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Liguria e Basso Piemonte

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A.A.A cercasi calzolaio, cuoco, carpentiere, sarto


I giovani non trovano impiego, le aziende artigiane faticano a trovare dipendenti. Un parodosso italiano. Come risolverlo? Ecco alcuni utili suggerimenti.

L’altro spread. Occupazione giovanile: in Germania, maggiore economia del continente, secondo paese esportatore al mondo dopo il gigante cinese, gli under 30 che lavorano sono 8 milioni 135 mila, in Italia 3 milioni 202 mila. E anche se si considera la differenza di popolazione complessiva (quasi 82 milioni di tedeschi contro poco più di 60 milioni di italiani), il rapporto resta a vantaggio della “locomotiva d’Europa”: da noi, nel primo trimestre dell’anno, risultava occupato un giovane su tre (il 33,2%), in Germania più di uno su due (il 57,1%).

Scuola e università. Meno occupati perché più sui libri? No. Nella fascia d’età compresa fra i 15 e i 24 anni, quella tipica dell’istruzione secondaria e universitaria, la quota di giovani italiani impegnati nello studio è del 58%, contro il 67,2% della Germania.

Inattivi. In Italia il 15% dei giovani non studia né lavora. In proporzione, i tedeschi nelle stesse condizioni sono la metà: il 7,5%.

Lo spread Nord-Sud. Disoccupati sotto i trent’anni in provincia di Caltanissetta: 43,6% (a Crotone 41,5%, a Napoli 39,8%). In provincia di Cuneo: 5,9% (a Bolzano 7%, a Udine 8,8%).

Il paradosso. Nel secondo trimestre di quest’anno ci sono stati in Italia, secondo Confartigianato, 31.960 posti di lavoro «di difficile reperimento». Dall’altro lato, fermi ad aspettare un’occasione, i laureati del 2007 che a oltre quattro anni dalla fine degli studi sono ancora alla ricerca di una sistemazione (sono 44.662). «I giovani non trovano un impiego e le aziende artigiane non trovano dipendenti. C’è un mismatch impressionante che deve essere al più presto riallineato» (Riccardo Giovani, direttore relazioni sindacali di Confartigianato).

Carpentieri e “mediatori linguistici”. «Lo studio dell’organizzazione degli artigiani confronta il numero dei 1.192 meccanici per riparazione di automobili il cui reperimento sul mercato si è dimostrato difficile, con i 1.207 laureati con titolo triennale in Scienze dell’educazione e della formazione ancora disoccupati. Ma anche quello dei 951 montatori di carpenteria metallica introvabili con gli 869 laureati in Scienze della mediazione linguistica che sono a spasso. Oppure quello degli 887 cuochi che qualcuno cerca disperatamente con gli 878 laureati in Lettere a ciclo unico costretti ancora a girarsi i pollici quattro anni dopo aver finito l’università» (Sergio Rizzo, Corriere della Sera).

Quelli che mancano all’appello. Terminata la pausa estiva, è ripartita la produzione, le aziende si apprestano a evadere numerose commesse (le previsioni per i prossimi mesi parlano di una modesta crescita del comparto) e il problema della ricerca di manodopera specializzata torna in primo piano. Riccardo Giovani: «Mancano all’appello carpentieri, meccanici, fabbri, falegnami, saldatori, posatori e sarti, ma anche elettricisti, idraulici e manutentori. Il motivo? Semplice: la scarsa appetibilità dei lavori manuali nell’immaginario dei giovani, la scarsa efficacia dell’istruzione professionale e il cattivo funzionamento dei programmi scuola-lavoro».

Il gap della formazione. In Italia sono grosso modo due i percorsi di formazione per queste professioni, e da tempo soffrono di qualche difficoltà. Da un lato ci sono gli istituti professionali: «Alcuni ancora funzionano bene, ma la maggior parte di quelli pubblici, ora affidati alle Regioni, sono generalmente scadenti», spiega a VoceArancio Riccardo Giovani. Dall’altro lato, l’apprendistato: «Nel nostro paese non è mai decollato per i minorenni. Non funzionano i percorsi di alternanza scuola-lavoro (quelli per cui si fanno un certo numero di ore in aula e un certo numero al lavoro, in un’azienda), perché si dà ancora predominanza all’aula. È questo principalmente il gap che ci separa da Francia e Germania, dove invece questi metodi di formazione si dimostrano molto efficaci. E bisogna aggiungere anche il fatto che in questi due paesi sono molti di più gli studenti che lavorano: impegni anche brevi, estivi che poi piacciono e magari si proseguono pur avendo un livello d’istruzione superiore».

L’artigiano tedesco. Un problema diverso, ma con risultati analoghi, lo si ha in Germania. «Diploma o no – ha scritto Roberto Giardina su ItaliaOggi – gli artigiani teutonici sono pessimi, e poco disposti agli straordinari. L’ennesima libreria me l’ha costruita un falegname polacco, mentre attendo ancora il preventivo di una ditta berlinese. E un suo connazionale mi ripara il computer che fa i capricci sempre al venerdì sera, lavorando durante il sacro weekend».

Vecchi mestieri. Uno studio effettuato dall’agenzia per il lavoro Openjobmetis (130 filiali in Italia) segnala una ripresa di quelle che chiama le «professioni dimenticate». Rosario Rasizza, amministratore delegato di Openjobmetis: «Il mercato del lavoro è tutt’altro che saturo di tutte quelle figure legate alla tradizione manifatturiera e produttiva italiana. Infatti, accanto ai profili più tecnici, sempre molto ambiti dalle aziende nostrane – come tornitori, fresatori e saldatori – stiamo registrando su tutto il territorio italiano una crescente richiesta di macellai, pasticceri, falegnami e calzolai. Mestieri a cui le generazioni più giovani raramente decidono di accostarsi, ma che oggi registrano più dinamismo rispetto al passato».

Piccole imprese crescono. Pur tra mille difficoltà, sosteneva Confartigianato appena prima della pausa di agosto, c’è un piccolo esercito di imprese (il 24,3% del totale di quasi un milione e 450mila aziende artigiane) che nell’ultimo anno ha fatto registrare un trend positivo, con una crescita dell’1,96%. Ai primi posti per tasso di sviluppo imprenditoriale, cioè per la nascita di nuove imprese, troviamo le attività legate all’information technology e alla green economy, ma anche alle riparazioni e all’alimentare.

Ristorazione & manutenzione. Anche se le piccole aziende offrono non poche opportunità a figure professionali legate all’innovazione (produzione di software, consulenza informatica, installazione e manutenzione di apparecchiature), o ai mestieri green, è certamente il caso di guardare anche a settori più tradizionali. Le imprese artigiane che operano nella ristorazione, per esempio,  sono cresciute del 2,2% tra giugno 2011 e giugno 2012: oggi sono oltre 49mila. La crisi economica, che ha ingrossato il partito di quelli che «riparare conviene», ha contribuito alla nascita di 2.404 imprese (+4,1%), portando a 18.178 il numero delle aziende che si occupano di riparazione, manutenzione e installazione di macchine e apparecchiature.

Specializzato è sempre meglio. «Quello che è indubbio è che in un contesto economico come l’attuale emergono prima di tutto le eccellenze: per questo sono i profili specializzati ad avere maggiori chance di trovare un posto di lavoro» (Rosario Rasizza, ad di Openjobmetis).

(Da Voce Arancio)


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