Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Le Langhe: amore e rabbia. Quando partivo da Savona…


Mi insegue un’immagine. Un lungo declivio increspato sul quale contrapposti figurano una landa invernale ed una assolata distesa marina. Separati da una sottile linea di transizione.

 

 


Le Langhe. Hanno per me rappresentato una finestra sulle Alpi, il viatico per il Piemonte. Per me, ripeto, che già da bambino ci andavo con mio padre da Savona, cioè dal mare. Il mezzo era stato qualche volta il treno, anzi meglio la carrozza postale. Mio padre batteva assiduamente quelle zone per lavoro. Faceva parte dei “Messaggeri Postali” che prestavano servizio sulle linee ferroviarie, con il compito di raccogliere la corrispondenza nelle stazioni lungo la linea e nell’eventuale consegna alle stazioni successive, nonché nello scambio dei sacchi chiusi di corrispondenza in partenza ed in arrivo. Le sue mete erano Ceva, Fossano, Ormea, Cuneo, Torino, Alessandria …. Così negli anni era divenuto un buon conoscitore della terra piemontese. E di tanti personaggi che lì vivevano, come uno starno compagno di viaggio: un prete di Carrù che insegnava anche in un scuola e mi mandava interi pacchi di quaderni nuovi marchiati “Cassa di Risparmio di Cuneo“.

Non l’ho mai conosciuto ma ho passato ore ed ore a disegnare soldatini sulle pagine dei suoi quaderni. In quegli anni ’70 ogni tanto mi portava con sé durante i suoi viaggi di lavoro. Era un’occasione per vedere le creste innevate che vanno dal Monviso fino al Monte Rosa, un’immagine mirabile che cominciava a stagliarsi dai finestrini all’uscita delle gallerie della tratta fra Saliceto e Sale Langhe.

Ma non capitava sempre: a volte il cielo non voleva permettere al sogno di avverarsi e quindi potevo solo immaginarmi il panorama. Partito da Savona il treno doveva arrancare su per la lunga salita per arrivare in quel punto, laddove il tempo, meteorologico, può assumere condizioni totalmente diverse da quelle che si presentano sul mare. Quasi come se tra Liguria e Piemonte esistesse una sorta specie di muro, che bisognava valicare per scoprire un mondo vicino ma diverso. Tanto da destare in me curiosità mista a timore. Proprio da lì avevo capito che cominciavano a distendersi le Langhe, come un tappeto increspato che mi portava verso la cornice alpina. Era puntualmente un momento di netta mutazione che poteva sfociare in gioia o dolore, quando all’estremo limite ricordava una repentina variazione di ombre o colori.

Con il passare del tempo quell’effetto non cambiò di molto. Erano la metà anni ’80, il periodo dell’Università, ogni volta che dal mare mi recavo in treno a Torino per incontrare uno dei primi amori, frutto di una fugace stagione estiva, rimaneva quel muro da superare, che mi avrebbe impietosamente svelato la sua decisione. Non c’era più la delusione o lo stupore del bambino, ma rimaneva comunque il punto focale del viaggio. La discriminante tra continuare o scappare, avvolto in una storia sentimentale sorta per caso. Non tanto diversa era la sensazione qualche anno dopo, durante il corso allievi ufficiali alla Scuola Militare Alpina, allorché, ancora in treno, tornavo dalle rare licenze ad Aosta. La Langa restava ancora però solamente una sorta di cornice alla via ferrata.

Un crocicchio strade fra i campi, che si avviavano verso le creste strette che preannunciavano vano la direzione dei monti. Al più una distesa ondulata di ricchi terreni cosparsi di vitigni.

Solo con gli anni, cominciando a battere itinerari ciclistici di vecchia fama o avventurandomi in auto, presi confidenza con le arterie che mettono in comunicazione il mare con le Langhe. Piste calcate dagli esodi e controesodi estivi: statali ed autostrade.

Mi resi conto che anche così mi si parava innanzi improvviso un elemento di discontinuità ed arrivai ad individuarlo dalle parti di Montezemolo….

Rimanevo tuttavia un osservatore esterno di quella realtà in cui forse non avevo ancora avuto il coraggio di tuffarmi. Ci volle del tempo, non poco, fintanto che un giorno di qualche anno fa capitò una sorta di miracolo. La scusa fu un viaggio di una sola giornata, quasi senza meta, per quelle terre, mi accompagnava una persona a cui poco interessavano programmi e certezze, che aveva un modo di essere molto diverso dal mio, almeno dall’analisi che ne faccio a posteriori.

