Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Campagna elettorale della sinistra d’alternativa e nel Pd aziendalismo politico?


La prossima campagna elettorale in Italia si svolgerà attorno al tema dell’Europa, sulla base di un confronto diretto tra due opzioni: quella antieuropea sviluppata in nome dei rigurgiti localistici e del recupero di temi schiettamente populissti; quella totalmente subalterna alle logiche monetariste espressione di una vera e propria “Signoria” delle banche.

Quella logica monetarista su cui si fonda la tanto celebrata “agenda Monti” che dovrà essere seguita dai partiti che stanno appoggiando sino in fondo il governo dei tecnici e dai loro eventuali alleati, anche da quelli che a parole farebbero intendere di voler sovrapporre la priorità di altre agende. 

Risulta innegabile come i fenomeni intrecciati della globalizzazione e dello sviluppo concreto del processo di unità europea, finiranno con l’imporre punti di cessione di sovranità ad ogni singolo “Stato-Nazione”.

Si tratta però di capire e far capire che questa cessione non porà avvenire unilateralmete. Nel continuare a batterci per un’Europa dei popoli, dei lavoratori, della solidarietà, dell’eguaglianza si dovrà inserire anche la questione dell’Europa politica, di un’Europa provvista di una reale capacità democratica da esercitarsi da parte del Parlamento europeo e della presenza, a quella dimensione, di forze alternative chiaramente collocate al di fuori da qualsivoglia prossimità con soggetti che hanno di fatto accettato il liberismo.

Nel corso della prossima campagna elettorale dovrà avere pieno diritto di cittadinanza una posizione che rifugga sia da un rozzo antieuropeismo, sia da una acritica subalternità all’Europa dei banchieri.

Non staremo a vedere “cosa faranno i mercati”, ma imposteremo una iniziativa politica che proprio sul terreno europeo e della speculazione finanziaria che vi si alimenta, sappia offrire una chiara dimensione alternativa.

Franco Astengo

ROVESCIARE IL VENTENNIO: LA CAMPAGNA ELETTORALE DELLA SINISTRA D’ALTERNATIVA

Il precipitare tumultuoso degli avvenimenti politici potrebbe portare a una campagna elettorale breve, ma particolarmente intensa e per certi versi “bruciante”.

Un elemento di cui debbono tener conto coloro i quali si apprestano a sviluppare un tentativo di presentazione alle urne cercando di colmare il vuoto di rappresentatività lasciato dall’assenza in Parlamento di una sinistra d’alternativa.

Tentativo che ci pare in corso senza aver raggiunto, però, quegli elementi di complessiva strutturazione politico – organizzativa almeno sufficienti per costituire la base per un’impresa che, francamente, appare assai difficile soprattutto per via dell’elevata soglia di sbarramento: il 4%, tra 1.200.000 – 1.500.000 mila suffragi a seconda del totale dei voti validi espressi (nel 2008 furono 37 milioni, tutti oggi pronosticano un calo netto di questa cifra).

Sarà di grande importanza l’impostazione della campagna elettorale, non tanto e non solo al riguardo dell’espressione di specifici punti programmatici, ma soprattutto rispetto al discorso da svolgere al riguardo dell’insieme del quadro politico e delle dinamiche che le forze saranno capaci di determinare in una competizione che si preannuncia quanto mai combattuta, almeno sul piano verbale, con una vera e propria “corsa” all’apparire televisivo (questa non sarà certo una novità) e nel miglior uso delle nuove tecnologie.

Bisognerà non cadere in almeno due trappole: la prima quella di scendere sul terreno limitato della semplice valutazione dell’operato del governo uscente; denunciando soltanto l’aggravamento della situazione economico – sociale nel corso dell’ultimo anno si finirà con il dar fiato alle trombe della destra; la seconda quella di impantanarsi nella diatriba PD-Berlusconi che il PD stesso sta cercando di mettere su, allo scopo di prendersi la rivincita sulla bruciante sconfitta di cinque anni fa.

La politica, però, non vive di rivincite, ma del divenire insito nelle azioni degli attori che ne sono protagonisti nell’arena.

Nella prossima campagna elettorale dovrà così avere ampio spazio l’analisi della più recente “memoria storica” riguardante la fase di lunga transizione avviata fin dal 1992.

Alcune cose, del tutto decisive, dovranno essere ricordate con grande nettezza facendo in modo che sul giudizio formulato attorno ad esse, poggi l’intero impianto programmatico da rivolgere al futuro.

