Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Cemento al mare ? Intanto l’entroterra (Im-Sv-Cn) cade a pezzi. Serve subito il rilancio edilizio in nome della nostra sopravvivenza


E’ un tema ostico di cui non si legge, né si ascoltano proposte dalla stessa società civile. I uno dei suoi ‘editoriali’ domenicale, don Paolo Farinella, prete scomodo, impegnato in tante battaglie per l’etica e la moralità della politica, ha riproposto su Repubblica- Liguria un tema sempre attuale. E un appello: “Salviamo ciò che resta della nostra Liguria, basta cementificazioni selvagge”.  L’invito a visitare il sito “www.salviamoilpaesaggio.it“. Perchè non aggiungere: Salviamo subito il patrimonio immobiliare abbandonato, in rovina, del nostro entroterra, dimenticato da decenni. Qui non solo non si costruisce, non si compra, non si vende. Le ristrutturazioni edilizie sono un’eccezione, una ‘benedizione’. Gli stranieri (tedeschi, svizzeri, olandesi) non sono più interessati. Solo qualche borgo vicino alla costa e favorito dalla viabilità, da segnali di vita e risveglio. I Forconi e C. non sottovalutino questa ingiustizia sociale.

Per quale ragione non si prende di petto, coscienza della realtà sociale (ingiustizia) ed urbanistica (diffuso degrado) del nostro entroterra ponentino, imperiese, savonese, cuneese ?  Esclusa la fascia costiera, tra la spiaggia ed i primi chilometri, ci troviamo di fronte a paesi fantasma, in costante decadenza. L’80 per cento delle abitazioni e dei locali (un tempo ad uso commerciale, artigianale, agricolo) sono vuoti. Nessuna richiesta. Man mano che le famiglie, la presenza di anziani si riduce per decessi o malattie, si aggiungono altri abbandoni, desolazione.

Poiché il fenomeno è in atto da anni, molto immobili hanno segni evidenti di deterioramento esterno e interno. Per quale ragione non finiscono (se non in piccola parte) sul mercato immobiliare? Semplice, si incentiva, in via prioritaria a livello regionale, un indirizzo politico-sociale-urbanistico che non incoraggia quel territorio e gli investimenti. Assistiamo a continui appelli al rilancio dell’edilizia – in crisi – laddove la pressione abitativa, il divario tra insediamenti abitativi e commerciali ha superato da tempo il livello di guardia, rendendo invivibili (standard di qualità della vita) i centri urbani e le periferie. C’è il super affollamento, soprattutto da seconde case , nei periodi di afflusso turistico; la disintegrazione del sistema viabilità e parcheggi. Il caos non favorisce il turismo tanto invocato, tantomeno richiama la clientela straniera europea.

Nella città si demolisce e si ricostruisce aumentando in modo dissennato  il peso abitativo; il numero dei locali abitabili con il 30 per cento di aumento dei volumi. Ci sono decine di esempi di immobili in cui erano ospitati due o tre nuclei famigliari, magari con un’attività commerciale ed artigianale, si ricostruiscono i volumi, con i premi  di altezza, ‘sottotetti-mansarde’ abitabili. La ‘sardiniera’ di alloggi, anche in tempo di crisi, non si arresta. E su questo fronte è un fiorire di interventi di cui non vengono fornite, ad iniziare dalla Regione Liguria, dalle province, dai Comuni dati e statistiche. I ‘verdi’ sono spariti, i ‘grillini’ sanno che fare gli ambientalisti – anche ragionevoli – non paga in termini elettorali.

Cosi al mare i cantieri prolificano,  in attesa dei nuovi piani urbanistici che in previsione di restrizioni spingono di fatto a saturare oltre ogni limite zone ed aree ingolfate da vani,  carenti nella viabilità e spazi verdi attrezzati.

