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Savona/ Sommergibilista, ferroviere, ciclista. La straordinaria storia di Francesco Bellini


Ormai sono rimasti in pochissimi. A memoria, uno a Montebelluna, un altro a Catania e Francesco Bellini a Savona. Sono gli ultimi sommergibilisti della Regia Marina Italiana che hanno combattuto nella seconda guerra mondiale e che, a distanza di settant’anni, possono ancora testimoniarne il ricordo.

 

Francesco Bellini, a 89 anni, alfiere del ciclismo dilettantistico savonese

Francesco Bellini, in particolare, ha una storia da raccontare. Ottantanove anni portati benissimo, l’alfiere del ciclismo dilettantistico savonese è tuttora il dinamico presidente onorario della Palestra U.S. ACLI di Savona. E così, tra un allenamento e l’altro, ai frequentatori della sala sportiva può capitare di ascoltare dal vivo una lezione di storia vissuta sul campo.

Il giovane ferroviere Francesco Bellini, classe 1923, va sotto le armi nel ’42. “Sono stato arruolato in anticipo – dice – perché ero uno dei pochi della mia leva ad avere un diploma da elettricista, qualifica allora assai richiesta nel mondo militare”. Bellini diventa in breve sottocapo silurista della Regia Marina e viene destinato a Bordeaux, sede della Betasom, la base navale dei sottomarini della Regia Marina. “Operavo all’interno della base nell’allestimento della flotta, ma ho al mio attivo anche vari periodi di imbarco nel sommergibile “Tazzoli” e nel “Barbarigo”. L’otto settembre del ’43 “improvvisamente il capitano di vascello Enzo Grossi diede il comando di partire ma, dopo varie ore di navigazione e senza apparente motivo, l’ordine fu revocato e a tutte le unità navali fu ordinato di rientrare alla base. Soltanto allo sbarco sapemmo ufficialmente dell’armistizio”.

Subito bloccati nella base per ordine del comando tedesco, Bellini e gli altri sono bruscamente messi di fronte alla scelta di arruolarsi nella RSI, essere internati in un campo di concentramento in Germania o entrare nella “Todt”, l’organizzazione di lavoro tedesca a cui venivano più o meno forzatamente destinati molti militari italiani. Bellini opta per questa soluzione e, dopo vari trasferimenti, giunge sulle spiagge della Normandia con il compito di costruire bunker, shelter e trincee e di riparare i danni dei bombardamenti. Ed è sulle coste normanne che il 6 giugno ’44 il giovane graduato assiste, da una posizione defilata, allo sbarco degli Alleati in quello che passerà alla storia come il D-Day.

Dopo i convulsi giorni della battaglia di Normandia, e dopo numerosi altri spostamenti più o meno forzati, nell’ottobre del ’44 Bellini decide di fuggire dal controllo dei nazisti. “Io e una cinquantina di compagni, tra cui alcuni tedeschi, una notte non siamo rientrati al campo e abbiamo deciso di ricongiungerci agli americani. Abbiamo vagato a piedi per otto, otto giorni disperati, braccati dai tedeschi e senza nessuna indicazione precisa sulla meta da raggiungere. Dormivamo di giorno, nei granai e nelle stalle delle fattorie in cui – con le buone e talvolta con le cattive – trovavamo ospitalità, e di notte marciavamo seguendo le indicazioni sommarie che avevamo e, soprattutto, le nostre speranze”.

Dopo otto giorni il gruppo si consegna finalmente alle truppe americane. “Ci hanno fatti prigionieri – ricorda ancora Bellinima si è tratto di una prigionia tutto sommato lieve. Ormai eravamo ufficialmente cobelligeranti con gli Alleati (che peraltro non ci diedero mai le armi, impiegandoci al più in lavori di manovalanza); in più, io ero un elettricista, una qualifica che anche agli americani faceva comodo”. L’ex silurista della Betasom diventa quindi una sorta di tecnico specializzato per le truppe alleate fino alla fine della guerra. Al termine del conflitto Bellini torna a casa, riprende il lavoro in ferrovia e comincia un’altra avventura, questa volta con la bicicletta, che lo porterà a gareggiare in tutto il mondo fino ad un recentissimo passato (ma ogni tanto Francesco in bici ci va ancora).

Sembra ieri, e sono passati settant’anni. Sembra ieri ma, contemporaneamente, ai giovani che frequentano la palestra il racconto lucido e picaresco di Francesco sembra una favola lunare, con distanze dal presente che si misurano in anni-luce. Eppure è successo, e neppure troppo tempo fa. Poi, certo, dovremo studiare sui libri di storia le cause e magari le conseguenze di certi avvenimenti che hanno cambiato la nostra storia. Ma, intanto, Francesco e i pochi che sono rimasti con lui sono qui a ricordarci in prima persona che certe cose sono successe davvero, e neppure troppo tempo fa.

Massimo Macciò



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