Penso a tre fatti risultati del tutto decisivi, nel corso di questi ultimi 20 anni: la maxi-stangata inflitta da Amato nel giugno 1993 con la manovra da 90.000 miliardi di lire, nel corso della quale furono infilate davvero le mani nelle tasche degli italiani; quella maxi-stangata coprì l’adesione acritica al Trattato di Maastricht, accettato supinamente in nome di una “Europa bene in sé” fondata, da quel momento, invece che sull’allargamento nella funzione democratica delle sue istituzioni, sul monetarismo e il dominio della Banca Centrale (il significato di questo elemento lo abbiamo compreso meglio tutti, a partire dal 2008, con l’esplosione della crisi economico finanziaria); infine l’adesione della maggioranza delle forze politiche alla sciagurata idea della trasformazione del sistema elettorale da proporzionale a maggioritario, con il risultato ottenuto non soltanto – e sarebbe già stato eccessivo – di considerare la governabilità quale fine esaustivo dell’agire politico ma – soprattutto – di aprire la strada a quelle forme eccessive di personalizzazione spettacolarizzata della politica che abbiamo visto in azione nel corso – appunto – di questo famigerato ventennio.

Quell’adesione portò al formarsi di un “bipolarismo all’italiana” che, alla fine, trasportato anche nel successivo sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza ha contribuito a far implodere l’intero sistema.

Nasce da questi elementi (e successivamente dalla mancata legislazione sul conflitto d’interessi e dall’aver varato la Commissione Bicamerale nella convinzione che si potesse, in quelle condizioni, addirittura modificare consensualmente fra le parti la stessa Costituzione) l’apertura alla fase dell’egemonia di Silvio Berlusconi: una vera e propria egemonia esercitata anche sugli avversari, costretti a modificare i loro orizzonti, il loro modo di agire la politica per adeguarsi a quanto imposto dal “dominus”.

Perché, è bene ricordarlo, il centro – sinistra in particolare nelle sue attuali componenti che compongono il ringalluzzito PD di oggi ma comprendendo anche il PdCI e – nel corso dell’ultima esperienza – lo stesso PRC non ancora orbato dalla scissione di SeL, è stato al governo ben 7 anni, tra il 1996 e il 2001 e tra il 2006 e il 2008, varando tra l’altro la riforma del titolo V della Costituzione sulla condizione degli Enti Locali, adottata in fretta e furia in fine di legislatura: un provvedimento rivelatosi, poi, pieno di buchi e adottato – con ogni probabilmente semplicemente per inseguire la forma del tutto negativa, con la quale la Lega Nord aveva rilanciato la frattura “centro – periferia”.

Ovviamente le responsabilità non stanno tutte negli errori di una parte: è stata ferocemente impostata, negli anni di governo del centro – destra, una strategia ferocemente populista, produttrice di grandi squilibri sociali e in grado di far allentare, complessivamente, un grado appena sufficiente di tensione etica nella qualità dell’agire politico, provocando l’emergere non soltanto di un forte “riduzione” nel rapporto tra politica e società, ma di una vera e propria “questione morale” di carattere strutturale.

La situazione, come tutti ricordano bene, è precipitata con la crisi fino a sfociare nel governo dei tecnici, messo assieme attraverso un meccanismo ai limiti del dettato costituzionale da un Presidente della Repubblica che pare interpretare assieme un ruolo da monarca e un ruolo da “deus ex machina” fino  a mettere in discussione la natura parlamentare della Repubblica.

Governo dei tecnici che si è mosso in maniera feroce sul terreno di una vera e propria “ideologia di classe”.

Nel frattempo era stato scompaginato l’intero sistema dell’intermediazione politica, destrutturando i partiti e riducendoli, come nell’esempio delle primarie, a macchine di servizio per i leader, con i partecipanti ridotti al ruolo di spettatori passivi e – com’è già stato scritto – di consumatori di eventi.

La sinistra d’alternativa, se riuscirà a presentarsi al vaglio elettorale, dovrà mettere in campo tutto l’insieme di questo tipo di analisi, senza sconti per nessuno e proponendosi davvero di “rovesciare” andamento ed esito di questo ventennio.

Ho esaminato soltanto la “pars destruens” per così dire e, in quest’occasione, non mi soffermo, per evidenti ragioni di economia del discorso, su di una possibile e necessaria “pars costruens”.