…………. Dovevano passare ancora anni….. per immergermi in quella realtà…

Murazzano, Serravalle o Bossolasco indicavano il cammino e poi giù in discesa verso i E nuovamente un senso di amore e rabbia. Amore per quella solitudine, per quei campi, per quei boschi e quella pietra stupenda. Rabbia perché i villaggi non erano riusciti a preservarsi intatti e severi come nelle colline toscane. Me li immaginavo arroccati ai vecchi castelli, in simbiosi con la roccia, e invece troppe anonime cascine e nuove costruzioni li sparpagliavano nel nulla. Singole torri, qualche muro, troppo poco per far ricordare. Poi un guizzo improvviso che era sempre emozione: Serralunga. Intorno ad uno dei più armoniosi castelli d’Italia si raggruppava ancora l’ellisse delle sue casette. Avevano perso lo smalto vetusto, ma imponevano ancora il loro antico carattere.

Dopo, nuovamente delusione: manieri rifatti, torrioni neogotici mi accompagnavano verso l’orribile castello di Pollenzo, tra capannoni e paesi anonimi. L’antica e importante città romana faceva di tutto per nascondere la sua forma ad anfiteatro, che avrebbe potuto ricordare l’illustre passato. Oppure scendevo ad Alba e pensavo a come sarebbe potuta apparire se si fosse trovata in un’altra regione o in un’altra nazione. Le sue rosse torri, il Duomo e le altre chiese non riuscivano a legare tra loro. La ricchezza di quei posti non amava il turismo artistico, ma solo quello nascente del cibo e del vino. Di nuovo amore e rabbia.
Passarono gli anni, le Langhe divennero praticamente la mia casa. Non avevano più segreti e le volli rileggere fin dalla loro nascita. Le prime a uscire dal mare quindici milioni di anni fa e le prime ad ammirare la catena alpina. In qualche modo mi ricordavano la giovinezza, quando superavo Montezemolo e mi affacciavo al balcone naturale in trepida attesa. La loro storia geologica me le fece sentire più vicine: la rabbia si smorzò e l’amore crebbe.
Oggi torno spesso a Serralunga sia per il castello sia perché posso ammirare perfettamente le tre creste che identificano altrettanti periodi geologici successivi: quello più vecchio della stessa Serralunga, quello intermedio di Monforte e Castiglione Falletto e infine, nello sfondo, quello più giovane di Novello, Barolo, la Morra, Verduno, ultimo baluardo verso la pianura del Tanaro. Più lontano, l’impervio Roero, fratello giovanissimo ma ribelle. E immagino ancora la spettacolare cascata che il nuovo Tanaro formò cambiando il suo corso. Le Rocche sono ancora lì come un fossile di quel drammatico momento. Il Roero, bellissimo, ma ancora più sconosciuto e incompreso. Ancora in attesa che qualcuno guardi al di là del proprio naso e si accorga della sua bellezza selvaggia e del suo valore storico (chi mai ha cercato di recuperare la strada romana che attraversava le sue colline?). Il Roero in continua smania di emulazione dei suoi fratelli più vecchi che lo guardano dall’altra parte.
Un po’ di antica rabbia torna e penso nuovamente a come in altri paesi europei e non solo, sarebbero stati sfruttati tesori del genere. Ma poi torno a guardare il suolo e penso alla fortuna di quel terreno. Uscito dalle acque come Venere, le sue sabbie indurite dal Sole e dal vento, rigate dalla pioggia e modellate dai torrenti, si sono preservate con la stessa asprezza attraverso i millenni. E le radici delle vecchie vigne continuano a lottare con quella pietra antica. E da quella lotta titanica nascono grappoli sofferenti, stanchi e sapienti, il cui nettare deve per forza essere il più grande. E allora l’amore torna a primeggiare e anche i castelli mi sembrano più genuini e le case meno sgraziate.

Faccio anche finta di non vedere i capannoni e le case blu di Alba e ritorno lentamente verso la pianura. Mi fermo sovente, accolto da amici sinceri, che al pari delle loro vigne sanno lottare con durezza e nascondere i veri sentimenti. Ma quando aprono il cuore e versano il nettare sopraffino nel bicchiere, i profumi di quella terra escono prepotenti e senza più misteri. Anche il loro volto si rasserena e si apre. E allora capisci che quelle sono colline uniche e che non si può avere tutto. Mancheranno i borghi toscani e le loro chiese romaniche, ma e lì che si crea il nebbiolo, una sintesi perfetta tra terreno, clima e uomo, e allora te lo lasci scivolare in gola con tanto amore, a occhi chiusi, ma con la catena alpina impressa nella mente. E torni bambino.

Antonio Rossello



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A. Rossello

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