: maggiorana, crosta di formaggio, lardo… e penne piccole, lisce che scivolavano dal cucchiaio…

Poi spezzatino con patate nostrane e altro che si perde nel fumo della mia infanzia distratta. Però mi ricordo bene quando mi parlò della chiesetta scomparsa di San Pietro, sulla strada di Lavà

Da quel giorno sono stato alla ricerca di tutti gli elementi che potessero mettermi sulla pista per scoprire quanto più potevo di questo archeologia sacra locale…

Non è stata una ricerca assillante né continuativa, ma sono rimasto in ascolto, con quella parentesi aperta pronta ad accogliere ogni notizia in proposito.

Ed è arrivato il giorno che sono andato con quel pensiero sul posto dove poteva esserci ancora qualche traccia.

Ogni pietra che avevo incontravo ai lati della Levata aveva una sua particolarità che dovevo assolutamente osservare e interpretare, era per me un segnale, un reperto che non sarei riuscito a portar via ma solamente ricordare dov’era.

Dipinto della Madonna nella chiesa campestre di San Martino a Rocchetta

Il mio viaggio verso Lavà non era ancora letteratura: avvicinandomi a quel luogo elevato compivo i primi passi nella tradizione orale e mi inoltravo inconsapevole nel libro immateriale della memoria… Una prima scrittura a caratteri profondi veniva incisa nella gomma elastica della mia mente di bambino…. Scavata nella marna azzurra per tutto il tempo dei tempi, ripida la strada conosce il gelo delle tramontane, l’inverno col freddo che indurisce la marna, accoglie bene la neve di febbraio che ruscella e la scioglie come una pastiglia, nelle primavere insistente la pioggia viene giù dai fossi e nella strada, anche accetta il vento forte che i fianchi delle valli sale di corsa e batte prepotente la strada di San Zuàn… il fango azzurro va sempre giù, al fondo… ma la strada rimane uguale, nei secoli dei secoli…

Lavà era una parola chiave che condensava tante emozioni sottili, avvenimenti segreti e scoperte da comunicarci sottovoce e poi da scrivere nella fresca memoria.

Quando ci andavo con lo zio Mario era per me come uscire dalla fanciullezza ed entrare in un mondo esterno come di gioco e di favola, sospeso tra quello reale degli adulti e quello antico di cui raccontavano i nonni… era ad ogni modo una bolla reale dove si poteva fare quasi tutto con maggiore libertà e con facilità…

 Bruno Chiarlone Debenedetti


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B. Chiarlone

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