Ovviamente i temi della (trascuratissima) politica estera, dell’Europa, del lavoro, dello stato sociale, di una politica economica alternativa al monetarismo, dei diritti civili, di una riaffermazione nel ruolo delle autonomie locali, del rifiuto delle privatizzazioni nel servizi essenziali e di tante altre questioni dovranno stare al centro di un discorso complesso, compiuto, convincente.

Mi limito, in chiusura, a un solo punto: quello che è ho già definito dell’agire politico, attraverso il rifiuto del presidenzialismo e della personalizzazione, dell’idea “maggioritaria”, dello “svuotamento” dei soggetti politici d’intermediazione sociale e l’affermazione di un’idea di partecipazione alla vita pubblica attraverso il recupero del concetto di rappresentanza, di esaltazione nel ruolo dei consessi elettivi (a tutti i livelli, centrale e periferico), di rapporto positivo con i nuovi movimenti sociali, al punto da far scaturire da esso elementi di forte innovazione sul piano programmatico che dovranno rappresentare, in entrambi i sensi del rifiuto – appunto – e della affermazione gli elementi basilari perché una sinistra d’alternativa adeguatamente attrezzata nella sua realtà politica e organizzativa possa risultare in grado di affrontare efficacemente la prossima competizione elettorale.

Franco Astengo

PRIMARIE DEL PD PER I CANDIDATI: UNA NUOVA FORMA DI AZIENDALISMO POLITICO?

Il PD ha deciso di organizzare le “primarie” anche per la scelta delle candidature al Parlamento: non si conoscono ancora i termini regolamentari e, di conseguenza, non è possibile formulare giudizi di merito sulla fattispecie, ma alcune osservazioni di carattere “sistemico” al riguardo della natura del partito che verrà fuori da questo tipo di metodologia, già seguita per la scelta del candidato a “capo della coalizione” (come recita la legge elettorale) è già possibile svolgerle.

Partendo da un dato: è evidente che il vero e proprio obbrobrio, che si perpetuerà anche in quest’occasione (e sarà per la terza volta) delle liste bloccate ha sicuramente rappresentato uno stimolo decisiva nella ricerca di una qualche soluzione preventiva che arginasse l’evidente disaffezione delle elettrici e degli elettori, e di questo va preso atto.

Il metodo scelto, invece, dal PD (e anche da SeL) assume, però un significato più ampio e, in quel senso, deve essere valutato.

Il mio ragionamento potrebbe partire da un interrogativo: da “partito di notabili” a partito “dell’eterno candidato?”.

Il PD si sposta, infatti, dal punto di vista della sua natura di partito verso il concetto dell’individualismo competitivo, privo di solidarietà di gruppo e di senso di appartenenza.

Le istituzioni (soprattutto la candidatura alle istituzioni) appaiono essere l’unico sbocco dell’impegno e dell’attività politica, professionalizzandola ulteriormente al di là dell’usata retorica riguardante la “società civile”e la costruzione delle candidature costituirà il solo, vero, impegno politico nell’intervallo tra un’elezione e l’altra.

L’effetto immediato sarà quello di una selezione dei quadri di tipo aziendalistico, con la produttività misurata attorno alla “quantità” di voti, sul modello della prima “discesa in campo” di Berlusconi nel ’94.

Naturalmente il contesto più immediato all’interno del quale si svolgeranno questi duelli sarà quello dei mezzi di comunicazione di massa, compreso il web, con effetti che è facile intuire circa il rapporto tra “essere” e “apparire”.

Da rilevare, ancora, una palese contraddizione: mentre sul piano del sistema elettorale il PD invoca i collegi uninominali (chiaro segnale di collocazione nell’ambito del “partito dei notabili”. Il collegio uninominale richiama questo concetto in ogni caso, anche all’interno del Labour Party britannico) per le primarie riguardanti i candidati si procede attraverso l’espressione del voto di preferenza, indicato come sentina di tutti i mali derivanti dal “voto di scambio”.

Esiste un’idea di cosa accadrà in periferia rispetto a questo tipo di scelta: si formeranno o non si formeranno “cordate” accompagnate inevitabilmente dalla logica dello “scambio”? Le prime avvisaglie dicono che sicuramente fenomeni di questo genere saranno presenti.