L’entroterra e quanti lo acclamano restano incapaci, impotenti a prendere le redini  del sano ed urgente sviluppo.  C’è bisogno di una nuova linea di indirizzo della Regione Liguria, delle forze politiche, delle associazioni di categoria, nessuna esclusa. L’entroterra attende da troppo tempo l’unico strumento di vero rilancio: basta cemento al mare, si creino le condizioni legislative e ‘pianificatorie’ affinché  risorgano paesi come Ranzo, Borghetto D’Arroscia, Vessalico, Pieve di Teco,  Rezzo,  Armo, per arrivare fino a, Mendatica, Cosio d’Arroscia, Pornassio Nasino,  Bardineto. Questi ed altri  ancora con le loro frazioni.

Don Farinella, con la sua autorità morale, dal pulpito di giornalista libero e combattente, potrebbe farsi promotore della battaglia per la rinascita  dell’entroterra ponentino. Sono isolate  e deboli le voci che descrivono il dramma della morte di una intera ‘civiltà’, l’impotenza delle comunità locali a mobilitare la politica, le stesse associazioni.

Il sacerdote ha scritto nell’ultimo articolo: ” Mentre le Istituzioni sprofondano  nella melma della decadenza, a Genova si tenta di fare qualcosa.  Mercoledì 4 dicembre a Palazzo Tursi. la sala di rappresentanza piena come nelle gradi occasioni, si parla e si riflette sul consumo del territorio, sulle case vuote e sfitte, sul futuro della terra e del nostro destino. Non è un discorso bucolico o romantico, ma un allarme drammatico perchè è stato superato il livello di guardia proprio per le scelte scellerate di quei politici che oggi scopriamo essere illegittimi e antidemocratici. Il convegno organizzato da 50 associazioni  e gruppi ha dato la parola a due sindaci di due piccoli paesi lombardi ( 40 mila abitanti) che hanno fatto scelte drastiche di limitare le nuove costruzioni, favorend0 invece il restauro e le ristrutturazioni di quelle esistenti, aumentando così’ sia le zone agricole che il verde con ottimi risultati…”.

Don Farinella prosegue: “La politica demenziale e assassina dei condoni a scadenza quasi programmata ha fatto il resto perchè ha creato la cultura dell’illegalità ed ha stabilizzato il rischio per cui oggi nessuno può gridare alla disgrazia fatale, ma ognuno deve assumersi la sua responsabilità. Ci stiamo mangiando anche il terreno  dove comminiamo….Due terzi dei nuovi caseggiati, a Genova, sono rimasti invenduti o ancora vuoti, 15 mila appartamenti sfitti…Non c’è bisogno di costruire perché anche  le statistiche ci avvertono  che la popolazione è in diminuzione…e dobbiamo ringraziare gli immigrati….Questa è la politica del futuro,  altro che Renzi, Letta,  Napolitano….l’amministrazione comunale prenda il Puc per le corna e congeli il territorio, bene comune primario, come indisponibile per oggi e per domani, in nome della nostra sopravvivenza…”.

I piccoli comuni, è noto,  sono in grave difficoltà e le ‘unioni’ languono tra carenze, ritardi, incomprensioni, campanilismi soprattutto ad opera della vecchia generazione. La riqualificazione edilizia, del mercato immobiliare, sarebbero oltre che rinascita dei paesi (non sono le sagre a ricreare il tessuto economico), un ottimo strumento per incentivare le esauste e povere casse  comunali  (altro che sprechi in stile città costiere ! fuochi d’artificio, concerti, finanziamenti a pioggia non produttivi e clientelari); gli introiti da oneri di urbanizzazione e costruzione.

C’è da chiedersi, un po’ stupiti, perché queste proposte non siano fatte proprie da un ‘coro unisono dei comuni’ , dall’Anci, da ciò che rimane delle province. Forse  il peso elettorale dell entroterra è debole ed insignificante rispetto agli interessi, anche legittimi, che popolano la costa, le città, i sobborghi urbani?

Salviamo il paesaggio, ma salviamo il nostro entroterra attraverso gli strumenti della pianificazione urbanistica e della programmazione economica.


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