Senza contare un altro dato di grande importanza: l’assenza di intermediazione tra la proposta di candidatura e l’eventuale assunzione di ruolo istituzionale, nella logica propria dell’aziendalismo politico e dell’individualismo competitivo porterà a un’assunzione di ruolo, nelle istituzioni, conseguente a questo tipo di impostazione e, quindi, di esercizio del potere in una logica che definirei di “darwinismo sociale”.

Nell’idea di ricostruzione di una soggettività politica di sinistra, cui dedicarci immediatamente dopo la celebrazione delle elezioni politiche indipendentemente dal loro esito e dall’avvenuta o meno presentazione di una lista di sinistra d’alternativa, la discussione sulla “forma-partito” dovrà essere ripresa e approfondita.

E’ evidente che sarà necessario muoversi nella direzione esattamente contraria rispetto al modello aziendalistico.

 

Resto convinto che il modello da seguire sia ancora quello del “partito a integrazione di massa”, partendo dal concetto di “frattura” sulla quale basare il riferimento sociale centrale per fare in modo che, come ha scritto Stefano Bartolini: “le risorse di potere delle classi basse, e dei salariati in particolare, dipendono in primo luogo dalla loro volontà e capacità d’azione collettiva nel mercato e nella politica, cioè di creare e sostenere organizzazioni di interesse e politiche per l’azione collettiva”.

L’azione politica collettiva deve essere destinata alle tre parti della cittadinanza, individuate a suo tempo con T.H. Marshall: “ l’elemento civile si compone dei diritti necessari per la libertà individuale: libertà nella persona, libertà d parola pensiero e fede. Le istituzioni più direttamente associate ai diritti civili sono le corti di giustizia. Per elemento politico intendo il diritto a partecipare all’esercizio del diritto politico come membro investito di autorità politica o come elettore dei membri di tale corpo. Le istituzioni corrispondenti sono i parlamenti e i consigli dei governi locali. Per elemento sociale, intendo la vasta gamma del diritto a un modicum di benessere economico e sicurezza al diritto a partecipare in pieno all’eredità sociale e a vivere la vita di un essere civilizzato secondo gli standard prevalenti nella società”

Obiettivi: rappresentatività politica e integrazione sociale.

Fondamentali da cui ripartire, dopo lo smarrimento di questi anni difficili.

 Franco Astengo

E’ GIA’ SVANITO “L’EFFETTO PRIMARIE DEL PD”:

LA PARTITA POLITICA ITALIANA SI GIOCA SU DI UN’ALTRA SCACCHIERA

La potenza degli eventi puramente mediatici, nella società moderna, è enorme e dirompente: ma gli effetti concreti sono molto difficili da rendere stabili e strutturali, in particolare in politica, allorquando nell’evocare determinati eventi legati essenzialmente all’immagine, non si possiedono gli strumenti adatti, oppure non si sono analizzate sufficientemente le possibilità a disposizione di attori importanti che non partecipano, almeno immediatamente, al gioco.

Sta capitando al PD che, una settimana fa, aveva concluso trionfalmente due mesi di assoluto dominio mediatico, giornali e televisioni, attorno alla campagna elettorale e allo svolgimento delle “primarie”, valutate da tutti come un momento di effettiva partecipazione democratica e di ritorno verso una nuova credibilità del sistema dei partiti: tanto è vero che qualcuno aveva già subito il fascino del processo d’imitazione.

Tre milioni di elettori (una cifra nettamente in calo, rispetto ad analoghe occasioni del recente passato ma questo elemento è stato fatto notare da pochi); un risultato finale molto rassicurante per il segretario del partito; sondaggi che lo lanciavano già verso Palazzo Chigi, con tanto di anticipazioni sulla futura squadra di governo (uno squadrone: non si era capito però se il riferimento era al settimo cavalleggeri del colonnello Custer oppure al Real Madrid anni’60. Due soggetti ben differenti anche nell’esito delle loro imprese).

A una settimana di distanza il quadro appare già radicalmente mutato e quell’esito apparentemente trionfale messo da parte: certo i sondaggi continuano ad assegnare al PD una larga maggioranza relativa, ma la prospettiva del quadro politica appare già tutt’altra.

Di scena, infatti, due nuovi fenomeni mediatici: il cosiddetto “ritorno in campo” per la sesta volta del cav. Berlusconi e le dimissioni, annunciate e non ancora formalizzate a questo punto, del governo dei “tecnici”.

Se nel primo caso, quello dell’eventuale ritorno al ’94 addirittura nel ricomparire della sigla di Forza Italia, le preoccupazioni potrebbero essere anche non eccessive, almeno sotto l’aspetto di un’imprevedibile rimonta stile 2006 perché sono troppi gli elementi ostativi, primo tra i quali un evidente logoramento d’immagine della leadership, nel secondo caso – quello della prospettiva che potrebbe aprirsi nel caso di effettive dimissioni del governo – si nasconde la vera insidia, almeno per il PD.

E’ stato proprio questo, del ruolo dell’attuale Presidente del Consiglio nel momento in cui avesse dovuto abbandonare (temporaneamente?) l’incarico il vero punto di sottovalutazione rispetto alla costruzione dell’impalcatura mediatica delle “primarie”.

La mossa, combinata e congiunta (non concordata, almeno credo e non esiste nessuna prova in questo senso) della ricandidatura di Berlusconi e delle dimissioni di Monti hanno, infatti, spostato l’asse politico in una direzione ben precisa: come si potrà realizzare una continuità, reclamata da più parti compresi i fantomatici “mercati”, con la politica (antipopolare e ferocemente classista, aggiungo io) portata avanti dal governo dei cosiddetti “tecnici”?

Un solo punto di riflessione: perché a questo doppio annuncio, nel lunedì successivo, è caduta la borsa di Milano ed è salito il “fantomatico” spread? Perché l’esito delle primarie del PD, con la prospettiva salda di una nuova dimensione di governo a breve, non è stata accolta al livello della speculazione finanziaria e pare necessario ergere, a questo riguardo un nuovo scudo, almeno sul piano politico, attraverso un’espressione di governo diversa da quella immaginata dal centrosinistra?

Ha un bello strillare Bersani: “siamo quelli di Prodi, Amato (sic!), Visco, Padoa Schioppa, Ciampi, ci conoscono bene”. Nessuno pare proprio riconoscerli (e ,dal mio punto di vista opposto a quello dei finanzieri e dei banchieri, meno male).

Insomma: la mancata considerazione, nel mettere assieme la vicenda delle “primarie”, di quello che era ormai l’attore principale (pensando magari di rabbonirlo con la Presidenza della Repubblica) appare essere stata fatale a tutto l’impianto mediatico messo su, con grande fatica e credo grande dispendio di danaro, tra Settembre e Novembre 2012.

Infatti, considerato che si torna a votare con il sistema del 2005 (quando l’elettorato se ne accorgerà appieno e valuterà che siamo sempre fermi alle liste bloccate credo che, Grillo o non Grillo, la partecipazione alle urne si abbasserà pericolosamente attorno al 60-55%) i sondaggisti, i più autorevoli, ed anche i politologi come il prof. D’Alimonte hanno cominciato improvvisamente a fare i conti con il “pareggio” al Senato e l’eventuale necessità, in Parlamento, di trovare convergenze collocate ben oltre il mero risultato numerico uscito dalle urne.

Certo, molto dipenderà dalla decisione soggettiva che assumerà il prof. Monti ma, in questo momento, il borsino pare proprio propendere verso un suo impegno diretto, nelle condizioni che lo “status” di senatore a vita gli consentirà (perfetto il ruolo di “capo della coalizione” senza candidarsi nelle liste, e quindi diventare poi “capo di una coalizione più grande, con l’opposizione formate dai due duplici estremismi di Foza Italia e del Movimento 5 Stelle).

Con ogni probabilità sarà assente da questo scenario una coerente forza di sinistra d’alternativa : Sel, a parte qualche sommovimento interno, pare proprio aver scelto definitivamente un ruolo ancillare, e per il resto, dove pure si segnalano tentativi generosi, i tempi appaiono troppo stretti e si può già rimpiangere il tempo perduto nel corso di questi anni.

Sull’ultimo capoverso spero di essere smentito, sul resto mi pare proprio, allo stato degli atti, uno scenario plausibile: banchieri, padroni, establishment europeo hanno una fame di potere che, per quel che riguarda il “caso italiano” non potrà che essere soddisfatta se non attraverso una continuità di quella che ho definito una politica antipopolare e ferocemente ideologica sul piano di classe, con il PD a servizio per un senso di “responsabilità” che, a questo punto, non si capisce proprio verso chi sia rivolto.

 Franco Astengo


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